Ai sensi della Legge 7 marzo 2001 n°62, si dichiara che Culture Teatrali non rientra nella categoria di "informazione periodica" in quanto viene aggiornato ad intervalli non regolari.ng

 

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TENTATIVO DI ESAURIMENTO #3 Le Belle Bandiere

LEO, MORGANTI E LA GIUSEPPA
Intervista a Elena Bucci | Le Belle Bandiere
a cura di M.P.

 

M.P.: Pensando ai grandi "registi-pedagoghi", come li chiamava Cruciani, vorrei iniziare il nostro dialogo parlando di maestri. Chi riconosci come maestro, in ambito teatrale e non, oltre a Leo De Berardinis?

Elena Bucci: Maestri e maestre se ne incontrano ogni giorno, quando si è disposti a vederli!
Eccoli, sono una folla di volti. La mia insegnante di italiano del liceo che ci parlava di letteratura, arte e teatro intrecciandoli e rivelandone le intime relazioni. Carmelo Bene sul palco del Teatro Alighieri di Ravenna mi dimostrò che esisteva una dimensione nella quale si potevano esprimere ombre ed ossessioni trasformandole in arte. Avevo sedici anni e diventai una statua per tutto il tempo dello spettacolo. Ero lì per caso, soltanto perché qualche amico di famiglia, abbonato, disdegnava quel tipo di teatro. Ricordo la mia sorpresa quando, nella scena meravigliosa della rivelazione dei nudi, si levarono mormoriì di scandalo e disapprovazione. Fu maestro in quel momento e grande: il mio dissenso nei confronti della mia vita quotidiana e delle regole che mi erano state insegnate poteva esprimersi in quella bellezza disperata.
Ho avuto come maestra la Giuseppa, che aveva la seconda elementare e veniva ad aiutare mia madre a tenere la casa e a tirarmi su. Mi ha raccontato le favole come nessun altro e si prestava ad ascoltarmi quando fingevo di saper leggere e, con il libro in mano, inventavo storie. È stata la prima scuola di scrittura scenica e improvvisazione, visto che, se sbagliavo o ero noiosa, non mi seguiva più. Mi è stata maestra mia nonna, mi sono stati maestri gli animali che per fortuna mi trovavo intorno o che raccattavo in giro tornando da scuola, mi sono stati maestri i ragazzi che avevano creato il gruppo parrocchiale di teatro in un paese deserto di idee, alcuni insegnanti della scuola di teatro di Bologna con una pazienza particolare, altri artisti che, negli anni affollati della ricerca di una formazione, vedevo e seguivo. Mi è stato maestro Morganti, con il suo anarchico rigore e con la sua apparente pigrizia, che non è altro che un riflesso in nero dell’esercizio dell’arte della sintesi e del pensiero lucido. Mi ha insegnato molto sulla libertà e sul gusto di stare in bilico tra improvvisazione e struttura, con un senso del divertimento e della verità che raramente ho incontrato... Ecco: più ne nomino e più ne appaiono. Ricordo gli attori che hanno lavorato con me, quelli generosi e quelli con lo sgambetto, e li ringrazio tutti, ricordo chi ha fondato con me la mia compagnia Le Belle Bandiere, le persone alle quali ho creduto di insegnare e che nello stesso tempo hanno insegnato a me... Mi è stato maestro Maurizio Viani, rivelandomi quanto la luce può esser magìa, spazio, umiltà e quanto la squadra tecnica è importante nel lavoro del teatro. Davvero, l’elenco potrebbe non finire mai. Mi è maestra questa stessa domanda che mi rivela quanto poco ho riflettuto su questo continuo passaggio di saperi e di tesori da una persona all’altra. Come posso dimenticare Claudio Meldolesi e la sua capacità di fondere esperienza teatrale, studio e approfondimento teorico? E che dire dell’Università di Bologna, dove ho fatto bellissime esperienze di insegnamento e regia sostenuta da persone coraggiose e innovative? Che dire della mia famiglia che mi ha sostenuto come poteva? E mi sono stati maestri gli spettacoli brutti e gli attori in difficoltà, indicandomi i pericoli da evitare e la straziante poesia della passione non aiutata dal talento.

Ecco, vedi? per ogni nome che scrivo mi sento ingiusta verso tutti gli altri che ho nella mente e nel cuore... Mi si perdoni. Tutti coloro con i quali ho lavorato ringrazio, tutti quelli che ho incontrato e incontro. Ogni volta che guardo il passato, l’ordine degli avvenimenti si burla del mio tentativo di scriverne una storia e si trasforma. Ho lasciato per ultimo Leo, perché é il primo artista che ho incontrato appena uscita dalla scuola di teatro, perché ci siamo scelti in assoluta libertà, perché è con lui che sono andata in scena la prima volta come attrice ‘di professione’ (orribile parola per un’eterna dilettante come me) in uno spettacolo meraviglioso come Re Lear (al Teatro Testoni di Bologna) e in un ruolo importante, perché gli sono stata accanto molti anni, imparando rigore, tecnica, ribellione e libertà, perché, pur essendo individualista e solitario, ha voluto creare un vero gruppo e mi ha insegnato ad ascoltare e a lavorare con gli altri, perché mi ha consegnato tutta intera alla dannazione del teatro e alle sue contraddizioni. La scelta è stata mia, é chiaro, ma dopo aver assorbito un’influenza grande. Per tutto questo ancora oggi lo odio e lo amo.

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TENTATIVO DI ESAURIMENTO #2 Teatro Due Mondi

MESTIERE E RIVOLTA
Intervista a Alberto Grilli | Teatro Due Mondi
a cura di M.P.

M.P.: Il mio interesse per il teatro è nato per caso, quando nel 1992 venni a vedere la dimostrazione di un tuo laboratorio, uno spettacolo che si intitolava Coro, e che faceste nel cortile interno di una casa di Faenza, al tramonto. Venni per caso, invitato da un’amica che partecipava al laboratorio, e rimasi folgorato. Nel tuo caso, come è avvenuto l’avvicinamento al teatro?

Alberto Grilli: Avevo un professore di italiano alle medie, Mario Zoli, che faceva teatro con una sua compagnia amatoriale. A scuola abbiamo cominciato a fare teatro con lui, si teatralizzavano degli oggetti di studio: si faceva un canto dell’Inferno a coro, abbiamo fatto delle scene all’aperto de L’anello dei Nibelunghi, in terza media facemmo un collage di testi di Shakespeare.

 

M.P.: Facevate queste cose solo all’interno della classe, come vostro apprendimento, o erano anche visibili da altri?

A.G.: C’erano cose che si facevano solo in classe ed altre, come quella su Shakespeare, che abbiamo mostrato ad altri studenti, ne abbiamo fatto uno spettacolo. Tutta la classe faceva spettacolo… io facevo Amleto, la scena quando incontra il padre… Quando poi andammo alle superiori, dieci o dodici di noi, rimasti molto legati a questo professore e a questa esperienza di teatro, fondammo con lui la compagnia Alterego: non facevamo teatro dialettale e non eravamo legati alle parrocchie, e questo già era un fatto eccezionale. Lui era il regista, noi avevamo 15-16 anni, poi c’era un blocco di “vecchi”: suoi amici  di forse 25 anni. Abbiamo fatto Mistero buffo di Majakovskij e tre Beckett: Finale di partita, Giorni felici e Aspettando Godot. Io non ho recitato in Aspettando Godot : ho smesso abbastanza presto di fare l’attore, mi occupavo delle luci, delle scenografie, cominciavo a fare l’aiuto regista. Quindi ci sono cascato dentro senza mai nemmeno decidere di fare teatro.

M.P.: Mario Zoli era un regista dispotico?

A.G.: Era un regista tradizionale: si prendeva il copione, si leggeva, lui faceva sempre sentire come si doveva fare, faceva un’accurata analisi dei personaggi da un punto di vista psicologico, poi si imparava il copione a memoria e si andava in scena. Un metodo molto, molto convenzionale. Poi, quando avevo 17 anni, la compagnia decise che noi giovani dovevamo fare uno spettacolo da soli. Io ero il suo assistente, lui mi propose come regista, gli altri miei compagni pensavano fossi la persona giusta. Cominciammo le prove dello spettacolo, scegliemmo un testo di Nello Saito, Spudorata verità, radunammo una ventina di amici, tra attori e band di musicisti; dopo qualche  mese di prove, portate avanti con la stessa metodologia convenzionale, lo facemmo vedere a Mario e ai vecchi. Mario ci disse: “Non potete andare in scena con questo spettacolo, non è il momento, non siete pronti”. Lì ci fu la ribellione, era il ’79, avevo 18 anni, noi pensavamo di essere pronti, così ci staccammo e fondammo il Teatro Due Mondi, mettendo in scena questo spettacolo. Così abbiamo “ucciso il padre”. Nell’83, dopo quattro anni di spettacoli sulla falsariga di quelli fatti con Mario Zoli, incontriamo Gigi (Bertoni), che ci indica la possibilità di andare a fare un laboratorio con Mario Chiapuzzo a Bologna, il “secondo” Mario nostro maestro.
Andammo in sette a fare il laboratorio e in tre giorni Mario ci mostrò tutto un altro mondo.  Mi fece subito delle domande: “Conosci Grotowski?” “No”, “Conosci Barba?” “No”, “Conosci Ariane Mnouchkine?” “No”, “Conosci Peter Brook?” “No”.

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RIVISTE D'ARTISTA

LA PAGINA COME CORPO-A-CORPO
Sul numero 4 di “Rivista”





[Fabio Acca] Una busta. Una busta come tante altre. Ne arrivano ogni giorno, tutte sostanzialmente inutili. Quando proprio sei fortunato, qualcuna contiene il programma del Teatro di Monfalcone, oppure il rendiconto del condominio.
A onore del vero, però, una volta il destino mi riservò una sorpresa del tutto inaspettata e mi fece recapitare in busta chiusa una divertente minaccia di morte da parte di un anonimo oltranzista, corredata da ben due preservativi, quasi alludessero a dei bossoli. A questa ne seguì una seconda e pure una terza, che conteneva della misteriosissima ovatta. Non vi dico cosa fu raccontare i fatti ai poliziotti della Digos. Naturalmente non capivano per quale motivo uno che lavora all’Università e che addirittura si occupa di teatro dovesse ricevere delle minacce, perdipiù così creative!
Eppure stavolta, questa busta, se la si guarda meglio di quanto solitamente si guarda una busta, lì, nella buchetta delle lettere, ha alcuni dettagli piuttosto singolari. Prima di tutto un grande numero 4, scenograficamente giocato in primo piano, al di sotto del quale campeggia la laconica scritta “epitaffio”. Sul retro, invece, nella parte bassa, un numero di serie rosso – 565/600 – stampigliato a mano.
In effetti, questo timbro mi avrebbe dovuto maliziosamente suggerire qualcosa di meno burocratico, di più – come dire – “affettivo”. Se non altro la volontà del mittente di farla pervenire proprio a me, cinqucentosessantacinquesimo tra i seicento fortunati a cui è data la possibilità di conoscere ciò che la busta contiene. D’altronde se si tratta, come sembra, di copie numerate, vorrà dire che ciascuna di queste buste racchiude qualcosa di originale, di unico, se non addirittura di prezioso.
Non faccio in tempo a prendere coscienza di questo pensiero che, con un gesto selvaggiamente meccanico, strappo con indifferente violenza l’involucro di carta. E solo dopo aver osservato con attenzione il contenuto della busta, mi rendo conto di aver fatto una cazzata. Sì, proprio una cazzata. Perché la busta non “contiene” un “contenuto”, ma è parte integrante del contenuto, contenuto essa stessa. Un po’ come la copertina di un vecchio vinile, che nel suo assicurare all’oggetto un valore iconografico, mobilita nell’ascoltatore un racconto immaginifico. Devo ammettere che mi sono sentito un discreto idiota.

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TENTATIVO DI ESAURIMENTO #1_Mariangela Gualtieri

SBIRCIARE I MAESTRI
Intervista a Mariangela Gualtieri/Teatro Valdoca

M.P.: Parliamo di maestri? Ti sei spesso riferita, in tal senso, a Amelia Rosselli, a Dino Campana, a Dante, a Nisargadatta. In ambito più strettamente teatrale, chi riconosci come maestro, oltre ai tuoi compagni del Teatro Valdoca?

Mariangela Gualtieri: Prima di risponderti vorrei che tu non sottovalutassi questi miei “compagni del Teatro Valdoca”. Perché credo che l’esperienza dei gruppi segni proprio una nuova pedagogia: in un tempo in cui i maestri non si trovavano più nelle scuole, noi abbiamo creato delle scuole nelle quali eravamo allievi e maestri di noi stessi. E non propriamente ‘autodidatti’ perché non imparavamo qualcosa di pre-esistente, ma generavamo il nuovo che andavamo ad imparare, e ci nutrivamo di un ‘vecchio’ selezionato e assunto nella grande mobilità che i tempi cominciavano a concedere. A 20 anni  giravamo il mondo e incontravamo per caso e per destino i grandi registi del nostro tempo. Loro spesso non lo sapevano ma noi li divoravamo, con una passione che li avrebbe commossi, o forse irritati, o vitalizzati, chissà. Carmelo Bene e Antonin Artaud sono i miei sommi maestri. Riconosco in loro la stessa tensione, lo stesso tormento, lo stesso furore per la parola. Li sento come ‘coetanei che mi hanno preceduto’. Poi aggiungo Jerzy Grotowski e Peter Schumann.

M.P.: Come è avvenuta l’occasione dell’incontro con loro?

M.G.: I primi due non li ho mai incontrati in un faccia a faccia. Di Carmelo ho seguito tutti gli spettacoli fin dai primi anni di università, perché Cesare ne era entusiasta. Io guardavo e non capivo, ero confusa e incantata, guardavo come una demente e forse in parte lo ero. Poi venne al Bonci di Cesena a provare alcuni spettacoli e di nascosto andavamo a guardare. Incontrammo gli attori di Grotowski a Wroclaw, e lavorammo con loro alcuni giorni in un bel progetto che  si chiamava The tree of people. Chiusi per alcuni giorni in un edificio con finestre oscurate, senza orari per i pasti, per il sonno o per il lavoro in sala, in un flusso che creava momenti collettivi, pause, incontri, solitudini, ecc. Cesare ed io restammo alcuni mesi in Polonia con una borsa di studio. Nessuno allora voleva andare nei paesi dell’est – si era prima di Solidarnosc – ed era molto facile avere una borsa per quei paesi. In Polonia c’era forse il meglio del teatro mondiale di quegli anni (’70): Kantor e Grotowski. Riuscimmo anche a vedere il mitico Apocalypsis cum figuris di Grotowski, mentre un’amica polacca innamorata di Kantor (in Italia non lo si conosceva ancora) ci portava in un sotterraneo, a Cracovia, dove da una grata, nascosti da una tenda, potevamo sbirciare le prove de La Classe Morta. Avevamo le chiavi dei teatri: la notte salivamo gli scaloni coi tappeti rossi e di solito in cima in cima c’era  una stanza con cucina, riservate ai registi ospiti, nella quale alloggiavamo Cesare ed io. Il Bread and Puppet lo incontrai in America, sempre negli anni dell’università, anni in cui ho viaggiato moltissimo, spesso da sola. Partecipai alla grande festa che facevano in Vermont e lì scoprii quel mondo. Poi quando vennero in Italia lavorammo con loro al Masaniello e così conoscemmo Schumann da vicino.

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TENTATIVO DI ESAURIMENTO

Interviste a protagonisti della scena contemporanea
a cura di M.P.

Perché questo titolo? Nell’ottobre del 1974, per tre giorni, Georges Perec siede ai tavolini dei caffè o sulle panchine in place Saint-Sulpice, a Parigi, e osserva la piazza. Prende accuratamente nota di tutto.

“Ci sono molte cose: il municipio, un ufficio del Ministero delle finanze, un’edicola, un negozio di articoli sacri, un parcheggio, un istituto di bellezza, e ancora molte altre cose. Molte di queste sono state descritte, inventariate, fotografate. Il mio proposito è piuttosto descrivere il resto: quello che generalmente non si nota, quello che non si osserva, quello che non ha importanza”.

G. Perec, Tentativo di esaurimento di un luogo parigino, Voland, Roma, 2011 (ed. orig. 1975)

 

Lo stimolo di Perec sembra perfetto per questa rubrica, per tre motivi:

1             Lo sguardo inevitabilmente parziale e irriducibilmente soggettivo. Si proverà qui a raccontare, attraverso le interviste, non tanto la Storia del teatro, quanto alcune storie nel teatro.

2             Nell’esperimento di Perec c’è il commovente tentativo di esaurire una cosa, di dirla pienamente e compiutamente. Presto ci si accorge che non è possibile farlo, e forse lo si sa già quando si comincia, ma il tentativo rimane, proprio per questo, pura poesia.

3             L’esercizio di Perec è svolto, come detto, in place Saint-Sulpice, a Parigi. Su questa piazza si affaccia rue du Vieux-Colombier, al cui civico 21 si trova il mitico Théâtre du Vieux-Colombier, fondato da Jacques Copeau nel 1913: coincidenza vuole, dunque, che si sia a ridosso di una delle esperienze-chiave del Novecento teatrale.

Tutte le interviste che ospiteremo in questa rubrica partiranno da un tema comune: il rapporto con le origini del proprio fare teatrale e, soprattutto, il rapporto con i maestri. Si delineeranno così i percorsi artistici di ciascuno, attraverso diverse direzioni di approfondimento.

 

TENTATIVO DI ESAURIMENTO #1_Mariangela Gualtieri

TENTATIVO DI ESAURIMENTO #2_Teatro Due Mondi

TENTATIVO DI ESAURIMENTO #4 Franco Acquaviva /Teatro delle Selve

TENTATIVO DI ESAURIMENTO #5_Luigi Dadina (Teatro delle Albe)

 
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