Mariangela Gualtieri ci (s)guarda dal Ponte |
Sullo spettacolo Per voce e ombra del Teatro Valdoca [M. P.] Fabrizio Cruciani, a proposito dello spazio scenico del teatro Nô racconta di un ponte, con in fondo un sipario, che collega una stanza-camerino non visibile al pubblico, in cui l’attore si prepara, e il palcoscenico. Per l’attore che attraversa il ponte, Cruciani parla di “passaggio tra umano e sovrumano, un non essere più uomo e non essere ancora personaggio”. Questa immagine torna in mente, ma ribaltata, al termine dello spettacolo Per voce e ombra del Teatro Valdoca, visto il 28 febbraio 2012 nell’ambito della rassegna “Sguardi sul teatro contemporaneo”, presso il teatro Diego Fabbri di Forlì, rassegna che include, oltre a questo spettacolo, i lavori di altre tre compagnie romagnole (Rumore di acque del Teatro delle Albe, The dead – secondo shoot di Città di Ebla, e Pentesilea di Masque Teatro), realtà che rappresentano una punta avanzata delle ricerca nazionale e internazionale e che qui arricchiscono una stagione di prosa molto istituzionale e fin troppo convenzionale. Delogu al microfono di sinistra, Gualtieri al microfono di destra danno voce ai diversi personaggi dello spettacolo-madre, Caino. Dietro di loro, al centro, sta Enrico Malatesta col suo set percussivo. Una velatura di tulle nero si frappone fra il pubblico e ciascuno dei tre performer. Ognuno rimane nella propria postazione, nella penombra, per tutta la durata dello spettacolo (poco meno di un’ora): i pochi spostamenti, di peso o nello spazio, soprattutto di Delogu, nulla tolgono, o aggiungono, alla solida, scura immobilità voluta per questo lavoro. Negli ultimi minuti ritorna, rovesciata, l’immagine del ponte: Mariangela Gualtieri abbandona il palco, viene in proscenio e, finalmente senza movimenti e disequilibri fisici che ingabbiano, dice (o canta) i suoi grazie: un elenco di ringraziamenti, da lei scritto in occasione della scorsa edizione del Festival di Santarcangelo, allora recitato dall’alto della Torre Civica del paese. Là la grande lontananza, quel diventare figura iconica alta e lontana imponeva una distanza. Ora, dal proscenio, trasceso lo spettacolo, “rassegnandosi a non fare”, come direbbe Grotowski, quello smettere di essere personaggio e ritornare a essere persona ci è sembrato il momento più forte ed emozionante di tutto il lavoro. Per concludere, come si è iniziato, con un riferimento al Giappone, il pensiero corre a Georges Banu, quando afferma che “nella scena occidentale qualcosa accade, mentre in quella giapponese qualcuno arriva”. Mariangela Gualtieri è arrivata, ha attraversato il ponte in senso inverso e ora ci sguarda da vicino, coi suoi occhi così poco (o, forse, pienamente, davvero, fino in fondo) teatrali. Per voce e ombra |