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Focus on
Nuestra señora de las nubes

uno spettacolo brillante, dal sapore semplice e verace

[Giulia D’Amico] Ci sono spettacoli che dopo qualche tempo smettono d’esistere e ci sono invece spettacoli che continuano ad essere rappresentati per anni senza perdere la forza e l’attualità del momento in cui sono stati concepiti. È questo il caso di Nuestra señora de las nubes del gruppo ecuadoriano Malayerba, in scena da oltre dieci anni, oggi in tournée in diverse città della Spagna.
Lo spettacolo presenta in maniera atemporale un tema eternamente presente nella storia dell'umanità: l’esilio. In scena un uomo e una donna, che sembrano non conoscersi, s'incontrano per caso o per volontà del destino in un luogo indefinito, un luogo che probabilmente non esiste nemmeno, se non nei meandri della loro mente. Portano con sé una valigia, simbolo del loro continuo peregrinare, essendo entrambi condannati all’esilio politico (destino che accomuna gli stessi attori che hanno creato ed interpretano lo spettacolo). Oscar e Bruna, così si chiamano i due viaggiatori solitari, scoprono di essere originari dello stesso villaggio Nuestra señora de las nubes, scoperta che li condurrà a condividere un viaggio a ritroso nel tempo e nei ricordi. Sfogliando le pagine del passato riappaiono diverse figure che abitavano questo paese mitico, metafora del mondo: Memé (lo scemo del villaggio), sua nonna (la tipica nonna brontolona che non fa altro che parlare), il governatore con sua moglie, i fratelli Aguilera che passano le ore gridando dietro alle ragazze… Riaffiorano eventi, come il giorno della fondazione di Nuestra señora de las nubes, ed emerge la solitudine, quel sentimento di vuoto che accompagna la vita di un esiliato. Oscar e Bruna cercano disperatamente di dare un nome alle cose che hanno lasciato alle proprie spalle, ma il trascorrere del tempo ne trasforma la percezione: alcuni ricordi si fanno sempre più nebulosi e lontani, altri invece s’ingigantiscono, acquisendo un colore più vivido ed intenso. Il testo, ad opera del regista ed attore argentino Arístide Vargas, ha il merito di trattare il tema dell’esilio senza cadere nella retorica o nel pietismo, attingendo alla propria esperienza personale per creare sulla scena un mondo surreale ed assurdo. Con la stessa fluidità dei sogni, il testo offre situazioni comiche e grottesche per poi scivolare nella poesia ed ancora tornare bruscamente ad un tono irriverente. La messa in scena, estremamente essenziale, crea un primo piano sulla parola e sulla performance camaleontica degli attori.  Particolarmente minuziosa e stupefacente è la mimica facciale dell’attrice spagnola Charo Francés in grado di caratterizzare in maniera distinta la miriade di personaggi che interpreta in maniera esilarante.

 
IL CAMMINANTE, UN PO’ COME L’ORFEO


Attorno al lago d’Orta, a fine estate, nuove esperienze di TeatroNatura, alla ricerca del genius loci.


[m.p.] Le chiacchiere pre-spettacolo via via sfumano, se non altro per la fatica della camminata in salita nel bosco. Sista Bramini, regista e drammaturga, accoglie il pubblico e con calma introduce lo spettacolo Il camminante che sta per cominciare, invita al silenzio e all’ascolto, «per cercare di incontrare questo spettacolo e questo bosco». Viene in mente la toccata che apre l’Orfeo, favola in musica di Claudio Monteverdi del 1607: allora la confusione regnava sovrana prima, durante e dopo lo spettacolo (la rivoluzione wagneriana era di là da venire), e il clangore delle trombe avvisava gli spettatori che Musica stava per arrivare, che si facesse un po’ di attenzione, insomma. Bramini, per opposta dinamica (là molto forte, qui pianissimo), cerca e ottiene lo stesso effetto. Si riprende il cammino. Uno dopo l’altro, in campi lunghi o a distanza ravvicinata, gli eccellenti attori del Teatro delle Selve (Franco Acquaviva e Anna Olivero) e di O'Thiasos TeatroNatura (Carla Taglietti e Camilla Dell'Agnola - quest'ultima anche responsabile del lavoro sulla tessitura musicale e sui canti) mettono in scena, per il pubblico e con il pubblico, nel bosco e con il bosco, questo “spettacolo itinerante con canti”, dal testo teatrale che la scrittrice Laura Pariani ha tratto dal proprio racconto Il camminante.

E’ una storia che la velatura mitico-onirica avvicina a certe atmosfere cupe ed espiative della tragedia greca. Una storia d’acqua e monti, di follia ed espiazione, di amore e di fuga, di morte e rinascita. In modo visionario, e sulla falsariga di una leggenda narrata da Gustave Flaubert (quella di S. Giuliano Ospitaliero), la Pariani costruisce un’interpretazione fantastica della oscura storia del fondatore delle comunità cusiane, quel Giulio, o Giuliano, che da un’isola della Grecia (Egina) giunge, all’alba del IV secolo, sul Cusio infestato dai draghi e dai serpenti… Lo spettacolo insegue un fantasma: prima il piccolo Julo, bambino sensitivo con occhi di colore diverso, un padre autoritario e violento e una madre succube legata al figlio da un rapporto di profonda affinità; poi lo stesso Julo da giovane, nel momento tragico in cui uccide i propri genitori; infine l’uomo fatto, negli anni di fuga ed espiazione che seguono. A evocarlo, in un cammino che attori e spettatori compiono insieme ripercorrendone il viaggio, emergono i personaggi che hanno conosciuto Julo anche solo per un poco: la moglie inconsolabile, un cinico mercante girovago, un viandante cieco dalle doti profetiche, un pittore vagabondo, uno scontroso eremita. La risposta alla domanda di Julo-Giulio-Giuliano sul senso della propria vita alla fine si rivelerà in un paesaggio - un lago tra boschi, in mezzo al quale sorge un'isola - quando la natura, da enigma impenetrabile si farà per lui mistero, chiamandolo all'umiltà delle opere. Lo spettacolo mette in scena la storia di Julo con la modalità tipica del TeatroNatura, dove la morfologia dell’ambiente di fatto modifica, di volta in volta, l’aspetto visuale dello spettacolo e l’esperienza che di esso ne fa lo spettatore, che assiste e cammina insieme agli attori, entrando fisicamente nello spazio-tempo dell’evento teatrale, nell’emozione e nel sentimento, quasi dimenticato, del percepirsi essere vivente tra altri. Lo stesso Julo troverà in questa dimensione rigenerante la chiave per la sua trasformazione. Le musiche di scena, eseguite dal vivo, testimoniano e accompagnano l’umano peregrinare del protagonista, e sono il frutto di una ricerca nella tradizione polifonica contadina, costituendo un passo ulteriore nella ricerca sull’anima del luogo, il genius loci, appunto, verso la riscoperta di una sensibilità ancora legata ai ritmi e ai colori emotivi della natura. Il percorso musicale inizia in un camminar cantando di melodie popolari del centro-nord Italia, prosegue con canti e ritmi del Mediterraneo che rievocano l’isola-infanzia di Julo, fino a raggiungere l’apice della sua evoluzione spirituale attraverso la luminosità dei canti sacri della Georgia.
Lo spettacolo Il camminante è stato parte del programma di quattro giornate sul TeatroNatura, realizzate a fine estate 2012 nell’ambito di Teatri Andanti, piccolo prezioso festival che coraggiosamente resiste a tagli e distrazioni. In questa programmazione, anche lo spettacolo Sylva. Variazioni sulla foresta, dell’attrice-giardiniera Lorenza Zambon, la presentazione del libro Teatro e Natura, a cura della stessa Zambon e di Tomaso Colombo e, soprattutto, Immagin/azioni del camminare - terza edizione di Agire il paesaggio, l’incontro di studi e  performance promosso dal Teatro delle Selve, in collaborazione con O’Thiasos TeatroNatura e con il Dipartimento dei Beni Culturali e dello Spettacolo dell’Università di Parma. L’incontro, caratterizzato da una struttura mista (parti performative di TeatroNatura alternate a relazioni di filosofi, geografi, studiosi di estetica, letteratura, arti visive e spettacolo, ma anche di artisti),  quest'anno è stato dedicato al cammino come pratica estetica e come atto politico ed etico, e ha accolto i contributi di Enzo Cecchi|Piccolo Parallelo, Serena Gaudino, Andrea Amerio,  Antonio Moresco e Gimmi Basilotta|Il Melarancio.
Gli spettacoli, il libro, il convegno: iniziative che hanno coinvolto una piccola comunità di attenti, in cui si è indagata la relazione tra arte drammatica e coscienza ecologica, tra tecnica teatrale e ambiente naturale, proponendo un altro punto di vista sul teatro, un punto secondo cui la natura è spazio scenico sì, ma anche occasione d’incontro (dunque, in piena continuità con le rivoluzioni teatrali primonovecentesche). A Mantova, quattro secoli fa, l’Orfeo fu creato per un piccolo gruppo di dotti, l’Accademia degli Intronati, e da lì nacque la fortuna del genere che ha portato, nei secoli a venire, a un nuovo modo di ascoltare, via via più attento e consapevole. L'augurio è per la nascita, oggi, di una altrettanto proficua trasformazione di cui si avverte, certo, un gran bisogno.

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ESTATI ROMANE

Micro/Macro segnali di teatro


[Silvia Mei] Ultimi fuochi per la stagione teatrale dell’estate romana in un settembre all’insegna di due diversi ordini di grandezza e operatività organizzative: Short Theatre 7, diviso tra Teatro India e il centro La Pelanda, e Contemporanea Teatro 2012, ospitato in una castanicoltura nella storica cittadina di Segni, a 40 km a sud del capoluogo laziale.
Non si può parlare di culture di teatro differenti, ma di paesaggi e microclimi polari, di temperature sociali e flora locale agli antipodi.


West End informa la settima edizione di Short Theatre, un programma difforme con artisti e compagnie che diversamente interrogano le forme del teatro e il loro farsi nell’incontro con lo spettatore. L’allusione alla decadenza dell’impero occidentale funziona da metafora della (messa in) crisi dei dispositivi dello spettacolo; come evoca, del resto, l’oltranzismo nichilistico del teatro postnovecentesco, un post-teatro (l’espressione è di Grotowski) o un contro-teatro. Non si tratta semplicemente di affermare il contrario della rappresentazione - il rito, la performance - quale evento sincero e vissuto, ma di demolire e rifondare le sue strutture ripensando la relazione con lo spettatore. Lo spettro di realtà in cartellone è davvero sventagliato tuttavia si percepisce più che l’erosione delle forme rappresentative, l’esaurimento di una scena scaduta, che ripete instancabilmente la sua fine e riafferma una stanca assenza di orizzonti possibili per fare teatro se non per quello che si è.

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MIRADA

Uno sguardo sul teatro Ibero-Americano

[Giulia D'Amico] Dal 5 al 15 settembre ha avuto luogo la seconda edizione di MIRADA, Festival Ibero–Americano de Artes Cênicas de Santos(Brasile) a cui hanno partecipato compagnie provenienti da 14 Paesi diversi (Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Spagna, Messico, Paraguay, Perù, Portogallo, Uruguay e Venezuela) presentando un totale di 38 spettacoli.
Obiettivo del Festival è di mettere in evidenzia la pluralità di ricerca e di linguaggi scenici attualmente prodotti in questi Paesi, promuovendo un interscambio artistico e culturale grazie ad una serie di dibattiti ed incontri tenuti dagli stessi artisti presenti. In particolare, l'edizione di quest'anno è stata dedicata al Messico, in memoria dello scrittore Carlos Fuentes, recentemente scomparso.
All'interno della programmazione abbiamo incontrato, fra i più conosciuti, il collettivo La maldita vanidad (Colombia), la compagnia portoghese Artistas Unidos, il Teatro de Los Andes (Bolivia), Yuyachkani (Perù), Compaňia Teatro Cinema (Cile), Argos Teatro (Cuba), Teatro Línea de Sombra (Messico) e il Grupo Galpao (Brasile).
Anche quest'anno, il Festival si colloca fra gli eventi più importanti della scena teatrale sudamericana, grazie all'esperienza pluriennale dei membri del consiglio direttivo: Danilo Miranda (Direttore Regionale del SESC), Pepe Bablé (Direttore Artistico del Festival Ibero americano de Cádiz), Isabel Ortega (Consulente teatrale) e Ramiro Osório (Direttore del Teatro Julio Mario Santo Domingo di Bogotá).
MIRADA è una iniziativa promossa dal SESC (http://www.sesc.com.br), un'istituzione privata creata e sostenuta dalla comunità imprenditoriale, con l'obiettivo di promuovere progetti culturali ed educativi a servizio del cittadino.

 
AMARILLO

Un cittadino scompare e nessuno sa piú niente di lui

[Giulia  D’Amico] La compagnia messicana Teatro línea de sombra si presenta a MIRADA Festival Ibero - Americano de artes cênicas de Santos (Brasile) con uno spettacolo in bilico fra teatro, performance e video-arte. Nato nel 2009 dalla collaborazione con il regista Jorge A. Vargas ed il drammaturgo Gabriel Contreras, Amarillo (Giallo) presenta uno dei più grandi drammi del popolo messicano: la scomparsa di centinaia di persone che ogni anno, nel tentativo di emigrare negli Stati Uniti, muoiono nel deserto  del Chihuahua.
La scena è dominata da un muro immenso, simbolo della frontiera fra i due Paesi confinanti. Un muro insormortabile, che separa  e respinge.  Protagonista di Amarillo è un ragazzo di bassa estrazione sociale che ha deciso di partire in cerca di fortuna e porta  con sè un cappello per ripararsi dal sole, del pane e delle scatolette di tonno, un bidone d’acqua e la speranza di un futuro migliore. La sua storia si riflette in quella frontiera di vetro, unico testimone dei suoi ultimi giorni di vita e d’agonia sotto il sole cocente del Chihuahua. Nessuno riceve notizie della sua scomparsa. La fidanzata rimasta in Messico si trova ad andare avanti senza sapere cosa gli sia realmente accaduto. Solo l’immaginazione la può aiutare ad avvicinarsi a lui, cercando di figurarsi le ultime ore che avrà vissuto prima di morire per disidratazione. Attraverso la vicenda di queste due persone, Amarillo racconta una pluralità di storie similari: centinaia i protagonisti, i cui volti si sono persi nell’immenso giallo del deserto.
Lo spettacolo, attraverso l’impiego simultaneo di linguaggi scenici come il canto, la danza e le riprese video, ha la capacità di moltiplicare i piani del racconto e dell’azione, restituendo allo spettatore un’esperienza ricca di sensazioni. L’aspetto visuale è decisamente predominante e di grande impatto, grazie a un sapiente uso della proiezione, combinato con la ripresa live della performance stessa. Telecamere appese al soffitto filmano dall’alto la scena che viene proiettata in tempo reale sul piano verticale del muro, restituendo una doppia visione dello spettacolo, suggestiva ed intensa (che a momenti si quadruplica attraverso la sovra-proiezione di immagini laterali).

Accattivante ed impeccabile la performance degli attori che sperimentano uno stile interpretativo proprio, utilizzando elementi d’acrobatica e di street dance per esprimere la profonda disperazione dei personaggi. L’elemento tecnologico non sovrasta dunque la teatralità della performance, bensí mette in risalto la forza delle azioni e gesti degli attori e potenzia l’effetto dell’immagine teatrale. Numerosi gli oggetti di scena utilizzati per creare composizioni e giochi di luce. Sacchetti bucati, ripieni di sabbia, volano verso l’alto ricreando il vento del deserto, mentre per terra i vestiti degli emigranti scompaiono lentamente, simbolizzando i cadaveri inghiottiti dal deserto.
Tragico e ironico, dinamico e vivace, Amarillo rappresenta in maniera poetica e tagliente un esodo che rispecchia il dramma di milioni di persone in tutte le frontiere del mondo. Uno spettacolo imperdibile all’interno di MIRADA che da tre anni conquista e commuove le platee.

 
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