DOPO I MAESTRI |
a cura di Marco De MarinisDunque una nuova rivista di teatro. Un'altra, l'ennesima - penserà magari qualcuno. Certo, il panorama della pubblicistica teatrale, riviste comprese, è oggi - sul finire del secolo - sicuramente molto più ricco e soddisfacente di quanto non fosse sino a pochi lustri fa. E comunque soltanto i lettori potranno decidere se questa iniziativa risulterà non inutile e in grado di reggere nel tempo. Per parte nostra faremo beninteso tutto il possibile perché ciò accada e confidiamo, in proposito, anche nell'aiuto del pubblico, ampio ma non indifferenziato, cui intendiamo rivolgersi: gli studenti universitari di discipline teatrali, innanzitutto, ma anche e non secondariamente tutti coloro che a vario titolo agiscono nel settore dello spettacolo dal vivo: gli artisti, i gruppi, le scuole di teatro, i critici, gli organizzatori e quelli che ci piace chiamare gli spettatori partecipanti.Invece di magniloquenti e narcisistiche dichiarazioni di intenti, vorremmo più modestamente ricordare le ragioni principali che ci hanno spinto a promuovere questa iniziativa. Intanto, in primo luogo, la constatazione della perdurante mancanza, a trent'anni dalla sua fondazione, di un vero e proprio periodico di studi teatrali all'interno del DAMS di Bologna (l'importante e originale "Prove di Drammaturgia", diretta da Claudio Meldolesi e Gerardo Guccini, avendo altre e più specifiche finalità, come chiarisce già il suo sottotitolo "Rivista di inchieste teatralí" , in quanto primariamente espressione delle attività laboratoriali del CIMES, Centro di Musica e Spettacolo, struttura comunque operante all'interno del nostro Dipartimento). Sia chiaro: "Culture Teatrali" non è, e non vuole essere, il bollettino della sezione Teatro dei DAMS bolognese, o comunque un suo organo ufficiale; nasce però al suo interno e si propone di diventare una delle voci, sia pure senza vincoli istituzionali o burocratici. Si ripete di continuo che il livello medio degli studenti e dei laureati delle nostre università è calato e continua a calare. Sarà anche vero, anzi lo è sicuramente, ma ciò non toglie che siano ancora numerosi gli studenti di qualità notevole, capaci fra l'altro di produrre buone e talvolta eccellenti ricerche di tesi. In ogni caso, questo è quanto ci dice una ormai lunga esperienza di insegnamento e di ricerca nel nostro Corso di studi. "Culture Teatrali" intende mettere a loro disposizione uno spazio adeguato per impedire che un tale patrimonio sommerso vada completamente perduto. Sappiamo benissimo che quasi tutte le riviste esistenti nel settore propongono anch'esse contributi di giovani studiosi universitari; noi vorremmo però farlo con maggiore sistematicità e soprattutto tenendo conto che, spesso, i nostri laureati migliori rappresentano delle figure anfibie, androgine: intellettuali-artisti, i quali intendono operare - e non di rado già operano - con grande consapevolezza culturale nel campo dello spettacolo, come attori, registi, scenografi, consiglieri letterari, organizzatori, critici. Ciò vuol dire, quindi, che la nostra rivista - com'è forse inevitabile per un periodico di teatro - intende mettersi alle spalle ogni divisione rigida fra teoria e pratica, passato e presente, storia e attualità; ed anche la tripartizione studi/scritture/interventi va intesa come una semplice distinzione di comodo, riguardante più che altro delle differenze letterarie, diverse modalità espositive, e che comunque stravolgeremo ogniqualvolta ci sembrerà opportuno. Ma la separazione che più ci preme tentare di superare è quella fra l'università e l'esterno, che nel nostro caso è costituito in primo luogo - anche se non esclusivamente - dal mondo degli artisti e degli operatori. Come risulta evidente già da questo numero inaugurale, "Culture Teatrali" intende offrirsi come un'occasione per infittire, e rendere ancora più profondi e proficui, i legami esistenti fra coloro che si occupano a vario titolo di teatro nelle strutture universitarie e coloro che lo fanno al di fuori di esse, nel mondo delle professioni teatrali; individuando da subito gli interlocutori privilegiati nei maestri (viventi e scomparsi, contemporanei o del passato), detentori di saperi e di esperienze indispensabili per la salvaguardia della necessità dell'arte del teatro, come arte della relazione interumana in presenza, nell'epoca della virtualità e della rete (che non sono comunque fenomeni da demonizzare: la sacrosanta difesa ad oltranza del mestiere e dell'artigianato teatrali non implica in alcun modo il far finta che non sia stata ancora scoperta l'energia elettrica o che non sia stato ancora inventato il computer). Quanto all'arte teatrale, dovrebbe essere chiaro già dal nome scelto per il nostro periodico che non la consideriamo come un'entità unitaria e indiferenziata: oggi, alla fine del secolo delle rivoluzioni sceniche, il teatro non è più uno - se mai lo è stato veramente - e, rispetto alla pluralità dei fenomeni, delle possibilità e dei comportamenti che ne costituiscono il campo, non ci sembra possibile assumere un atteggiamento neutrale e agnostico, di pseudo-obiettività scientifica. Non si tratta certo di riproporre modelli ormai anacronistici (e comunque da non rimpiangere) di riviste di tendenza o di movimento. Si tratta ben diversamente di prendere atto, ad esempio, che mai come oggi si è fatto un gran parlare di arte, cultura, educazione in riferimento al teatro e però, più che nel passato, queste parole risultano troppo spesso fuori luogo; più precisamente, troppo spesso si tratta solo di parole, di puri "effetti annuncio" (come quelli della politica), messi in campo per dare credibilità a realtà di scoraggiante modestia o di fastidioso trasformismo (vino vecchio, e spesso inacidito, in botti nuove, insomma). Proprio perché ci poniamo come problema vero e urgente quello del valore dell'arte scenica autentica, e della sua difficile tutela nel presente, dobbiamo cercare di essere intransigenti tutte le volte (e non sono poche, purtroppo) in cui termini come "bene culturale", "funzione educativa", "utilità sociale" e simili servono soltanto a fornire facili legittimazioni (con relativi, congrui finanziamenti) alle operazioni pseudo-culturali e pseudo-artistiche più ciniche e sciatte. Ed è difficile scacciare il dubbio che questo stato di cose, ancora oggi, sia più grave in campo teatrale di quanto lo sia - poniamo - in quello delle arti visive o della musica. Intransigenza - innanzitutto con noi stessi - dunque, ma senza intolleranza o chiusure preconcette: vogliamo discutere con tutti quelli interessati sul serio a farlo e ci impegniamo a dare spazio anche ai punti di vista che ci sono più lontani - e ciò sia in sede di riflessione storica sia nel dibattito sul presente e sulle prospettive future. Nell'intervento che compare in questo numero, Leo de Berardinis così delinea il profilo di un Teatro Nazionale di Ricerca: "non un teatro che programmi semplicemente degli spettacoli, ma che favorisca la nascita e la crescita di una diversa mentalità, di un diverso modo produttivo e lavorativo, che coinvolga anche studiosi e specialisti delle varie discipline, che, messe in relazione, diano vita a quel fenomeno complesso, eppure semplice, che è l'evento teatrale". Per parte nostra assumiamo questa ipotesi come un impegno in prima persona e un obiettivo a cui lavorare insieme.
Editoriale, CT n. 1, autunno '99 |