Ai sensi della Legge 7 marzo 2001 n°62, si dichiara che Culture Teatrali non rientra nella categoria di "informazione periodica" in quanto viene aggiornato ad intervalli non regolari.ng

 

Focus on
IN RISPOSTA

RISPOSTA A GOFFREDO FOFI SUL DAMS
di Marco De Marinis

Le polemiche e le provocazioni, anche forti, possono e debbono essere accettate, ma per risultare davvero utili dovrebbero fondarsi, onestamente, su dati solidi e informazioni precise. Purtroppo, nulla di tutto questo troviamo nell’articolo di Goffredo Fofi C’era una volta il Dams pubblicato da “L’Unità” di domenica 17 ottobre. Spiace constatare come, in questa occasione, un intellettuale noto per le sue posizioni spesso coraggiose e controcorrente e per la vocazione minoritaria, si sia limitato a rimuginare – mettendoci di suo soltanto un’ostilità e addirittura un livore sospetti e sicuramente degni di miglior causa – i più vieti luoghi comuni circolanti sul DAMS, vecchi come la sua storia ormai quarantennale. Le affermazioni e le insinuazioni di Fofi avrebbero bisogno di una risposta ben altrimenti articolata di quella possibile ora come reazione “a caldo”.

Mi limiterò a confutare i capi d’accusa più importanti, confinando in premessa la correzione di imprecisioni e omissioni tuttavia gravi, riguardanti la storia di questo corso di laurea: che, tanto per cominciare, fu ideato e fondato da un illustre grecista e grande appassionato di teatro, Benedetto Marzullo, sul finire degli anni Sessanta. Fu lui (stranamente dimenticato dall’articolista) a chiamare, assieme a molti altri fra gli intellettuali e gli artisti più prestigiosi dell’epoca, anche i due soli citati da Fofi: Tomas Maldonado e Umberto Eco. Di quest’ultimo, egli crede di ricordare “un entusiasmo quasi contagioso” per il DAMS, che il sottoscritto – suo stretto collaboratore all’epoca – non ha mai colto, ricordando al contrario il fastidio malcelato con il quale Eco si rivolgeva spesso ai colleghi “teatranti” e la sua costante aspirazione a spostarsi in un dipartimento più “serio”, magari quello di Filosofia. Poi – come si sa – le cose andarono diversamente ed Eco – per scappare dal DAMS – inventò, da una costola dello stesso, Scienze della Comunicazione. Chapeau!

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VISIONI di VIE

EUREPICA. Challenge.
L'epica cartografica del Belarus Free Theatre

di Erica Faccioli

Così, in tutto il lavoro, la mia tendenza è stata quella di far assurgere il dolore del singolo alla generalità, alla tipicità del tempo presente, sconfinando ogni volta, quand'era possibile (alzando e abbassando il soffitto), dalla piccola stanzetta nel mondo.
E. Piscator


È una mappa geopolitica, composta di memoria storica e di una tensione sociale rivolta al futuro, a configurare EUREPICA. Challenge, proposta scenica del Belarus Free Theatre. La compagnia bielorussa, presente per la seconda volta al Festival Vie di Modena, nella cornice delle attività dell'ERT (Emilia-Romagna Teatro), ha portato a compimento una tappa essenziale della ricerca intrapresa cinque anni fa quando, il 30 marzo del 2005, Natalia Koliada e Nikolai Khalezin hanno fondato il Libero Teatro bielorusso (inaugurando un “Concorso internazionale di drammaturgia contemporanea”, lanciato sul sito: www.dramaturg.org). Lo  scopo principale dei fondatori del BFT è far fronte a una emergenza: dar vita ad uno spazio libero di circolazione creativa, surclassando, così, rigidezze e censure politiche. La storia, travagliata e ormai nota, di questo teatro di contro-informazione, cede il passo al valore della ricerca: in questo ultimo lavoro, estremamente ambizioso, sono riconoscibili svariati elementi che hanno segnato gli spettacoli presentati alla scorsa stagione del Festival (Zone of silence, Being Harold Pinter, Discover love, Generation Jeans) e che, condensati in EUREPICA, rivelano un procedimento scenico, divenendone la cifra stilistica.

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IN RICORDO DI LUIGI SQUARZINA

L’intellettuale illuminato
di
Giuseppe Liotta

Con la scomparsa di Luigi Squarzina se n’è andata non solo una delle figure più importanti del teatro italiano del Novecento, ma proprio uno dei padri fondatori della nostra scena nazionale. Si dice che sia stato Vittorio Gassman a convincerlo ad iscriversi all’Accademia nazionale d’Arte Drammatica, la allora nuova scuola per attori e registi creata da Silvio D’Amico. Squarzina, mentre si laureava con lode in Giurisprudenza, si diplomava come regista all’Accademia. 
Debuttò con il saggio di regia di Uomini e topi da Steinbeck, il primo spettacolo ad andare in scena a Roma nel 1944, appena giunti gli americani. In quegli anni di immediato dopoguerra collaborò anche con Alberto Moravia alla trasposizione teatrale del romanzo Gli indifferenti. Pochi anni più tardi, nel 1949, iniziò l’attività di drammaturgo conL’Esposizione universale, testo mai rappresentato in Italia per divieto della censura, ma che ottenne il Premio Gramsci 1949 e fu gratificato dalla pubblica lettura di Vittorio Gassman e di Giorgio Albertazzi. La giuria di quelPremio Gramsci era composta da Orazio Costa, Eduardo De Filippo, Vito Pandolfi, Paolo Stoppa e Luchino Visconti.
Se molti ricordano la sua attività di direttore artistico del Teatro di Genova (dal 1962 al 1976, assieme a Ivo Chiesa) e del Teatro Argentina di Roma (dal 1976 al 1983), non va dimenticata la curatela di importanti “voci” per laEnciclopedia dello Spettacolo fondata da Silvio D’Amico. Luigi Squarzina ha rappresentato forse l’esperienza teatrale più cosciente, rigorosa e significativa di quella “regia critica” che, nata nel secondo dopoguerra, rimane una delle modalità di rappresentazione più feconde anche del teatro contemporaneo (si pensi al lavoro di Luca Ronconi e Massimo Castri).

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Principio D’ascolto
FESTaCASA #0
di
Matteo Antonaci

Eliminare ogni linea di demarcazione tra spazio pubblico e spazio privato, lasciare insidiare la ricerca artistica all’interno di mura domestiche, cucine, bagni e piccoli angoli bui che raccontano e racchiudono l’intimo calore della propria esistenza. È questo l’intento di FESTaCASA, micro-festival ideato da Chiara Pirri e inaugurato il 19 settembre 2010 con la serata pilota dal titolo Principio D’ascolto.
Un progetto che scardina i canoni degli spazi fisici dedicati alle manifestazioni artistiche e che rompe ogni serratura per spalancare le porte della dimensione privata e lasciare libero sfogo alla creazione teatrale. A ospitare il micro-festival è, infatti, la stessa dimora di Chiara Pirri (nel quartiere Mandrione di Roma), spazio fascinoso e inusuale, accogliente per la sua intimità e allo stesso tempo quasi ostile nella sua essenza di architettura di affetti, ossia spazio permeato da significanti a se stanti, continuo stimolo per lo spettatore.

«
Porsi in ascolto e forti di un equilibrio vulnerabile, inseguire un obiettivo in cammino, in solitudine e condivisione», sono queste le parole con le quali Pirri spiega il suo progetto, nato con l’intento di cercare nuove strade e nuovi modelli di produzione laddove la gestione pubblica dell’intelligenza artistica risulta insulsa quanto inesistente. E “condivisione” sembra il termine più adatto per descrivere il momento di fruizione delle performance ospitate durante la serata.

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The Sea of Trees a LONDRA
JUKAI di Theatre Témoin
di Giulia D’Amico
Unendo le tecniche del teatro orientale ed occidentale, una giovane compagnia
londinese dà vita ad un
o spettacolo intenso e vibrante.

È incredibile come in uno dei più piccoli spazi teatrali di Londra si nasconda il teatro più raffinato e degno di nota. Il Blue Elephant Theatre apre la propria stagione teatrale con uno delicato spettacolo di narrazione, ideato da Theatre Témoin (www.theatretemoin.com), giovane compagnia londinese dal cast internazionale. Guardando lo spettacolo, è possibile notare come le diverse culture degli attori abbiano influenzato e guidato l’intero processo creativo, dalla creazione del testo e dei personaggi, alle scelte registiche e tecniche attoriali adottate.
Un racconto tradizionale giapponese viene riferito agli spettatori attraverso il punto di vista dell’autore: una giovane donna francese. In cerca di ispirazione, la donna si trova a Tokyo, insieme al proprio fidanzato, nella speranza di avvicinarsi alla cultura giapponese. Dopo notti insonni passate a scrivere, la scrittrice decide di recarsi nella foresta chiamata The Sea of Trees, dove la protagonista del racconto dovrebbe scappare. Nel bosco la scrittrice incontra ed insegue i propri personaggi, osserva le loro vicende, prende appunti e a volte interviene a cambiare il corso degli eventi.

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