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Focus on
Quirino_REVOLUTION
Il lato MAD del Teatro Quirino. Quando è il pubblico a fare la rivoluzione
di Silvia Mei


Si è appena concluso Quirino Revolution MAD – acronimo per Maestri Avanguardie Derive del teatro contemporaneo – singolare festival che ha inaugurato la stagione del Teatro Quirino di Roma (rilevato nel 2009 dopo la lunga gestione ETI, dal 1946, con la direzione artistica di Geppy Gleijeses, in coordinamento col Teatro Stabile della Calabria). L’eccezionale iniziativa, alla sua seconda edizione, è da ascriversi nell’ideazione e nella progettazione al pirotecnico Lorenzo Gleijeses, scuderia Odin Teatret, promessa d’attore italiano, sapiente corago e consumato animatore e promotore di nuovi formati: giovani, freschi, intelligenti. Dieci giorni, dal 17 al 27 settembre, in cui si sono avvicendati, nella giungla di iniziative romane, ventiquattro formazioni, tra performer e compagnie, solisti e ensemble, italiani ed europei, di fama internazionale e nuove (soprattutto giovani) proposte. Un mix tutt’altro che posticcio che ha decisamente sovvertito i riti e l’ordine della nota sala romana e invita a riflettere sugli spazi del teatro italiano (nel senso materiale di luoghi fisici e in senso culturale di patrimonio intellettuale), sul rapporto tra tradizione e innovazione, sul posto del pubblico.

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REVOLUTION-MAD Maestri Avanguardie Derive
MI È APPARSO LEO… (A “QUIRINO REVOLUTION”)
di Marco De Marinis

Qualche sera fa mi è apparso Leo: no, non in sogno o in visione ma proprio in carne ed ossa sulla scena. Ero al Teatro Quirino, dove si sta svolgendo con successo (dal 17 al 27 settembre) la bella rassegna Quirino Revolution curata da Lorenzo Glejieses, che per il secondo anno inaugura la stagione di quel teatro (ne renderà conto più ampiamente Silvia Mei su queste pagine). Ed è qui che, il 20 settembre, mi è sembrato appunto di rivedere il mitico Leo de Berardinis: avanzava dal fondo della scena alto, magrissimo, dinoccolato, con un cappottino corto sulla candida camicia, la bombetta alla Totò in testa e una scopa tenuta alzata con una mano, parlando con una leggera ma riconoscibile inflessione apulo-partenopea. Si trattava di Gianfranco Berardi, autore attore e regista, sicuramente uno degli astri nascenti del nostro teatro, appena trentunenne e già ricoperto di riconoscimenti, in particolare il Premio Scenario 2005 per Il deficiente, e ora consacrato anche come drammaturgo dal volumetto che la Ubulibri gli ha appena dedicato, pubblicando un trittico col titolo Viaggio per amore. Dal Deficiente a Land Lover (introduzione di Franco Quadri).

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META(M)-TEATRO
EFFETTO MEGALOOP NEL SEGNO DELL’UROBORO
di Silvia Mei
Una mostra, un libro e un archivio per documentare creativamente e criticamente i 30 anni di attività artistica e di storia teatrale di una delle maggiori compagnie italiane, Tam Teatromusica, fondata nel 1980 da Michele Sambin, Pierangela Allegro e Laurent Dupont, diversamente provenienti dalle arti visive, dalla performance art e dalla musica (www.tamteatromusica.it).
Megaloop, titolo della “messa in mostra” e della monografia sulla compagnia, è il dispositivo con cui Sambin e Allegro, in collaborazione con Riccardo Caldura, hanno impostato quella che possiamo considerare una ciclopica (meta)creazione: a partire da Il tempo consuma (1979), la tecnica video del loop largamente usata, e in parte inventata, da Sambin, pionere della videoart italiana, viene qui applicata all’intera produzione di Tam, allestita temporaneamente (8 maggio-6 giugno 2010) nello spaziale e “futurista” Centro Culturale Altinate/S. Gaetano di Padova. Una mostra che ogni visitatore percorrerebbe all’infinito.
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reportage_sudamerica
TEATRI NUOVI DAL NUOVO MONDO
Travelogue
nella scena sudamericana
di Silvia Mei

Il teatro sudamericano, è noto, ribolle di novità e di ultimi ritrovati che non tardano a raggiungere i nostri lidi gemmando iniziative tematiche quando non veri e propri fenomeni che precipitano spesso in coproduzioni festivaliere, iniziative editoriali, residenze artistiche.
É avvenuto così – ma si tratta di un fenomeno ancora in corso che deve raggiungere il suo acme – per il teatro argentino, o meglio porteño. Doverosa precisazione, dal momento che il teatro della “provincia” – come si dice un po’ spregiativamente di quanto esiste fuori dalla capitale argentina – è molto diverso e spesso di minor pregio.
Dopo Eduardo Pavlovsky e Ricardo Ba
rtíz – punte della vecchia guarda del nuovo teatro (leggere dramma) a Buenos Aires  è stata la volta di autori-registi e scafati attori come Daniel Veronese (www.autores.org.ar/dveronese/) e Rafael Spregelburd (www.rafaelspregelburd.com.ar) molto più europeizzati di quanto danno a intendere - che stanno conoscendo nel vecchio continente una stagione decisamente felice. Questi ultimi, più marcatamente dei predecessori e con piglio autonomista, hanno operato una vera e proprio apertura del dramma e rottura della rappresentazione, pur mantenendo un'allure autoctona. Lungo questo spartiacque – che potremmo prudentemente denominare “generazione di mezzo” – dobbiamo anche inserire il nuovo fiore all’occhiello della drammaturgia (leggere teatro) argentina, il giovane e rampante Claudio Tolcachir (www.timbre4.com), autore-attore-regista che sta impazzando in Spagna e in Francia, meritando qui ben cinque settimane nella prestigiosa piazza del Théâtre du Rond Point (dal 15 ottobre al 20 novembre), riserva indiscussa di Pippo Delbono, Socíetas Raffaello Sanzio ed Emma Dante.

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CONVERSANDO CON CESARE RONCONI

di Antonino Pirillo

ANTONINO PIRILLO: Chi sono le persone che stanno in scena? Si possono chiamare ancora attori? O performer o attanti? O figure?

CESARE RONCONI: In realtà il mio è un lavoro tradizionale. Mi sono accorto di essere legato ai canoni del teatro orientale. L’attore è dunque una figura che si colloca sempre in un canone determinato.

 

A.P: Si tratta di una tipizzazione?

C.R.: Una tipizzazione? In realtà sono figure del dolore umano. Mi viene in mente il teatro giapponese. Porta sempre delle figure: una giovane, un vecchio, un uomo, un ragazzo delicato, una geisha. Sono figure per me radicate in un sogno, sono figure della paura, del sonno, della discordia interna, della veglia. La paura non si vede ma si fa sentire. E il repertorio delle paure agisce sull’immaginazione. Il sogno ci dona una conoscenza non razionale.

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