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IN RICORDO DI LUIGI SQUARZINA

L’intellettuale illuminato
di
Giuseppe Liotta

Con la scomparsa di Luigi Squarzina se n’è andata non solo una delle figure più importanti del teatro italiano del Novecento, ma proprio uno dei padri fondatori della nostra scena nazionale. Si dice che sia stato Vittorio Gassman a convincerlo ad iscriversi all’Accademia nazionale d’Arte Drammatica, la allora nuova scuola per attori e registi creata da Silvio D’Amico. Squarzina, mentre si laureava con lode in Giurisprudenza, si diplomava come regista all’Accademia. 
Debuttò con il saggio di regia di Uomini e topi da Steinbeck, il primo spettacolo ad andare in scena a Roma nel 1944, appena giunti gli americani. In quegli anni di immediato dopoguerra collaborò anche con Alberto Moravia alla trasposizione teatrale del romanzo Gli indifferenti. Pochi anni più tardi, nel 1949, iniziò l’attività di drammaturgo conL’Esposizione universale, testo mai rappresentato in Italia per divieto della censura, ma che ottenne il Premio Gramsci 1949 e fu gratificato dalla pubblica lettura di Vittorio Gassman e di Giorgio Albertazzi. La giuria di quelPremio Gramsci era composta da Orazio Costa, Eduardo De Filippo, Vito Pandolfi, Paolo Stoppa e Luchino Visconti.
Se molti ricordano la sua attività di direttore artistico del Teatro di Genova (dal 1962 al 1976, assieme a Ivo Chiesa) e del Teatro Argentina di Roma (dal 1976 al 1983), non va dimenticata la curatela di importanti “voci” per laEnciclopedia dello Spettacolo fondata da Silvio D’Amico. Luigi Squarzina ha rappresentato forse l’esperienza teatrale più cosciente, rigorosa e significativa di quella “regia critica” che, nata nel secondo dopoguerra, rimane una delle modalità di rappresentazione più feconde anche del teatro contemporaneo (si pensi al lavoro di Luca Ronconi e Massimo Castri).

Nel 1968, in occasione dell’allestimento delle Baccanti di Euripide, avviene l’incontro – felice per noi – con Benedetto Marzullo, che lo chiama nel 1970 a ideare e fondare il D.A.M.S. di Bologna, e quindi a ricoprire l’insegnamento diIstituzioni di regia (dal 1975 sarà professore ordinario di questo Ateneo). Squarzina divenne, in qualche modo, l’anima e la filosofia di un progetto culturale e universitario (rivoluzionario, a quei tempi) che scardinava dall’interno sia le modalità di reclutamento accademico, sia quelle, più direttamente percepite dagli studenti, dei contenuti e della forma della didattica. Intorno alla sua coraggiosa e importante scelta professionale, si costruì un pool di docenti fatto dei più bei nomi del mondo teatrale, musicale, letterario e artistico di quel periodo, come Umberto Eco, Tomas Maldonado, Gianni Polidori, Alfonso Gatto… 
Squarzina è stato l’autore di spettacoli memorabili: ricordiamo il Molière-Bulgakov, per avere risolto in maniera stupefacente il problema, in quegli anni ’70 molto conflittuale, fra “scrittura scenica” e “scrittura drammaturgica”; il mirabile Goldoni di I due gemelli veneziani, con uno strepitoso Alberto Lionello; un’indimenticabile Madre Courage, con Lina Volonghi, in cui veniva superbamente indicata una originale “via italiana” per gli allestimenti brechtiani. Si è anche confrontato con testi “classici” e con autori come Sartre, Pirandello, Miller, O’Neill, e col teatro d’opera. 
Regista televisivo, autore di sceneggiature cinematografiche, perfino attore per il Caso Mattei di Francesco Rosi, autore drammatico e studioso insigne, oggi lo ricordiamo anche per le oltre cinquecento pagine del saggio Il romanzo della regia, sottotitolo Duecento anni di trionfi e sconfitte (edito nel 2005) in cui sono raccolte le sue più alte e acute riflessioni sulla vita del teatro e sul teatro come vita. Importante anche la sua attività di drammaturgo, con testi come La romagnolaCinque giorni al portoRosa LuxemburgTre quarti di lunaEmmetìSiamo momentaneamente assenti.
Ora che ci ha lasciato, a nome di tutti coloro che amano il lavoro di palcoscenico e quello nato fra “sudate carte”, un grazie per quanto ci ha regalato nel corso della sua luminosa attività intellettuale e artistica. Grazie dagli spettatori, dai colleghi e dagli studenti, a un uomo di teatro burbero e generoso, capace di vivere nel lavoro di tutti i giorni la sua utopia di un teatro essenzialmente pedagogico e civile.

 

 
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