a cura di Antonino Pirillo
Le quattro interviste - che appariranno a puntate su Culture Teatrali.org - a cura di Antonino Pirillo sono state realizzate cercando con tenacia lo spazio-tempo-disponibilità di Romeo Castellucci, Pippo Delbono, Cesare Ronconi, Pietro Babina e Fiorenza Menni. Pensate come una sorta di coronamento e prove del nove della serrata analisi che Pirillo ha condotto nella tesi di laurea Fenomenologie attoriali negli spettacoli di Pippo Delbono, Socìetas Raffaello Sanzio, Teatrino Clandestino, Teatro Valdoca (aa 2008-2009, Facoltà di Scienze Umanistiche, Sapienza, Università di Roma, relatore prof. Valentina Valentini, correlatore, prof. Luciano Mariti) si soffermano su una serie nutrita di spettacoli di ciascuna compagnia in un arco cronologico che va dal 1992 al 2006. Sono stati attraversati:
- Amleto, Orestea e Genesi della Socìetas Raffaello Sanzio - Il silenzio, Urlo, Questo buio feroce di Pippo Delbono - Parsifal e Paesaggio con fratello rotto del Teatro Valdoca - Variazioni su Hedda Gabler, Madre Assassina di Teatrino Clandestino
La domanda da cui si è originato il lavoro di ricerca, condotto prendendo in carico vari documenti – registrazioni audiovisive, recensioni, diretta esperienza dello spettacolo, dichiarazioni degli autori – e producendo, attraverso una rigorosa griglia di analisi, un’indagine dello spettacolo attraverso la ricostruzione delle azioni e dei gesti, del registro verbale e sonoro, dello spazio scenico si è orientata a ridefinire il lavoro dell’attore e il suo ruolo nella scena di fine millennio. Lo studio di Antonino Pirillo ha individuatoo alcuni dispositivi come: lo smembramento dell’organismo in parti del corpo e della voce dal corpo; la vanificazione del senso affidata al linguaggio verbale, l’a solo... - Valentina Valentini ---------------------------------------------------------------------------------------------- CONVERSANDO CON TEATRINO CLANDESTINO di Antonino Pirillo ANTONINO PIRILLO: Come definite le presenze che abitano le scende del Teatrino Clandestino? Performer, attanti, figure? O forse supermarionette digitali? FIORENZA MENNI: Se le persone riconoscono in alcuni esseri umani il concetto e la parola attore, questi ultimi verranno sempre chiamati attori. Non è una cosa che viene imposta. Può esistere, invece, il fatto di pensare e osservare come questi esseri umani che vengono definiti attori possano aggiungere continuamente delle particolarità. È sempre una questione di sovrapposizione perché il primo gesto che un essere umano fa quando sceglie di entrare in scena o mettersi davanti a una telecamera o cinepresa è di aggiungere qualcosa a se stesso. E quest’aggiunta è infinita così come lo è la concezione che gli esseri umani possono avere e infinite sono le direzioni. Si possono, quindi, sovrapporre a un individuo infinite azioni, infiniti oggetti, infiniti abiti, infiniti altri individui.
A.P.: C’è differenza tra le figure del Teatrino Clandestino e quelle che calcano le scene di Pippo Delbono? F.M.: In scena non c’è nessuna differenza. Dall’esterno sì, perché ci sono diverse tipologie di indicazioni. La scelta deve essere però libera da entrambe le parti. Se così non fosse, allora non si può parlare di attore. Ho capito cosa vuoi dire ma non sono convinta che ci sia una differenza. Il fatto che l’attore abbia scelto di mettersi in una posizione diversa dal pubblico presuppone l’essere guardati ma anche l’essere ascoltati, percepiti, sentiti perché, come Madre e Assassina dimostra, la percezione dell’attore non è univoca. La differenza è nella quantità di sovrapposizioni.
A.P.: Che intendi per sovrapposizioni? F.M.: Le indicazioni che mi vengono date che possono essere di tipo narrativo, psicologico, sentimentale, filosofico, estetico, ritmico, contestuale, inerenti al costume; la consapevolezza che, insieme a chi è fuori, tu hai fatto verso quella figura che verrà ascoltata, guardata, percepita e così via…
A.P.: Si mette in evidenza più che lo stare in scena la consapevolezza dello starci… F.M.: Sicuramente avremo una consapevolezza diversa. La questione dell’attore è un fatto semplicissimo; é il livello di complicazione che può diversificare ma non ha a che fare con la qualità. La complessità non è necessariamente una qualità. C’è però un piano di stratificazione in cui siamo la stessa cosa, poi ovviamente le stratificazioni, i lucidi aggiunti possono essere completamente diversi. PIETRO BABINA: Se si può fare una differenza è che c’è un attore che è un artista e un altro che non lo è. Fiorenza è un’attrice che è un’artista mentre un altro attore per esempio in scena porta in sé, pur nella consapevolezza di essere lì, nella scelta di esserlo, un sapere che appartiene a qualcun altro. In un’attrice stratificata come Fiorenza c’è una complessità e una consapevolezza dell’uso e dello stare che è completamente differente, cioè è altro. |
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a cura di Antonino Pirillo
Le quattro interviste - che appariranno a puntate su Culture Teatrali.org - a cura di Antonino Pirillo sono state realizzate cercando con tenacia lo spazio-tempo-disponibilità di Romeo Castellucci, Pippo Delbono, Cesare Ronconi, Pietro Babina e Fiorenza Menni. Pensate come una sorta di coronamento e prove del nove della serrata analisi che Pirillo ha condotto nella tesi di laurea Fenomenologie attoriali negli spettacoli di Pippo Delbono, Socìetas Raffaello Sanzio, Teatrino Clandestino, Teatro Valdoca (aa 2008-2009, Facoltà di Scienze Umanistiche, Sapienza, Università di Roma, relatore prof. Valentina Valentini, correlatore, prof. Luciano Mariti) si soffermano su una serie nutrita di spettacoli di ciascuna compagnia in un arco cronologico che va dal 1992 al 2006. Sono stati attraversati:
- Amleto, Orestea e Genesi della Socìetas Raffaello Sanzio - Il silenzio, Urlo, Questo buio feroce di Pippo Delbono - Parsifal e Paesaggio con fratello rotto del Teatro Valdoca - Variazioni su Hedda Gabler, Madre Assassina di Teatrino Clandestino |
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11 AND 12 L'utlima produzione di Peter Brook di Giulia D'Amico - Ispirandosi alla figura dello scrittore Amadou Hampaté Bâ, la nuova produzione di Peter Brook rappresenta la complessa relazione fra le autorità coloniali francesi e la popolazione africana, all'epoca d'una controversia dottrinale musulmana. Lo spattacolo, incentrato sullo storytelling tradizionale africano, sprona alla riflessione su una storia di ieri, estremamente contemporanea... Dopo il debutto nel proprio teatro parigino, il Théâtre des Bouffes du Nord (www.bouffesdunord.com), Peter Brook approda al Barbican Centre di Londra (http://www.barbican.org.uk/theatre) con la sua ultima opera 11 and 12. Prodotto dal barbicanbite10, dal Théâtre des Bouffes du Nord e dal Grotowski Institute di Wroclaw, lo spettacolo dal cast internazionale (attori provenienti da Palestina, Africa, Inghilterra, Spagna, Francia, Giappone) si ispira alla figura del più importante esponente della narrativa africana in lingua francese Amadou Hampaté Bâ e al suo romanzo Il saggio di Bandiagara (in Italia edito da Neri Pozza editore). L'adattamento del testo è ad opera di Marie-Hélène Estienne, collaboratrice di Brook dal '74, che, insieme al regista, ha avuto la possibilità di conoscere di persona lo scrittore, prima della sua scomparsa nel '91. |
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ROUL E IL SUO DOPPIO Thiérrée affascina la platea londinese del Barbican
di Giulia D'Amico - Al centro di un modo cupo e misterioso un solo uomo, Raoul, alle prese col proprio alter-ego e con la dura lotta alla sopravvivenza. In scena, il danzatore-acrobata, James Thiérrée, sfida la forza di gravità, incanta e stupisce, dando vita a uno spettacolo epico e visionario, in perfetto equilibrio tra virtuosismo e immaginazione...
LONDRA - James Thiérrée, nipote di Charlie Chaplin, approda a Londra, al teatro Barbican, col suo ultimo spettacolo Raoul. Considerato il più grande genio della scena circense contemporanea, è la prima volta che l’artista svizzero si cimenta nella regia d’un one-man-show, dando vita ad uno spettacolo visionario, privo di parola, in cui l’elemento circense sembra scomparire, assorbito da una messa in scena dal più ampio respiro. Sul palco, vediamo un Thiérrée in grado di coniugare e giocare con i linguaggi del teatro, della danza, del mimo, dell’acrobatica e della musica (in scena suona anche il violino), dando vita ad un’opera dalla portata epica e di difficile classificazione, una sorta di teatro totale, senza però scivolare in un uso retorico della regia. |
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