///Una rubrica per ripensare la relazione tra semiotica e teatro oggi/// a cura di Luca Di Tommaso
Teatralità ed estraniamento del saluto nazista in The Dictator di Charlie Chaplin. (1) di Luca Di Tommaso [PDF]
0. Considerazioni preliminari
In questo saggio mi propongo di condurre l’analisi dell’estraniamento del saluto nazista nel film The Dictator (Chaplin, 1940). Dico “estraniamento” in senso pienamente brechtiano, perché si tratta di un’opera analizzabile con gli strumenti concettuali elaborati da Brecht (la Verfremdung come modo di partecipazione critica al mondo della Storia) e contestualizzabile in un dominio intertestuale dell’opera brechtiana dove spiccano drammi come Furcht und Elend des dritten Reich (1938), Der Aufhaltsame Aufstieg des Arturo Ui (1941) e Schweyk im zweiten Weltkrieg (1944). (2) Eviterò di affrontare tutta una serie di questioni teoriche circa la gestualità generale, cinematografica e teatrale e i problemi legati alla metodologia descrittiva e analitica. Si tratta di temi troppo importanti per affrontarli qui e, per quanto sia problematico scrivere sul gesto senza chiarire preliminarmente in cosa si distingua dal movimento, dall’atto o azione, e perché lo si descriva in un modo piuttosto che in un altro, tutto questo mi porterebbe troppo lontano. Mi limito a segnalare che la prospettiva nella quale mi muovo, dal punto di vista tanto teorico che metodologico, è quella semiotica. Ora, anche in semiotica c’è un’ampia ed eterogenea gamma di approcci e metodologie per lo studio della gestualità. Anche da questo punto di vista, non potrò andare a fondo; rimando però a una serie di studi per me di riferimento imprescindibile. (3)
1. Il gesto del saluto nazista prima e fuori del film
Il saluto nazista (4) aveva un valore augurale per la salute di Hitler (“saluto” viene da “salus iuvare”, “augurare buona salute”) e costituiva segno di lealtà verso di lui, infatti veniva chiamato anche “Hitlergruß” ("saluto di Hitler") ed effettuato esclamando “Heil Hitler!” (“Salute Hitler!”), anche quando non era rivolto specificamente al Führer. Durante i comizi e le manifestazioni era anche accompagnato dall'urlo ritmico della folla “Sieg Heil!” (“Salve vittoria!”). Il “deutscher Gruß” ha origini classiche, forse rintracciabili nel “saluto romano” (cfr. il dipinto di Jacques Louis David Il giuramento degli Orazi). Hitler e Himmler preferivano pensarlo radicato nell’antica tradizione popolare germanica: secondo la versione nazista della teoria ariana, anche i sovrani dell'antica Roma provenivano dall'Europa del Nord; così, dal loro punto di vista, era come aver riportato il saluto da Roma alla Germania. In ogni caso, il gesto realizzava una fondamentale continuità fra antico e moderno, in linea con l’ideologia continuista del nazismo per cui la razza ariana era legata ai suoi antichi antenati dal sangue e dalla “ferrea legge della natura”. (5) Del saluto nazista più famoso, quello effettuato col braccio teso, esiste una variante spesso praticata da Hitler (e da Hynkel nel film di Chaplin). Nel prosieguo del saggio indicherò così i due gesti: 1) “Gesto teso”: braccio teso in avanti, mano in linea con braccio e avambraccio, palmo verso la terra; il tutto con angolo di 90° rispetto al busto (o poco più ampio); 2) “Gesto molle”: il braccio accenna il Gesto teso, ma l’avambraccio si ripiega all’indietro, la mano non è in linea né con il braccio né con l’avambraccio, palmo verso l’alto, dorso tendenzialmente parallelo al terreno. (6) Le due varianti non hanno lo stesso significato, perché il gesto molle è più morbido, meno spigoloso nella forma e meno brusco nel movimento: esprime una forza e un’aggressività minori. Inoltre a compierlo era solo Hitler, cioè il capo assoluto, colui che non doveva salutare nessuno, se non se stesso. Lui che deteneva il potere maggiore e la forza suprema non era tenuto a manifestarli; al contrario, per salutarlo dal basso era necessario esprimere una forza e un’aggressività estreme.
2. Il gesto del saluto nazista nel film
Eviterò di soffermarmi sulla trama e sul film in generale, dal momento che si tratta di un’opera estremamente conosciuta e diffusa; ma prima di arrivare al gesto, occorre contestualizzarlo nell’ambito di una strategia filmica globale. La strategia che mi interessa di più è quella utilizzata per mettere in ridicolo il Nazismo, i suoi costumi, i suoi simboli ecc.; una strategia che definirei delle storpiature. Eccone degli esempi (la freccia indica la trasformazione parodica dall’elemento originario a quello risultante). Storpiature di simboli: svastica → doppia croce (è ovunque: sui muri, per le strade, sulle uniformi; durante il colloquio Napaloni/Hynkel, 1h32’, è anche sul secchio dell’immondizia); aquila nazista → aquila con lingua da fuori. Storpiature di nomi dei paesi: Germania→ “Tomania”; Italia → “Bacteria”; Österreich → “Osterlich”. Storpiature di nomi di persone: Göbbels → “Garbitsch” (“minister of interior”; il nome sembra quasi una crasi tra “garbage” e “rubbish”, sinonimi inglesi per “spazzatura”); Benito Mussolini → “Benzino Napaloni” (un nome assonante con “Napoleone” e “Napoli”); Göring → “Herring” (“minister of the war”; contrariamente alla sua etimologia tedesca, “Herr” = “signore”, Herring è un bamboccione che si giustifica ripetendo “banana” quando combina un guaio, 20’, e rimane in mutande quando ne combina un altro, 1h23’); Adolph Hitler → “Adenoid Hynkel”; Führer → “Fui”. (7) Se sono parzialmente diversi gli obiettivi specifici di ciascuna storpiatura, il loro fine globale è la ridicolizzazione per abbassamento: dall’irraggiungibile-mitico al tremendamente terreno, spesso caratterizzato come grottesco ritorno del basso corporeo e messa a nudo delle parti intime (cfr. le mutande di Herring, la sua invocazione della “banana”, e le cadute a terra di Napaloni e Hynkel). (8) Il saluto nazista viene storpiato in modo talvolta analogo; ad esempio lo “Heil” di “Heil Hitler!”, la frase che accompagna il Gesto teso, viene pronunciato con il fonema /e/ di /heil/ invece che con il fonema /a/ di /hail/ (come vorrebbe la corretta pronuncia tedesca). Risultato: si imparenta il solenne omaggio al capo indiscusso con il confidenziale “Hey” di sapore americano (e quindi nemico). Ma il trattamento riservato al gesto non sempre obbedisce alla stessa logica di ridicolizzazione, come vedremo ora più in dettaglio.
Non sarà inutile fornire la panoramica completa dei momenti del film in cui il gesto compare: a) 14’ 47’’ ss. Primo discorso di Hynkel: immagini dall’alto della massa che saluta unanime: gesti tesi a ripetizione; Hynkel risponde: ripetutamente, con il suo gesto molle dà il via agli applausi e li arresta. b) 21’. Subito dopo il discorso, il bambino che Hynkel prende in braccio gli fa pipì in mano (la mano che alza nel saluto); Gesti tesi da parte della gente nelle strade; carrellata sull’arte nazista: la statua di Venere e Il pensatore di Rodin in “posa tesa”. c) 32’30’’. Nel ghetto, i soldati salutano il barbiere “Heil Hynkel”, e questi chiede “Who is he?” senza capire; d) 35’ss. Gesti tesi a ripetizione nel palazzo di Hynkel da parte di ufficiali e inservienti: assurdo che chi gli si presenta, gli ripeta il gesto ogni volta, anche se il nuovo incontro avviene trenta secondi dopo il precedente (si sottolineano militarità e automatizzazione del saluto). e) 1h 09’ 55’’. Al momento di scegliere quale ebreo dovrà sacrificarsi per il bene degli altri in una missione pericolosa, Shultz (il generale che ha abbandonato la causa nazista ed è ora ricercato da Hynkel) rivolge agli ebrei il Gesto teso per abitudine, ma subito si corregge; f) 1h 26’. Quando Napaloni sta per arrivare in Tomania: Gesti tesi di tutti ad Hynkel prima che stringa la mano all’ambasciatore bataliano; g) 1h 28’. Napaloni è arrivato e sceso dal treno, e incontra Hynkel: l’uno saluta in basso, l’altro in alto (si comincia a estraniare il Gesto teso come momento di grande incomprensione tra alleati politici); poi al momento delle foto, con il braccio teso in una specie di Gesto teso storpiato (perché il braccio è divaricato a dismisura), Napaloni copre il volto di Hynkel (il saluto, tra l’altro plasticamente deformato, si rivolta contro la massima autorità che ne ha indetto l’uso in Germania); h) 1h 29’. Hynkel e Napaloni al pubblico, durante un comizio, guardano la gigantesca statua di Hynkel con orologio, che è in posa tesa (Napaloni: “il tuo orologio va due minuti indietro”, con il che si sottolinea l’inefficacia della grandiosità nazista su Napaloni: di nuovo il saluto come forma dell’incomprensione); subito dopo, mentre scendono tra le grida, vari Gesti tesi trionfali di Napaloni; di contro a un Hynkel dimesso; i) 1h 30’. Garbitch comunica a Hynkel le sue strategie intimidatorie nei confronti di Napaloni, ma nessuna sortisce l’effetto programmato. nel quadro dell’inefficacia generale di Garbitch, il saluto è nuovamente estraniato come segno di incomprensione e mancata intesa: Garbitch stesso saluta Napaloni e riceve una botta in pancia (alzare il braccio è rendersi vulnerabile) (9); l) 1h 41’. Napaloni e Hynkel al banchetto, si bisticciano: decollata la lite, si scaldano con i consiglieri e, come dei boxeurs nei rispettivi angoli, provano i colpi, cioè i saluti (saluto come colpo da infliggere all’avversario); m) 1h 47’. Shultz e il barbiere incrociano da finti ufficiali alcuni soldati tedeschi: gesto teso dei soldati e spavento del barbiere (si sottolinea l' energia esplosiva del saluto; lo stesso quando tra le truppe i fucili sbattono a terra: 1h 47’ 50’’. Per mezzo di valori come ‘violenza’, ‘potenza’, ‘aggressività’, fucile e saluto vengono correlati: il saluto è portatore di morte); n) 1h 57’. Il barbiere scambiato per Hynkel conclude il suo discorso e dà il via agli applausi (forse senza volerlo) alzando il braccio in modo analogo a quello del gesto nazista; un gesto che prima, nel film, non aveva mai compiuto. Indipendentemente dalle sfumature ritmiche e motorie che chi lo compie gli conferisce, pare dunque che il gesto (teso e molle) venga reso portatore di una serie di valori in reciproco conflitto: i) /Bellezza VS deformazione/; /grandezza VS piccolezza intellettuale/: il Nazismo vorrebbe inglobare in sé tutto il passato artistico (dalla classica Venere al moderno Rodin: sequenza b), ma il film denuncia il risultato deforme e megalomane dell’operazione. Protagonista della deformazione è appunto il gesto teso; si tratta di una deformazione plastica (10) , perché le forme statuarie sono assolutamente disarmoniche e sproporzionate a causa del braccio teso. Mediante l’ostentazione della disarmonia, la volontà di potenza viene denunciata come mania di onnipotenza; ii) /Intesa politica VS incomprensione/: Hynkel e Napaloni, i due alleati della Storia protagonisti dell’intesa nazi-fascista, non si intendono mai e anzi si intralciano sempre (di solito a discapito di Hynkel). L’incomprensione trova la migliore espressione figurativa appunto nelle sequenze di saluti reciproci (g) e (h), degne delle migliori comiche; iii) /Umanità VS disumanità/; /Natura VS disciplina/; /Vita VS morte/: il gesto teso ha un che di robotico: si pensi alla ripetitività ossessiva della sequenza (d), che mostra il lavoro del potere nazista come una catena di montaggio (ricorda i ritmi del lavoro in fabbrica di Tempi moderni). Di questa disumanità, la gente convinta alla causa nazista non si rende conto. Lo stesso generale ribelle Schultz è così alienato nella consuetudine gestuale, da salutare gli ebrei nel momento della preparazione della rivolta, salvo poi correggersi subito (sequenza e). Ciò che il film provvede a estraniare è proprio l’automatismo della partecipazione a un gruppo, di cui il gesto è segno. Lo fa a volte oggettivandone gli eccessi (è il caso della catena di montaggio in d, e di Schultz in e), altre volte facendoli scontrare con la vita nuda: è il caso della pipì del bambino che in (b) Hynkel prende in braccio (la pipì di un bambino è la vita-natura non disciplinata per antonomasia), e di quei contraccolpi che il barbiere ebreo subisce in (m), quando riceve inaspettatamente il saluto. Egli è rimasto fuori dalla società per decenni, estraneo alla consuetudine militaresca a cui ormai partecipano senza riserve gli altri corpi; perciò il suo corpo in sussulto è simile a quello del bambino urinante. Il parallelo che ho sottolineato in (m) tra il saluto e il fucile (tra l’altro la forma del braccio teso nel saluto e del fucile richiama quella del gladio romano) valorizza definitivamente il gesto come mortifero. E’ all’esercizio di questa potenza smisurata e omicida che Hynkel e Napaloni allenano i loro colpi-saluti durante lo scontro al vertice in (l); così la vocazione mortifera si rivolta contro gli stessi nazi-fascisti; iiii) /Parità VS sottomissione/; /Libertà VS costrizione/; /Sincerità VS Finzione/; /Naturalezza VS teatralità/: Hynkel utilizza il gesto in (a) per ordinare al popolo, ai soldati e agli ufficiali l’inizio e la fine degli applausi durante il comizio. E’ l’ordine di un superiore, anzi del superiore, e si è obbligati a rispondere, non si è liberi di non partecipare alla risposta uniforme della collettività. Lo stesso accade in (d) con gli artisti impegnati a ritrarlo. Analogamente, infine, fa il barbiere in (n). Di tutti questi conflitti strutturali, posti dal film in funzione estraniante, questo di /naturalezza VS teatralità/ (che sussume quello di /sincerità VS finzione/) è certamente uno dei più importanti.
2.1. Estraniamento teatrale della politica
The Dictator connette sottilmente ma indubbiamente due isotopie (ricorrenze semantiche), quella della teatralità e quella della politica; per farlo si serve di elementi di vario genere: dal testo verbale ad alcune figure visive, da gesti quotidiani a stilizzazioni coreografiche ecc. Si pensi a quando Hynkel comunica a Garbitch il progetto di invasione dell’Osterlich: “We’ll do something more dramatic” (40’30’’); si pensi alla teatralità estrema del dialogo tra Hynkel e Garbitsch alla fine del quale il primo si arrampica alle tende della finestra come fossero un sipario e dà inizio al celeberrimo balletto col mappamondo (50’07’’); si pensi all’ostentata melodrammaticità con cui Hynkel reagisce all’abbandono del generale Schultz (59’); si pensi all’importanza che Hynkel e Napaloni attribuiscono all’essere fotografati frontalmente, in modo da risultare ben visibili alla gente: da questa visibilità dipende anche il loro potere (politica come spettacolo, 1h 28’); si pensi infine a quando i due leaders politici passano in rivista l’esercito nazista: avviene all’“Hynkel-stadium” e Napaloni mangia le noccioline (politica = sport = spettacolo, 1h 34’). Tale è la cornice di senso nella quale occorre inquadrare la lettura dei saluti nazisti compiuti da Hynkel, poiché il film di Chaplin mostra il Führer più come uomo di spettacolo che come politico. Ma le due cose vanno insieme, poiché quello era il tempo in cui la politica cominciava a farsi spettacolo. Se nella politica nazifascista valeva il principio del “buon” teatro borghese (la regia c’è ma non si vede) (11) il film di Chaplin combatte natura ipnotica tanto del teatro quanto della politica, mettendone a nudo la teatralità.
2.2. Analisi dei saluti di Hynkel durante il suo primo discorso (14’20’’ → 20’)
Procederò ora ad una rassegna dei luoghi del primo discorso di Hynkel in cui compare il saluto: a1) 15’11’’: Il primo applauso viene sulla scia di un entusiastico “Strefen, die strefen, sie strefen!” (“combattere, essi combattono, essi combattono!”), con braccio destro teso in alto e indice teso, un gesto che si avvicina al Gesto teso. Così Hynkel dà il là all’applauso. b1) 15’27’’: Prime inquadrature dall’alto di soldati che salutano all’unisono come automi; Hynkel si rinfresca (versandosi dell’acqua nelle mutande: estraniamento grottesco, vettorizzazione dell’attenzione spettatoriale sul basso corporeo dell’alta autorità). c1) 15’33’: Hynkel comanda la fine dell’applauso. La posizione finale del braccio dx che dà il comando è quella classica del saluto molle. Ma Hynkel lo abbellisce e lo arricchisce, nel percorso che conduce alla posizione finale: fa una specie di ghirigoro gestuale, una giravolta della mano su se stessa mentre il braccio sale verso l’alto, con termine della salita in un punto preciso e stop senza esitazioni della mano (è la posizione classica del saluto molle). La funzione di questo gesto è di bloccare l’applauso. E’ realizzata con un’efficacia teatralmente eccezionale: non una sbavatura, il silenzio è immediato. Dietro Hynkel, sullo sfondo dell’immagine, gli ufficiali dell’esercito che stavano applaudendo, tornano in un lampo alla posizione a braccia conserte senza scomporsi minimamente. Evidentemente si tratta di una consuetudine: l’entusiasmo è completamente controllato, sia da parte di chi lo esprime, sia da parte di chi lo provoca e lo comanda. Come nella più perfetta delle recite. Al pubblico appartiene anche lo spettatore del film, che viene interpellato da Hynkel-Chaplin con continui sguardi in macchina. d1) 17’40’’: L’applauso scoppia spontaneamente sull’entusiastico discorso sulla razza ariana, i cui rappresentanti, dice Hynkel, crescono e divengono forti “Soldiers for Hynkel!”; termina con braccio teso come in a1 (questa volta è il braccio sinistro, ma non fa differenza). e1) 17’49’’: Come in (c1). f1) 17’55’’: Invettiva contro i “Juden”. Il tono è concitato, l’atteggiamento aggressivo e massimamente coinvolto nell’aggressione (rivolta, in mancanza di meglio, ai microfoni che si scansano, si piegano e si rivoltano). Dopo di che Hynkel si ricompone (intanto la voce off del traduttore inglese traduce e chiarisce che si trattava di un riferimento agli ebrei) e stavolta comanda l’applauso che non è scoppiato ineluttabile come nei primi due casi. g1) 18’31’’: Gesto molle di Hynkel: comanda l’applauso. E’ la prima volta che il gesto comanda l’inizio dell’applauso. Le precedenti due volte l’aveva arrestato. Con ciò si sottolineano due cose: i) il silenzio del pubblico (forse sconcertato dall’invettiva?): l’attacco contro gli ebrei non ha raccolto lo stesso ‘spontaneo’ entusiasmo che avevano riscosso le precedenti celebrazioni della guerra (in a1) e dell’esercito ariano (in d1); stavolta occorre forzarlo ad acclamare; ii) il gesto molle è un gesto artificiale: in (c1) e in (e1) l’artificio era reso evidente dal fatto che improvvisamente, e a comando, l’entusiasmo si placava senza residui (come si può, ad esempio, fermare una risata autenticamente naturale e spontanea a comando?); ora, addirittura, l’artificio crea l’entusiasmo (come si fa a cominciare a ridere naturalmente ma a comando? Bisogna essere ottimi attori. La manifestazione di approvazione collettiva è ribadita come totalmente finta, provata per uno spettacolo). h1) 18’35’’: Come in (c1) ed (e1), a conferma dell’artificialità del tutto. i1) 19’17’’: Dopo un’evidente promessa di guerra totale, sull’entusiastico “Mit seiner Tomania!” (“Con la sua Tomania!”), Hynkel compie l’ennesimo gesto teso: l’applauso scoppia spontaneo e definitivo, a suggellare il successo del discorso, del programma, del leader politico e del performer. Sugli urli della folla, Hynkel beve da un bicchiere, ma si versa dell’acqua nelle orecchie, mentre ne spruzza altra dalla bocca, come nelle migliori clowneries. Il suo viso è comunque impassibile e nessuno ride come farebbe un “vero” pubblico circense; al contrario, tutti acclamano, a conferma che non è “vero” pubblico, ma predisposto. Subito dopo, un’inquadratura lo mostra di schiena di fronte al suo pubblico, che gli inneggia con ripetuti e regolari Gesti tesi e una continua ovazione orale. Hynkel lo saluta con un generoso e piuttosto duraturo Gesto teso. Poi si dirige altrove, come un grande attore nei suoi camerini alla fine dello spettacolo. La sequenza ci mostra Hynkel come il dominatore assoluto di una scena completamente finta, dove la regia c’è e si vede (anche quella cinematografica). Il “Fui” ne è l’attore e il personaggio principale, ma anche un direttore d’orchestra di fronte ai suoi musicisti: essi tacciono e eseguono nei modi, nei gradi e nei momenti comandati da lui. Il gesto nazista (teso e molle) è come la bacchetta del direttore, o ancora come il bastone dello sciamano che disciplina i ritmi e le energie dei partecipanti al rito, i quali rispondono con applausi e saluti, utilizzando il gesto come strumento corale. Credo che sia il caso di riflettere su questo (doppio) gesto con le categorie della teoria degli speech acts, e più in particolare in termini di illocutività. Qui si tratta, infatti, di un discorso gestuale (12) nel quale si marcano sia l’enunciatore-Hynkel, sia l’enunciatore-Chaplin. O meglio il secondo assume il primo come proprio enunciato (gestuale, teatrale e cinematografico) per marcarsi al suo interno, prenderne le distanze e proporne la propria interpretazione. Hynkel è uno dei soggetti che compiono l’atto gestuale del saluto. Come ogni atto di produzione semiotica, anche questo gestuale ha una sua componente illocutiva descrivibile nella sua struttura profonda. La funzione illocutiva del gesto è doppia: di comando (Hynkel si rivolge alla gente che comanda, all’esercito che gli fa da sfondo e lo sostiene nel discorso) e di gestione di un rito spettacolare (che nutre il gesto nella forma teatrale, quasi concertistica, del ghirigoro). Il gesto è unico e convoglia questi due sensi: potere militare e potere performativo, direzione dell’esercito e direzione del pubblico (che è anche attore partecipante alla performance, nella misura in cui i suoi entusiasmi ne scandiscono i tempi e ne articolano i flussi energetici). I tempi e i modi della partecipazione del pubblico (e dello spettatore) nello spettacolo (applausi, grida, gesti tesi ripetuti a ritmi regolari) vengono determinati dallo stesso gesto del potere (gesto molle) compiuto da Hynkel. L’ordine e il comando rientrano in quella classe di atti illocutivi che Searle ha chiamato “direttivi”, cioè quegli atti aventi lo scopo di far fare qualcosa al partner del discorso. La struttura profonda di questi atti è Io verbo a te/ti + verbo al futuro (SN). Nel caso dell’ordine-comando, la struttura è Io ti ordino + tu mi applaudirai. Ora, il far fare vuol dire esattamente manipolare (13) ed il comando ne costituisce una delle forme più forti. Di fronte a un comando il partner del discorso non può non fare qualcosa e lo deve fare. Il comando è un atto che presuppone un contesto d’interazione in cui chi comanda può farlo perché si trova in una posizione di superiorità, mentre chi è comandato si trova in posizione subalterna e non può comandare al proprio superiore, pena l’inefficacia dell’atto e magari una punizione. La sequenza che stiamo esplorando ci rivela il saluto nazista come un doppio atto: da un lato c’è Hynkel, il capo supremo posto più in alto di tutti (anche spazialmente), che è dotato di un poter fare e di un poter far fare senza limiti, che ordina e comanda gli applausi, cioè assume una condotta militare all’interno di una situazione altamente smascherata come teatrale; dall’altro lato, c’è il resto del mondo che include anche lo spettatore (costruito dal film come enunciatario perché Hynkel si rivolge spesso e volentieri in camera: rivolge allo spettatore gli ordini), che è rappresentato nella sequenza filmica dalla massa di soldati (sono immagini di filmati originali: la loro stessa grana è un ponte tra il dentro e il fuori del film) e da quella degli ufficiali. Così, anche lo spettatore diviene parte integrante del corpo militare-spettacolare, altrettanto manipolato nel senso di un dover fare e di un non poter non fare. Il suo fare consiste nel compiere il saluto nazista e nell’acclamare; il suo essere (in senso semiotico) (14) consiste nell’essere parte di un corpo unico dove le differenze sono annullate. Il saluto a cui il pubblico e lo spettatore sono indotti non ha nulla dell’ordine e delle condizioni che ne rendono possibile l’effettuazione felice (il potere), è invece un atto di risposta ubbidiente, dove l’autonomia e la libertà s’annullano nell’assoluto dovere. In questo modo, proponendoci una serie lunga ed aggressiva di sguardi e di gesti in macchina da parte del “Fui”, Chaplin si enuncia all’interno della scena per farci sperimentare l’ebbrezza militaresca, robotica e disumana della partecipazione coatta e della sottomissione totale. La funzione illocutiva del suo discorso (il Gestus del suo gesto) (15) è criticare il potere autoritario che caratterizza l’enunciato nel quale si marca dialetticamente (il gesto diegetico di Hynkel). L’estraniamento del gesto (teso e molle), in questa sequenza, non dipende dunque da fattori plastici o figurativi, perché ne vengono conservate la forma, il ritmo, i parametri motori ecc. che permettono di riconoscerlo come tale. Dipende invece da una dialettica di illocuzioni che si basa su una teatralizzazione estrema della militarità e della potenza: il gesto originale è ripreso tale e quale, ma è presa in giro la sua “naturalezza”. E se, come abbiamo visto, nell’ideologia nazista il mito della razza era anche il mito del sangue e della natura, smascherare come innaturale il gesto che vorrebbe sancire la continuità naturale della razza mediante la ripresa dell’antica tradizione romana-germanica, vuol dire ferire quell’ideologia nel suo punto cruciale e più delicato.
2.3. Analisi del saluto al termine del discorso finale (1h53’40’’→ 1h57’25’’)
La dialettica che il film mette in scena fra Hynkel e il barbiere ebreo (mediante l’identità figurativa dell’attore Chaplin) trova anch’essa compimento supremo nel saluto nazista. In particolare, mi riferisco all’ultimo saluto che compare nel film, quello che chiude il discorso finale del barbiere (anche se, come tenterò di spiegare, non è proprio il barbiere il suo enunciatore reale). Per comprenderlo appieno occorre valutarlo nel contesto filmico che presiede al suo rovesciamento semiotico, e che descriverò utilizzando come riferimento la trascrizione del discorso verbale: Descrizione-trascrizione: (Il barbiere sale ai microfoni dove incontra Garbitsch in posizione di Gesto teso. Lo congeda con un inchino delicato, una delicatezza nel movimento che fa eco a quella della musica in sottofondo. Piano piano la musica scema e il barbiere comincia un discorso. Lo sguardo è basso, rivolto timidamente alla gente che immaginiamo di fronte a lui, al di sotto della cinepresa che lo inquadra in primo piano; l’atteggiamento è dimesso; l’impressione complessiva è che si trovi in imbarazzo, che non sappia bene cosa dire.) I'm sorry, but I don't want to be an emperor. That's not my business. I don't want to rule or conquer anyone. I should like to help everyone if possible; Jew, Gentile, black man, white. (Il busto si raddrizza leggermente, la voce si fa un po’ meno esitante, nel tono e nel ritmo; l’impressione è che, parlando, il barbiere abbia preso coraggio.) We all want to help one another. Human beings are like that. We want to live by each other's happiness, not by each other's misery. We don't want to hate and despise one another. In this world there is room for everyone, and the good earth is rich and can provide for everyone. The way of life can be free and beautiful, but we have lost the way. Greed has poisoned men's souls, has barricaded the world with hate, has goose-stepped us into misery and bloodshed. (La voce è ormai decisa, il tono è quello convinto di chi non solo non si imbarazza, ma è lì per dire qualcosa di preciso e ben meditato; lo sguardo si è alzato fino alla cinepresa, ora è uno sguardo in macchina) We have developed speed, but we have shut ourselves in. Machinery that gives abundance has left us in want. Our knowledge as made us cynical; our cleverness, hard and unkind. We think too much and feel too little. More than machinery, we need humanity. More than cleverness, we need kindness and gentleness. Without these qualities, life will be violent and all will be lost. The airplane and the radio have brought us closer together. The very nature of these inventions cries out for the goodness in men; cries out for universal brotherhood; for the unity of us all. Even now my voice is reaching millions throughout the world (dissolvenza incrociata: dall’immagine dell’oratore si passa a quella di Hannah, piegata a piangere sul terreno dell’Osterlich), millions of despairing men, women, and little children, victims of a system that makes men torture and imprison innocent people. (Dissolvenza incrociata: dall’immagine di Hannah in Osterlich, torna quella dell’oratore, stavolta inquadrato in mezza figura con mani rilassate e giunte avanti al pube, e circondato dei microfoni che permettono alla sua voce di raggiungere le persone lontane) To those who can hear me, I say, do not despair. The misery that is now upon us is but the passing of greed, the bitterness of men who fear the way of human progress. The hate of men will pass, and dictators die, (la voce si fa concitata, l’atteggiamento complessivo è quello di una risoluzione che non avevamo mai visto dal barbiere) and the power they took from the people will return to the people. And so long as men die, liberty will never perish. (Scatto di testa verso il basso: lo sguardo non è più in macchina, ma verso la platea) Soldiers! Don't give yourselves to brutes, men who despise you, enslave you; who regiment your lives, tell you what to do, what to think and what to feel! (il ritmo di quest’ultima frase è sincopato, scandito dalle “t” pronunciate a ripetizione, la dizione è energica: il tutto ricorda per la prima volta da vicino il grammelot tedesco di Hynkel) Who drill you, diet you, treat you like cattle, use you as cannon fodder. Don't give yourselves to these unnatural men - machine men (lo sguardo torna in macchina, le mani si disgiungono per effetto della concitazione oratoria) with machine minds and machine hearts! You are not machines, you are not cattle, you are men! (l’energia della voce è ormai la stessa del grammelot hynkeliano, le sincopi della dizione sostengono le consonanti esplosive quasi come quelle della lingua tedesca, tanto più che ora il viso ne viene contagiato e finisce per tremare, qualche volta, allo stesso modo in cui tremava sempre Hynkel durante i suoi comizi inebrianti) You have the love of humanity in your hearts! You don't hate! (sguardo di nuovo in basso, ai soldati) Only the unloved hate; the unloved and the unnatural. Soldiers! Don't fight for slavery! Fight for liberty! (Lo sguardo è di nuovo deciso in macchina. Durante la frase che segue, uno zoom riporta la figura in primo piano, si crea una tensione nell’immagine: si ha l’impressione che siamo a un punto cruciale del discorso, a cui occorre prestare il massimo dell’attenzione) In the seventeenth chapter of St. Luke, it is written that the kingdom of God is within man, not one man nor a group of men, but in all men! In you! You, the people, have the power, the power to create machines, the power to create happiness! You, the people, have the power to make this life free and beautiful, to make this life a wonderful adventure. Then in the name of democracy, let us use that power. Let us all unite. (L’atteggiamento è risoluto, al limite dell’aggressività hynkeliana; se non fosse per le parole e per il fatto che sappiamo che quello è il barbiere travestito, diremmo senz’altro che si tratta del dittatore. Dopo la parola “unite”, il tono si abbassa un po’) Let us fight for a new world, a decent world that will give men a chance to work, that will give youth a future and old age a security. (l’energia della dizione comincia a montare di nuovo: lo sguardo alterna continuamente fra la macchina da presa e i soldati in platea) By the promise of these things, brutes have risen to power. But they lie! They do not fulfill that promise. They never will! Dictators free themselves but they enslave the people. Now let us fight to fulfill that promise. Let us fight to free the world! (La parola “fight” è pronunciata ogni volta con grande aggressività, e richiama alla mente gli “strefen, strefen, strefen” di Hynkel durante il primo comizio, sequenza a1) To do away with national barriers! To do away with greed, with hate and intolerance! Let us fight for a world of reason, a world where science and progress will lead to all men's happiness. Soldiers, in the name of democracy, let us all unite! (Su quest’ultima parola l’intonazione s’impenna, il volume si alza, i lineamenti del viso si fissano in un riso contratto che mostra i denti, è una grande liberazione d’energia e, come a coronarla, il braccio sinistro si alza, ad evocare il Gesto teso e rimare quello di Hynkel in d1. Segue l’applauso, l’unico del discorso, che ha preso il via come in d1. Durante l’applauso, quasi incredulo, il barbiere guarda in platea il frutto del suo successo, mentre il braccio delicatamente ritorna su se stesso, ed è questa delicatezza che rompe la forma solida del Gesto teso, poco prima evocato).
Analisi:
La maggior parte del discorso è pronunciata con uno sguardo in macchina, inquadratura a mezzo busto. All’inizio il tono della voce è pacato, chi parla è il barbiere, che si trova travestito da Hynkel sul palco dove questi avrebbe dovuto parlare. Ma nel prosieguo del discorso, il personaggio assume un altro atteggiamento: la sua voce diviene più decisa, il suo corpo più fiero e robusto, il suo sguardo più entusiasta. Assistiamo, cioè, alla mutazione quasi magica (perché ingiustificata diegeticamente) del personaggio-barbiere nel personaggio-Hynkel: la figura che conclude il discorso ha la stessa decisione retorica, la stessa disinvoltura comunicativa, la stessa cadenza e intonazione del Dictator. Ma i valori e gli ideali che propone (fratellanza, uguaglianza, democrazia, libertà, pace) sono diametralmente opposti a quelli veicolati dal primo comizio di Hynkel. Insomma, questa figura che vediamo inquadrata, che per la logica diegetica del film dovrebbe essere il barbiere ebreo, ma che sappiamo non esserlo perché le sue parole esulano dalla psicologia del personaggio, e perché il modo in cui le dice esula dalla discrezione e dalla delicatezza che gli abbiamo visto dipinta addosso sin dalle primissime scene di guerra in cui combinava disastri pacifici; questa figura, nella cui determinazione oratoria riconosciamo il dittatore, ma le cui parole ci rendono impossibile questo stesso riconoscimento; chi è questa figura, insomma? Non altri che l’enunciatore-Chaplin: non l’attore, il regista, o lo sceneggiatore, ma il soggetto presupposto dal film stesso, l’organizzatore del gioco cinematografico. (16) Attraverso il suo discorso (verbale, cinetico, mimico e gestuale), ecco Chaplin togliersi i panni del barbiere ed assumere solo apparentemente quelli del Dictator, eccolo rivolgersi deciso allo spettatore del film, ai soldati e alla gente, eccolo ridargli la speranza con la stessa voce di Hynkel che gliel’aveva sottratta; eccolo ribellarsi alla disumanità della Storia, della Guerra, della Morte inferta per forza, e dall’alto. E’ dunque a questa figura testuale che dobbiamo attribuire l’ultimo gesto che dà il via all’applauso finale. E’ uno di quegli stessi gesti che Hynkel ha compiuto durante tutto il film, e soprattutto durante il primo comizio. Un gesto che, d’altra parte, il barbiere ebreo non era mai stato capace di compiere e che forse non aveva mai capito. Ora non è Hynkel, il direttore-attore, a compierlo, e nemmeno il barbiere ebreo, ma Chaplin stesso. Lo compie davanti a un pubblico e sullo sfondo di un esercito che l’hanno sempre legato ai valori della forza, della potenza, della guerra e del sopruso imposto a partire dalla “ferrea legge della natura” (Hitler). Questo stesso gesto, che in circostanze diegetiche differenti ha ricevuto dal medesimo contesto le sue significazioni, viene ora ad essere risemiotizzato. La forma e la sostanza dell’espressione sono quasi esattamente le stesse, ancora una volta: il braccio di Chaplin, i suoi dinamismi esplosivi, che nascono dall’entusiasmo del corpo oratore e terminano nella puntualità teatrale di una posa già conosciuta. Ma questa forma-sostanza dell’espressione gestuale, viene ora diretta verso nuovi valori contenuti, quelli proposti dal discorso verbale che l’ha preceduta, e che la rivoltano irrimediabilmente. Responsabile del radicale estraniamento della semiosi gestuale è, dunque, il contesto filmico-verbale di poco precedente, che sfrutta l’energia significativa di una espressività sedimentata e condivisa nella cultura, per denunciarne la stereotipia. E se una logica diegetica coerente fino in fondo avrebbe impedito a quel contesto e a quegli uomini di sancire il successo a un dittatore improvvisamente irriconoscibile, è solo l’intervento esterno da parte di Chaplin-enunciatore, che impone una nuova logica (alla storia e alla Storia), a rendere possibile quel successo e a tramutare quel gesto da arma bellica in motore di pace, da strumento di violenza in veicolo di fratellanza. Tutto avviene in modo sottile, ma molto forte. La voce, i suoi toni le sue inflessioni trapassano dolcemente dalla diegesi all’extradiegesi; lo sguardo, il busto, il volto, si orientano gradatamente in camera, così che noi ci scopriamo interpellati, ri-guardati, senza nemmeno esserci accorti di quando ciò è accaduto; ma una volta che ce ne siamo accorti, questa interpellazione diventa insistente, quasi aggressiva, e di fronte ad essa non ci è più possibile restare indifferenti; il corpo, le sue dinamiche, le sue energie, acquisiscono ritmi più sostenuti senza rotture, e senza brusche soluzioni di continuità: ecco l’aggressività del dittatore invadere il piano cinetico e paralinguistico, salvo che ora questo fare nazista si rivolta contro se stesso, in senso pacifista. Riceviamo quasi un ordine di pace. E’ il quasi-gesto-teso che chiude l’ascesa del ritmo e della passione; come nel primo comizio, esso dà il via all’applauso, ma stavolta è nuovamente estraniato, perché a quel corpo e a quel gesto, in altre condizioni (quelle della storia del film, ma anche quelle della Storia del mondo), altro non sarebbe seguito che l’acclamazione della violenza, della guerra e della morte. Dal punto di vista della teoria degli speech acts, il saluto conclusivo non è però leggibile senza problemi come un comando o come un ordine, poiché questi atti illocutivi sono inconciliabili con il senso e con i valori affermati in tutto il discorso appena prodotto. Delle due l’una: o l’illocuzione di tale gesto, stavolta, è un permesso, una incitazione, un atto non manipolatorio, che non annulla il ruolo (rituale, teatrale, politico) che il pubblico (e lo spettatore) rivestono all’interno della struttura politica, ma lo modificano radicalmente (in questo senso, da soggetti sottomessi e non liberi, i soldati e lo spettatore diverrebbero soggetti autonomi, dotati di un poter fare ma anche non fare); oppure il valore illocutivo del gesto finale è lo stesso di quello classico di Hynkel; in questo senso il ruolo del pubblico (spettatore e soldati) resterebbe completamente invariato (oggetto di manipolazione non libero) e Chaplin avrebbe compiuto indirettamente (da enunciatore gestuale) l’atto illocutivo consistente nel costringere il Nazismo ad acclamare un anti-Hitler. In ogni caso, ciò che mi pare indubbio è la spontaneità del gesto finale, di contro all’estrema artificialità di quelli che abbiamo visto compiere ad Hynkel. Una spontaneità che dipende qui dal fatto che il personaggio del barbiere non sa come gestire un comizio e la gente che vi partecipa, e dal fatto che la figura che vediamo sullo schermo non si esibisce più, ma si dona alla gente con uno slancio di autenticità decisamente anti-teatrale. L’applauso scoppia ineluttabile per effetto di una passione ritrovata al di fuori di ogni disciplina, un entusiasmo che nemmeno il barbiere avrebbe creduto possibile qualche minuto prima. Tanto che alla fine egli si meraviglia dell’ovazione della folla e, mentre quasi si chiede “Come ho fatto?” (di contro a un Hynkel che nel primo comizio controllava perfettamente i suoi discorsi performativi e gestuali, e i loro esiti sul pubblico), il braccio sinistro poco prima teso in alto si ritrae dolcemente, e spezza la forma artificiale nella quale, a lungo durante il film, abbiamo visto alienarsi l’umanità non militare. Lo fa, tra l’altro, con una delicatezza cinetica totalmente anti-macchinica.
3. Conclusioni
L’estraniamento del nazismo operato dal film costituisce il quadro per comprendere quello del saluto nazista e del personaggio Hitler. Come in Brecht, anche in Chaplin l’ideologia nazista è smascherata come falsa coscienza di una serie di interessi economici e Hitler appare leader indiscusso ma assai abbassato, a volte impotente e ridicolo. Il saluto nazista assume sensi diversi e conflittuali, e proprio tale conflittualià lavora per demistificarlo. Lo spettatore è chiamato in un gioco dialettico in cui l’alto precipita in basso, la forza eccede l’umanità, la vita vera si deforma in finzione. Un gioco che produce l’esperienza della partecipazione e nello stesso tempo la sua critica. Soprattutto, nel primo discorso di Hynkel la politica si fa spettacolo e nel seguito del film se ne mostrano i retroscena; il gesto ne risulta dominato dalla ferrea legge di in una finta natura, nella quale è impossibile riconoscersi per intero. Attuato quest’estraniamento lungo tutto il film, quello operato da Chaplin al termine dell’ultimo discorso ribalta nuovamente le cose. Funziona per de-teatralizzazione: si de-teatralizzano il gesto, il discorso, la passione, il corpo; a tutti questi oggetti si restituiscono un’umanità, una spontaneità e una vitalità che le due ore precedenti avevano mostrato come inaccessibili alla gente coinvolta nel progetto nazista. E nella misura in cui la politica è anche spettacolo (come tale, almeno, l’ha mostrata il film) l’estraniamento finale opera per de-politicizzazione. Tolta la corazza dura della disciplina, evaso l’ambito della manipolazione teatrale-borghese e politico-nazista, Chaplin restituisce alla gente, con un gesto che è quasi un colpo di coda, la speranza di cambiare le cose e l’entusiasmo di una partecipazione più libera e più critica al mondo della Storia.
************************
(1) Il presente studio è già pubblicato in lingua francese con il titolo Théatralité et etrangement du salut nazi dans Le Dictateur de Charlie Chaplin, in Participer au monde. Réflexions sur le geste, volume monografico di «Textuel» n° 59, 2009.
(2) In verità, l’intertesto di cui parlo dovrebbe comprendere altre porzioni culturali: dalle pagine degli Schriften brechtiani dedicate a Hitler e alla sua teatralità, alle pagine degli Arbeitsjournale in cui sono raccolte e commentate foto di Hitler e collaboratori, a quella magnifica opera che è Kriegsfiebel, dove i capi del nazismo sono pomposamente ritratti in fotografie d’epoca e allo stesso tempo estraniati nei versi amarissimi e commoventi scritti da Brecht come didascalie. Su questa base, si potrebbe poi esaminare il gesto nelle messe in scena di Der Aufhaltsame Aufstieg des Arturo Ui (Wekwerth – Palitsch, 1959; Müller, 1996) e di Furcht und Elend des dritten Reich (Strehler, 1961), e nei film Doctor Strangelove (Kubrick, 1964) e Stalag 17 (Wilder, 1953). Sulla messa in scena di Arturo Ui di Weckwerth e Palitsch mi permetto di rimandare al miei due studi Bertolt Brecht: estraniamento e dialettica del comico (1) e Bertolt Brecht: estraniamento e dialettica del comico (2), entrambi pubblicati in «Le reti di Dedalus», febbraio 2011, rivista on line del sindacato nazionale scrittori, cfr. http://www.retididedalus.it/Archivi/2011/febbraio/TEATRICA/4_saggi.htm
(3) Per la gestualità in generale, cfr. almeno A. J. Greimas, Pour une sémiotique du monde naturel, in «Langages», 10, 1968 (poi in Id., Du sens, Paris, Seuil, 1970); R. L. Birdwhistell, Kinesics and Context, Philadelphia, University of Philadelphia Press, 1970; M. Argyle, Bodily Communication, London and New York, Methuen & Co, 1988; A. Kendon, Gesture. Visible action as utterance, Cambridge, Cambridge University Press, 2005. Per la gestualità cinematografica, cfr. almeno G. Bettetini, Produzione del senso e messa in scena, Milano, Bompiani, 1975. Per la gestualità teatrale, cfr. almeno K. Elam, The Semiotics of Theatre and Drama, London and New York, 1980; E. Fischer-Lichte, Semiotik des Theaters. Band 2 : Vom “Künstlichen” zum “natürlichen” Zeichen. Theater des Barock und der Aufklärung”, Tübingen, Gunter Narr Verlag, 1983; P. Pavis, L’analyse des spectacles, Paris, éditions Nathan 1996; A. Ubersfeld, Lire le théatre II. L’école du spectateur, Paris, Edition Belin, 1996; E. Barba e N. Savarese, L’arte segreta dell’attore. Un dizionario di antropologia teatrale, Milano, Ubulibri, 2005.
(4) Per il presente paragrafo mi sono rifatto alle voci “Saluto nazista”, “Saluto romano” e connesse su Wikipedia.
(5) Cfr. il paragrafo XI “Popolo e razza” del Mein Kampf di Hitler. La concezione estetica del nazismo (esposta nei discorsi e nel Mein Kampf di Hitler, oltre che in A. Rosemberg, Schriften und Reden. Mit einer Einleitung von Alfred Bäumler. 2 Bände, München, Hoheneichen-Verlag, 1943) è debitrice di questa ideologia, e si pone in contrasto netto con quella estrapolabile da The Dictator. Nel ’34 Hitler proclama lo stile classico (neoclassico) come quello ufficiale dell’arte tedesca-ariana, con correlativa condanna dell’espressionismo e delle avanguardie, accusate di chiudere l’arte al passato. Per Hitler l’antichità classica (greca soprattutto, ma anche romana) era legata biologicamente alla Germania, da un legame di sangue. Il genio ariano era unico ed aveva una storia millenaria che dalla classicità greca passava attraverso il medioevo gotico-germanico. Perciò l’arte del regime ibridava gli stili: figure umane in stile neoclassico, corpi eterei, statuari, bellezza di forme “eterne” ricollocate però in ambienti tedeschi d’attualità (cfr. ad es. i quadri di Ziegler; o i cortei annualmente tenuti a Norimberga, che avevano lo scopo di conciliare nella strada l’arte e il popolo e presentavano opere miste: statue greche affiancate all’aquila simbolo del nazismo; figuranti in carne ed ossa rivestiti di costumi antichi, armature, corazze vichinghe…). Il ritorno al passato era per Hitler attualizzazione assoluta e realizzazione mitica del genio unico ed eterno, astorico, della razza germanica. In ciò, si verificava un’abolizione totale della storicità. L’arte era, per Hitler e Rosemberg, inestricabilmente e astoricamente razziale. L’arte di un popolo non poteva essere realmente compresa dagli altri popoli e ciascun popolo aveva la propria (tranne gli ebrei). Secondo E. Michaud, The Cult of Art in Nazi Germany (Cultural Memory in the Present), Stanford, Stanford University Press, 2004, quest’idea di arte rispondeva ad una precisa concezione organicistica della cultura, già proposta da molti intellettuali intorno alla prima guerra mondiale (ad esempio Oswald Spengler): la cultura sarebbe come un corpo, un organismo che ubbidisce ad una logica di nascita, sviluppo e tramonto-fine. Ora, se Spengler e altri avevano diagnosticato pessimisticamente la fine del corpo occidentale, Hitler e i suoi, pur condividendo la posizione di base, proponevano di evitare il declino in base a una riattualizzazione del passato (sempre possibile in base al legame del sangue razziale).
(6) Una satira di questa variante è quella nella propaganda antinazista in Germania, precedente al 1933: il fotomontaggio dell'artista John Heartfield dal titolo “Der Sinn des Hitlergrußes” ("Il significato del saluto hitleriano"). Hitler vi viene mostrato nell'atto di compiere il Gesto molle, ma alle sue spalle un esponente dell'alta finanza sta mettendo nella sua mano aperta del denaro, denunciando quindi che dietro il Partito nazista vi erano in realtà le forze del capitalismo (un'altra didascalia dell'immagine recita "Dietro di me stanno milioni", sottinteso, non di persone, come intendeva Hitler, ma di marchi). E’ una posizione analoga a quelle espresse da Brecht e Chaplin nelle loro opere.
(7) Lo stesso metodo delle storpiature fu utilizzato da Brecht nell’Arturo Ui: Göbbels → “Givola”, Göring → “Roma”, Adolph Hitler → “Arturo Ui” ecc.
(8) Sul grottesco in relazione al basso corporeo, cfr. M. Bachtin, Tvorčestvo Fransua Rable i narodnaja kul’tura srednevekov’ja i Renessansa, 1965 (trad. it.: L’opera di François Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Torino, Einaudi, 1979). Sulla relazione tra grottesco bachtiniano e estaniamento brechtiano, cfr. T. Eagleton, Carnevale e satira: Bachtin e Brecht, in «L’immagine riflessa», n. 1-2, 1984. Si noti, tra l’altro, che anche nello spettacolo del Berliner Ensemble Der Aufhaltsame Aufstieg des Arturo Ui (regia di Wekwerth – Palitsch, 1959) Hitler era letteralmente messo al tappeto dall’interprete di Arturo Ui (Ekkeard Schall), il quale tra l’altro assomigliava molto a Chaplin.
(9) Questa scena porta a più chiara espressione una serie di convenzioni semiotiche che il film attua più tacitamente lungo tutto il suo corso: /alto vs basso/ = /superiorità vs inferiorità/. Si tratta di una significazione classica, già implicita nei lessemi “superiore” e “inferiore”, metalinguisticamente definibile come “semisimbolica” (cfr. A. J. Greimas, Sémiotique figurative et sémiotique plastique, in «Actes sémiotiques. Documents», 60, Paris, 1984): una categoria (cioè una coppia oppositiva di termini, e non un singolo termine) del piano dell’espressione veicola una categoria del piano del contenuto. La stessa significazione è attuata da Brecht in Schweyk im zweiten Weltkrieg, dove gli uffici del Führer e collaboratori si chiamano “Alte sfere”.
(10) Per la nozione di plasticità, dimensione non ancora caratterizzata dal riconoscimento delle figure del mondo ma dalla sola presenza di colori, forme e spazi, cfr. A. J. Greimas, Sémiotique figurative et sémiotique plastique, cit.
(11) Cfr. B. Brecht, “La teatralità fascista”, in Scritti sul teatro, II, Torino, Einaudi, 1975.
(12) Per la nozione di “discorso gestuale” e per l’analisi della gestualità teatrale nei termini della teoria degli speech acts, cfr. K. Elam, The Semiotics …, cit. e A. Ubersfeld, Lire le théatre II…, cit. Per una panoramica complessiva su questa teoria, cfr. J. L. Austin, How to do things with words, The William James Lectures at Harward University, Oxford University Press, 1962, e Performativ-constativ, in La Philosophie analytique, (a cura di) H. Bera, Paris, Editions de Minuit, 1962; J. Searle, A taxonomy of Illocutionary Acts, in “Minnesota studies in the Philosopy of Science”, vol. VII: Lenguage, Mind and Knowledge, a cura di K. Gunderson, University of Minnesota Press, 1975; M. Sbisà (a cura di), Gli atti linguisitici, Milano, Feltrinelli, 1978.
(13) A. J. Greimas e J. Courtés, Sémiotique. Dictionnaire raisonné de la théorie du langage, Paris, Larousse, 1979 (ad vocem).
(14) Cfr. A. J. Greimas, Du sens II. Essais sémiotiques, Paris, Seuil.
(15) Sulla nozione di Gestus inteso non come gesto, ma come atteggiamento complessivo assunto da un soggetto nei confronti di un oggetto o di una serie di oggetti (atteggiamento manifestabile anche in forme verbali o musicali ecc.), cfr. almeno Brecht, “Sulla musica gestuale”, in Scritti sul teatro, cit.
(16) Com’è noto, per la nozione di “enunciazione” e correlate (“enunciatore”, “enunciatario” ecc.), il punto di partenza obbligato sono i Problèms de languistique générale di Émile Benveniste (1966). Qui mi riferisco, però, alla concettualizzazione di A. J. Greimas e J. Courtés, Sémiotique…, cit. (ad voces), che assumono il concetto benvenistiano in un paradigma più semiotico-testuale. Per la sua specificazione cinematografica, cfr. «Communications», n. 38, 1983; G. Bettetini, La conversazione audiovisiva, Milano, Bompiani, 1984; F. Casetti, Dentro lo sguardo, Milano, Bompiani, 1986. Per una panoramica generale sull’enunciazione anche cinematografica, cfr. G. Manetti, L'enunciazione. Dalla svolta semiotica ai nuovi media, Mondadori, Milano 2008
Bibliografia M. Argyle, Bodily Communication, Methuen & Co, London and New York 1988. J. L. Austin, How to do things with words, The William James Lectures at Harward University, Oxford University Press 1962. –, Performativ-constativ, in La Philosophie analytique, a cura di H. Bera, Editions de Minuit, Paris 1962. M. Bachtin, Tvorčestvo Fransua Rable i narodnaja kul’tura srednevekov’ja i Renessansa, 1965 (trad. it.: L’opera di François Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Einaudi, Torino1979). E. Barba e N. Savarese, L’arte segreta dell’attore. Un dizionario di antropologia teatrale, Ubulibri, Milano 2005. É. Benveniste, Problèms de languistique générale, Gallimard, Paris 1966. G. Bettetini, Produzione del senso e messa in scena, Bompiani, Milano 1975. –, La conversazione audiovisiva, Milano, Bompiani, 1984. R. L. Birdwhistell, Kinesics and Context, University of Philadelphia Press, Philadelphia 1970. B. Brecht, Werke, Grosse Kommentierte Berliner und Frankfurter Ausgabe, Hg. W. Hecht/J. Knopf/ W. Mittenzwei/ K.-D. Mueller, Berlin-Weimar und Frankfurt a.M 1988-99. –, Arbeitsjournal, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1973 (trad. it.: Diario di lavoro, 2 voll., Einaudi, Torino 1976). –, Kriegsfiebel, Berlin, Eulenspiegel Verlag (trad. it.: L’ABC della guerra, introduzione di Michele Serra, a cura di Werner Hecht, traduzione di Bianca Zagaria, Einaudi, Torino, 2002). F. Casetti, Dentro lo sguardo, Bompiani, Milano 1986. «Communications», n. 38, 1983 (monografico sull'enunciazione cinematografica). L. Di Tommaso, Théatralité et etrangement du salut nazi dans Le Dictateur de Charlie Chaplin, in Participer au monde. Réflexions sur le geste, volume monografico sul gesto di «Textuel» n° 59, 2009. – , Bertolt Brecht: estraniamento e dialettica del comico (1) in «Le reti di Dedalus», febbraio 2011, cfr. http://www.retididedalus.it/Archivi/2011/febbraio/TEATRICA/4_saggi.htm –, Bertolt Brecht: estraniamento e dialettica del comico (2), in «Le reti di Dedalus», febbraio 2011, cfr. http://www.retididedalus.it/Archivi/2011/febbraio/TEATRICA/4_saggi.htm T. Eagleton, Carnevale e satira: Bachtin e Brecht, in «L’immagine riflessa», n. 1-2, 1984. K. Elam, The Semiotics of Theatre and Drama, London and New York, 1980 (trad. it.: Semiotica del teatro, Il Mulino, Bologna 1988). E. Fischer-Lichte, Semiotik des Theaters. Band 2 : Vom “Künstlichen” zum “natürlichen” Zeichen. Theater des Barock und der Aufklärung”, Gunter Narr Verlag, Tübingen, 1983. G. Galli (a cura di), Il “Mein Kampf” di Adolph Hitler. Le radici della barbarie nazista, Kaos edizioni, Milano 2005. A. J. Greimas, Pour une sémiotique du monde naturel, in «Langages», 10, 1968 (poi in Id., Du sens, Seuil, Paris 1970). –, Sémiotique figurative et sémiotique plastique, in «Actes sémiotiques. Documents», 60, Paris, 1984. –, Du sens II. Essais sémiotiques, Seuil, Paris, 1982. A. J. Greimas e J. Courtés, Sémiotique. Dictionnaire raisonné de la théorie du langage, Larousse, Paris, 1979. A. Kendon, Gesture. Visible action as utterance, Cambridge University Press, Cambridge 2005. G. Manetti, L’enunciazione. Dalla svolta comunicativa ai nuovi media, Mondadori, Milano 2008. E. Michaud, The Cult of Art in Nazi Germany (Cultural Memory in the Present), Stanford University Press, Stanford 2004. A. Rosemberg, Schriften und Reden. Mit einer Einleitung von Alfred Bäumler. 2 Bände, Hoheneichen-Verlag, München 1943. M. Sbisà (a cura di), Gli atti linguisitici, Feltrinelli, Milano 1978. J. Searle, A taxonomy of Illocutionary Acts, in “Minnesota studies in the Philosopy of Science”, vol. VII: Lenguage, Mind and Knowledge, a cura di K. Gunderson, University of Minnesota Press, 1975. P. Pavis, L’analyse des spectacles, éditions Nathan, Paris 1996. A. Ubersfeld, Lire le théatre II. L’école du spectateur, Edition Belin, Paris1996.
|