CT#20 - TEATRI DI VOCE |
a cura di Lucia Amara e Piersandra Di Matteo A partire da questo numero “Culture Teatrali” diventa annuario, aumentando il numero delle pagine e aggiornando anche la veste grafica. Si tratta a tutti gli effetti di una nuova serie, anche se abbiamo deciso per ragioni pratiche di non azzerare la numerazione. PREMESSA Per questo volume si è scelto un titolo significativo. TEATRI DI VOCE rimanda a due obiettivi fondamentali. Il primo è quello di indicare alcuni luoghi – le scene, i teatri, la bocca, il testo – in cui la pratica e la ricerca della voce sono maturate e mutate nel tempo. Il secondo obiettivo conferma e approfondisce il primo, nella misura in cui il teatro, e in particolare la più alta sperimentazione teatrale, si delinea come il crocevia privilegiato in cui confluiscono le direzioni possibili di una ricerca ancora aperta che, tuttavia necessita di un gesto, seppur provvisorio, di riflessione teorica. Il modo in cui questo volume prende forma ricalca queste istanze di scelta, volendo restituire quelle stratificazioni e ponendole su un piano di problematizzazione a partire, quindi, dalla diffrazione dei punti di vista che la voce con-voca. Prende vita, in questa direzione, un modus operandi che privilegia la prospettiva teatrologica, cioè una precisa circoscrizione disciplinare dell’oggetto, ma al contempo non emargina ciò che lo stesso oggetto teatrale ha come specificità: quello di essere un universo, simbolico e non, in cui la voce può venire restituita sia alla sua fugacità che alla sua corporeità. Infatti, il teatro, nelle sue manifestazioni più avanzate e sperimentali – come quelle indagate in questo volume – riesce, a differenza di ciò che accade in genere negli studi di linguistica, filosofia e fonetica sull’argomento, a dare pregnanza al qui della voce, alla sua presenza immanente, mantenendo e custodendo, tuttavia, viva e dinamica la sua istanza di materia trascendente. La parabola di Artaud, in questo senso, diventa emblematica. La voce, la sua voce d’attore, richiede un’atletica, una tecnica. Ma essa è anche soffio creatore e genesico, unico modo per attaccare definitivamente la dittatura del Logos occidentale e del Padre, insieme al dispotismo ordinato della scrittura e della grammatica. La voce attraversa il corpo, lo compone e lo scompone per poi ricostruirlo in una nuova unità. Se Artaud apre il Novecento dei nostri teatri di voce, Carmelo Bene lo chiosa e lo riapre al nuovo millennio dentro i confini, stretti e illimitati insieme, della poesia e della scena. È, infatti, CB una strana assenza-presenza in questo volume. Assente perché manca uno studio esplicitamente dedicato al suo lavoro, tuttavia, presente perché sul vocale egli rappresenta il riferimento capitale a ogni livello di speculazione, sia empirica che teorica. Bene ha raccolto un’eredità, quella del grande attore ottocentesco, nei termini di un’autorialità monologante divenuta “macchina attoriale”, ha avviato una ricerca specifica sulle dimore del qui della voce attraverso uno studio tecnico e poetico dell’emissione, costruendo un nuovo concetto di phoné e restituendo al teatro le sue funzioni più alte. Bene, raccogliendo in modo esemplare, lontano da qualsiasi retorica, l’eredità di Artaud, mostra la pregnanza della tecnica vocale riuscendo, al contempo, a sfiorare con la voce i confini di un discorso che diviene, per questo, puro pensiero (o pensiero puro). Su queste scie, di particolare interesse risultano le riflessioni prodotte da una vasta e diversificata letteratura d’ambito extra-teatrologico. Gli studi sulle antiche culture orali e sugli aspetti prosodici e relazionali del linguaggio consentono ai teatrologi di orientarsi in direzione di una comprensione più pertinente della questione della voce e del suo rapporto con la parola a teatro. Non meno rilevanti appaiono gli studi di psicofonetica, che ricostruiscono i messaggi trasmessi attraverso la voce, gli approcci antropologici transculturali, che inseriscono la voce nel contesto umano che le compete, la fonologia, la linguistica e la semantica (spesso congiunte con le ricerche provenienti dal campo delle scienze cognitive) e la filologia, i recenti studi di ambito filosofico e psicanalitico; né vanno dimenticati gli apporti della scienza delle comunicazioni e dell’ingegneria acustica, che studiano come la voce possa essere molecolarizzata, diffusa e modificata; oltre, infine, ai contributi offerti, nello specifico, dalla musicologia, relativamente alle differenze tra registri, al timbro e alle sue qualità dinamiche, o alla voce intesa come strumento corporeo in dialogo con le sonorità strumentali. Questa complessa panoramica di studi ha contribuito a costruire la trama metodologica e concettuale sulla quale si compone questo volume, che consta di quattro parti. La prima è costituita da Studi Teatrologici nei quali la voce è indagata a partire dalle manifestazioni sceniche più esplicite e dichiarate, ma anche tra le pieghe più riposte del proprium teatrale: dalla poesia al corpo-voce; dalla drammaturgia corale al silenzio; dalla rappresentazione psicoacustica a quella iconica; dalle forme di scrittura orale e vocale, come la glossolalia artaudiana, alle strutture più notevoli della drammaturgia afona e afasica della scena contemporanea, in cui la voce sfiora i livelli più inediti e profondi della sua espressione ed esteriorizzazione. La parte centrale del volume è dedicata all’esemplificazione in due differenti maniere. Attraverso i testi, raccolti nella sezione Poetiche, esplicitamente commissionati a una serie di artisti che hanno fatto della voce il loro centro più acuto di interesse. Attraverso la sezione Dossier, che si sofferma su due delle più pregnanti realtà teatrali dei nostri giorni: il Workcenter di Jerzy Grotowski e Thomas Richards e la Socìetas Raffello Sanzio. Chiude il volume l’Antologia, a postilla delle direzioni di studio più rilevanti che serpeggiano per intero in questo progetto, rinviandosi inmaniera continua e indefinita. [ L.A. e P.D.M.] |