Una straordinaria Ermanna Montanari porta in scena l’avventura spirituale ed esistenziale di Rosvita Dopo-spettacolo con un corto teatrale di Patrizia Cavalli Lecce// 19 > 20 febbraio
Assente dalla scena teatrale leccese da 8 stagioni, ritorna il Teatro delle Albe di Ravenna che unisce innovazione e tradizione, invenzione di linguaggi contemporanei e attenzione al proprio patrimonio etnico attraverso un personalissimo percorso di creazione. ROSVITA spettacolo-concerto ispirato ai testi di Rosvita da Gandersheim, monaca e drammaturga sassone del X secolo, che vede Ermanna Montanari nel doppio ruolo di autrice del testo e interprete. Al suo fianco, Sara Gandolino, Michela Marangoni e Laura Redaelli, che intonano la “musica celeste”, il gregoriano, quattro fantocci che emergono dal buio. Tutto appare attraverso la voce, il canto, i suoni. Riprendendo uno spettacolo del ’91, Ermanna Montanari, ha costruito con la regia di Marco Martinelli questo spettacolo-concerto, presentato in prima nazionale al Ravenna Festival nel giugno 2008. La produzione della monaca può essere letta come una prima, arcaica forma di "teatro della crudeltà".
La struttura dello spettacolo, con Ermanna Montanari voce recitante, è fedele all’intenzione con cui i drammi sono stati scritti: destinati alla lettura (declamatio) più che a una rappresentazione vera e propria, le opere di Rosvita non hanno nulla in comune con i drammi liturgici che nascevano proprio nella stessa epoca e da cui si svilupperà il teatro occidentale. Alternati talvolta ad aspetti grotteschi da commedia, i dettagli più truci non si risparmiano, senza però mai apparire fini a se stessi quanto piuttosto volti ad affermare la forza spirituale delle donne, seviziate, bruciate, decapitate, o nella migliore delle ipotesi rinchiuse a vita in celle fetide e buie, di fronte alla violenza degli uomini pagani e all’implacabilità di quelli cristiani. Rosvita parla in prima persona solo nel prologo, la "lettera ai dotti", in cui sottoponendo i suoi scritti al giudizio di alcuni intellettuali, chiede scusa con umiltà dei suoi errori, e spiega la sua scelta di ispirarsi a Terenzio, autore pagano allora molto di moda per la bellezza del suo stile ma i cui contenuti scabrosi poco si addicevano alla spiritualità cristiana. Seguono tre "dialoghi drammatici" che hanno tutti per protagoniste delle donne: una prostituta penitente, tre giovani sorelle che affrontano liete e indomite il martrio, una ragazzina estatica convinta dal nonno eremita a diventare un angelo. Roghi di giovinette, stupri e torture, cedimenti, amori impossibili che non si arrestano neanche davanti alla necrofilia, padri autoritari e pii: miniature medievali che riaffiorano da un passato remoto e che si perpetuano sempre uguali (se solo le sappiamo leggere) nelle cronache quotidiane del pianeta. La crudeltà ambigua e disorientante dei drammi di Rosvita mi parla ancora, a distanza di dieci secoli, a distanza di quasi vent’anni dal mio primo accostarmi alla sua opera: tutto, nella sua scrittura insieme devota e infuocata, vi accade all’improvviso, la tentazione e la resa e la conversione. Non c’è logica, non c’è buon senso, non c’è realismo, non c’è psicologia: tutto si compie nell’eccesso dell’interiorità, là dove affrontiamo le sfide decisive, là dove i nostri sentimenti si ergono smisurati e assoluti, non accettando sagge correzioni dal di fuori. Le figure che Rosvita tratteggia con la sua prosa rimata, svuotate della loro sostanza corporale, diventano emblemi dello spirito, marionette al vento. Urlano, pregano, si seppelliscono. Dicono di no, dicono di sì, e sempre accettano liete il loro abisso. “Là dove sarà il tuo cuore, là vi sarà anche il tuo tesoro.” La “debolezza” femminile ha la meglio sul “vigore” maschile, per usare la sintesi della canonichessa di Gandersheim, la prima scrittrice di teatro a noi nota dell’Occidente. Un conflitto tra autorità patriarcale e ribellione muliebre, agito scenicamente in un’epoca in cui spesso la donna veniva descritta come “sacco di escrementi”, “porta del Diavolo”. A differenza dello spettacolo del ’91, dove il nodo centrale era la misura, il rapporto con un modello impossibile da percorrere se non in modo balbettante e rovinoso, ho pensato questo nuovo affondo come una lettura-concerto: al centro le parole di “tutte quelle che non hanno preso aria”, martirizzate, bruciate, disperse nel vento ai quattro angoli della terra. Al centro le voci di lupo e di corvo e di colomba di quel teatrino metafisico. Per questo ho amplificato la partitura del ‘91, restituendo alla loro integralità i drammi che all’epoca avevo frantumato (Conversione di Taide e Martirio di Agape, Irene e Chionia), riservandomi come prologo la “lettera ai dotti” e come epilogo la narrazione di Maria, stella del mare, intrecciando qua e là versi di Sant’Agostino, Baudelaire, Amalia Rosselli, come stelle cadenti. Ermanna Montanari
Al termine dello spettacolo il Teatro delle Albe presenta ARIA PUBBLICA “miniatura vocale” di Patrizia Cavalli. Questo “corto” teatrale è un esercizio in cui i versi della Cavalli rappresentano la testimonianza viva di ciò che ogni giorno viene violentato, cancellato, rimosso, in nome di una presunta modernità che si trasforma, quasi sempre, in squallido abbandono. La figura poetica è lo specchio di una carne che anela al respiro, a quella allegrezza giocosa che le Albe avevano già incontrato nei versi di chi è stata maestra della Cavalli, la scrittrice dei Felici Pochi e degli Infelici Molti, Elsa Morante. Venerdì 19 gennaio, a seguire, è previsto l’incontro con la Compagnia del Teatro delle Albe.
PREVENDITA E INFO dal lunedì al venerdì dalle 15.30 alle 18.00 Cantieri Teatrali Koreja, via Guido Dorso, 70 – tel. 0832.242000 / 240752 e-mail: info@teatrokoreja.it www.teatrokoreja.it Coop. Theutra c/o Castello Carlo V tutti giorni dalle 9.30 alle 13.00 e dalle 16.30 alle 20.30 via XXV Luglio n° 32 Tel. 0832/246517 |