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VISIONI

Madeleine. Dalle intenzioni agli effetti (speciali)
Uno sguardo su Madeleine, l’ultimo spettacolo della compagnia romana Muta Imago presentato al Teatro Palladium per Romaeuropa festival 2009
di Chiara Pirri
Torna il tema della memoria in Madeleine, l’ultimo spettacolo della giovane e affermata compagnia romana, Muta Imago, in scena al teatro Palladium per Romaeuropa festival, ultimo quadro della trilogia iniziata con (a+b)³, seguito da Lev. Madeleine, personaggio ispirato a Proust e alla Vertigo di Alfred Hitchcock, non è mai visibile per intero. Deformata dall’azione della luce sul suo corpo, che le taglia il viso o le modifica i lineamenti, combatte con le immagini di un passato che torna nel sogno e con paure che si concretizzano nell’incubo. Sembra vivere in un altrove. L’immagine del suo corpo illuminato, privato della testa immersa nel buio, è la metafora visiva della sua condizione.

A inizio spettacolo il buio accoglie giochi di specchi che rifrangono corpi scomposti di uomo e donna nudi che si contraggono e si agitano al di sopra del palcoscenico. Una tempesta scuote le lastre di plexiglas che occupano la scena, a formare un quadrato chiuso, accompagnata da una realistica e roboante colonna sonora. Appare Madeleine: inizia la sua vita nel sogno.

Corpi e ombre in lotta, magie di luci e suoni in uno spazio senza coordinate, che muta continuamente grazie a sofisticati espedienti e macchinerie prodigiose. Le pareti dietro cui Madeleine vive si tingono di nero a opera di mani maschili, ha luogo un combattimento tra lei ed il suo alter ego maschile, poi le lastre di plexiglas macchiate indietreggiano e scompaiono nel buio. L’incubo si dilegua, torna la pace, che è solo momentanea, poiché il ritmo riprende frenetico, il tempo continua a sbattere tra le pareti dell’abitazione interiore della protagonista. I tre attori mettono in moto la macchina perfetta dell’illusione scenica e si pongono al servizio  del suo funzionamento.
La perfezione tecnica e l’ingegno scenotecnico ragguardevoli, che caratterizzano sempre più il lavoro di Muta Imago, non concorrono a produrre né emozioni né narrazione. Le immagini di cui si compone lo spettacolo, per quanto di notevole attrazione per gli occhi, non raggiungono l’emozione e di conseguenza nemmeno la mente. Come le immagini di una rivista patinata riproducono la carenza affettiva, l’aridità emotiva da cui siamo assediati. Anche il teatro, baluardo di resistenza dei nostri tempi,  cede alla mancanza di affetto e sentimento e diviene veicolo di shock visivo. Si tratta allora di un teatro di effetti speciali.
Mentre Santasangre, altra formazione romana a cui li accomuna l’adesione a un teatro plastico-visuale, pongono al centro dei loro giochi da illusionisti il corpo dello spettatore, stimolandone continuamente la capacità immaginativa, facoltà che collega esperienza sensibile e cognitiva, e coinvolgendone la sensibilità in un’esperienza extra quotidiana, Muta Imago sezionano il corpo dello spettatore dialogando solo con occhi e orecchie.
I temi su cui Muta Imago fonda i propri spettacoli sono: la guerra, l’amore, il confronto con il passato ed il sogno. A differenza dei temi cosmogonici, a cui si riferiscono i Santasangre (i cambiamenti climatici nel caso dell’ultimo spettacolo-installazione), si adattano a una funzione narrativa lineare. La compagnia sostiene di non avere intenti narrativi ma di desiderare che lo spettatore viva un’esperienza in tempo reale nello spazio della simulazione, il teatro. Eppure si ha la sensazione che lo spettacolo voglia narrare una storia, sebbene non precisa. Nel sussurrare di Madeleine in proscenio sembra celarsi il desiderio di urlare, lacerare l’aria spessa con parole e pensieri. Il lavoro della compagnia parte da un testo che poi viene sfogliato e infine eliminato per favorire l’eloquenza dell’immagine.
Madeleine è una bella messainscena cui manca il desiderio.
“Abbiamo paura. Cerchiamo di ignorare i segnali che pure esistono; sminuiamo il nostro stesso sentire. Il passato preferiamo dimenticarlo, preoccupati a preservare un presente costantemente minacciato (…). Temiamo la perdita, l’abbandono, l’esuberanza vera, le passioni eccezionali ed oscure (…) Di questa inutile lotta per resistere, e della scoperta che arriverà dopo la sconfitta, vorremmo parlare” Sono le parole di Riccardo Fazi, drammaturgo della compagnia, nella nota che accompagna lo spettacolo. Parole che parlano di un dramma personale e generazionale, che annunciano un atto di resistenza all’assedio. Affermazioni sincere e coraggiose in vista di uno scontro di pensieri che si oppongono a realtà. I temi annunciati nella nota di regia con tanta urgenza comunicativa non sono affrontati con il medesimo ardore nello spettacolo, né direttamente, attraverso le parole, né indirettamente, attraverso qualcosa che scateni nello spettatore “passioni eccezionali ed oscure”, che ne stimolino la facoltà di sentire o gli permetta di provare l’abbandono e la perdita temuti, o la paura per ciò che di “terribile sta per accadere”.

Dalla nota di regia, lo spettacolo si annuncia come la denuncia della crescente tensione a sminuire la dimensione del sentire quotidiano, mentre lo stesso risulta anestetizzato dal sentire emotivo ed intellettivo. Da parole vive nasce uno spettacolo che smentisce le intenzioni piuttosto che affermarle. Si verifica, dunque, uno scollamento tra poetica e pratica spettacolare. Come se la forma che si declina attraverso l’utilizzo di tecniche e tecnologie sofisticate prenda il sopravvento sull’idea iniziale, e l’urgenza comunicativa, la base feconda da cui lo spettacolo dovrebbe essere guidato, sopperiscano al potere affascinante della tecnica. Che la makinè si sostituisca al pensiero è il rischio del teatro dei nostri tempi tecnologici…

Pubblicato il 02/12/2009

 
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