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Teatrino Clandestino

NO-SIGNAL
uno spettacolo che si interroga sulla TV, sui media e sulla convivenza civile

Modena //  27 > 28 novembre

Si intitola no-signal, con chiaro riferimento all’assenza di segnale che spesso compare sui monitor di un terminale o di una TV, ed è il nuovo lavoro di Teatrino Clandestino con la regia di Pietro Babina, che debutterà al Teatro Storchi di Modena il 27 (ore 20) e 28 novembre 2009 (ore 20.15), nell’ambito di UN COLPO, progetto di quattro compagnie teatrali per i giovani promosso da Emilia Romagna Teatro Fondazione, Regione Emilia Romagna e Ministero della Gioventù.
no-signal – spiega Babinaè il titolo che sintetizza l'idea che, oggi sempre più, un messaggio differente non trova  riconoscimento negli spazi monopolizzati della rappresentazione. Si tratta principalmente di una riflessione sul rapporto che noi tutti abbiamo con la rappresentazione televisiva, con la televisione e il suo linguaggio dominante. Che spazio trova un linguaggio differente, in che misura può esistere? E questo non soltanto al di fuori della televisore ma anche all'interno di essa”.


Che cosa accadrebbe infatti se qualcuno si impadronisse delle trasmissioni televisive nazionali e proponesse agli spettatori la visione di cose completamente diverse da quelle cui da anni siamo tutti abituati? Come reagirebbero gli spettatori? E il potere ufficiale come considererebbe questa azione?
A partire da queste domande nasce no-signal che mette in scena il lavoro di un gruppo di giovani sceneggiatori alle prese con la stesura di un film che racconta di questa “presa del potere televisivo e mediatico in generale”. Gli sceneggiatori cercando di scrivere questa storia in parte la rappresentano, la provano, la testano, coinvolgendo gli spettatori teatrali in questo loro percorso ideativo. Così le prove di alcuni dialoghi si alternano alle descrizioni di scene, si assisterà alle discussioni che gli sceneggiatori fanno attorno alle idee che stanno sviluppando per la scrittura di un film. L'alternarsi dei vari livelli farà emergere senza mostrarlo mai, ma solo evocandolo, un film che ciascuno avrà l'impressione di aver visto senza che mai questo sia stato girato e tanto meno proiettato.
Il messaggio che la TV invia è ormai sempre lo stesso, con i medesimi contenuti e obiettivi, è insomma una forma di terrorismo psicologico cui si è sempre di più assuefatti. Ma è possibile sperimentare il tentativo di inviare “segnali” differenti? 
Si tratta dunque – scrive Pietro Babinadi un terrore instillato non più a colpi di attentati dinamitardi, ma attraverso la costruzione di un immaginario unico, un monoimmaginario, in cui la paura (una paura senza faccia, senza causa effetti espliciti) è il tema sotteso di tutte le sue rappresentazioni.
Se lo spettacolo terroristico è il fine, la televisione ne è il suo mezzo, l'arma più potente.
Forse solo un immaginario altro può opporsi e interrompere o fronteggiare questo flusso a segnale unico. Ma come può accadere questo?
”.
Là dove le nuove generazioni faticano a riconoscere la differenza tra la vita vera e quella “rappresentata” dalla TV, è ancora più interessante lanciare una sfida e tentare di rendere distinte e riconoscibili la finzione e la realtà.

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