OLIVIERO PONTE DI PINO, Comico & Politico. Beppe Grillo e la crisi della democrazia, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014, 248 pp.
[Marco De Marinis] Dare del clown o del buffone a qualcuno per insultarlo è abitudine antica nel nostro Paese e non solo, tanto più giustificata in apparenza se il bersaglio è un uomo di spettacolo e magari un comico. Qualcuno ricorderà il grido di dolore e di indignazione con cui la corporazione degli scrittori italiani accolse l'assegnazione del premio letterario più prestigioso a Dario Fo nel novembre 1997: “Ma come? Il Nobel a un buffone?!”. Molto più recentemente, all'indomani delle ultime elezioni politiche del febbraio 2013, il prestigioso “The Economist” ha pubblicato una copertina feroce con i ritratti di Grillo e Berlusconi e il titolo Send in the Clowns!, che - rilanciato in Germania - provocò fra l'altro l'indispettita reazione di un clown di professione, Bernhard Paul, star del Circo Roncalli. Da quest'ultimo episodio partiva, fin dal titolo, un brillante intervento di Oliviero Ponte di Pino dal titolo Per una drammaturgia transmediale della crisi italiana, ovvero perché i clown vincono le elezioni, apparso nel n. 22 (2013) della rivista “Culture Teatrali” (Realtà della scena. Giornalismo/Teatro/Informazione, a cura di Marco De Marinis), pp. 55-86. A sua volta, quel saggio è alle origini del libro in uscita in questi giorni, e al quale è dedicata la nostra scheda.
Già da questa premessa dovrebbe risultare chiaro che Comico & Politico, nonostante il sottotitolo, non è (soltanto) l'ennesimo libro sull'entertainer genovese e sulla sua (ir)resistibile ascesa politica, culminata per ora nell'incredibile trionfo elettorale dello scorso anno. La ragione principale per la quale non lo è la spiega benissimo l'autore stesso nell'introduzione, riferendosi ai limiti evidenziati - a suo parere - dalla folta pubblicistica sull'argomento (ivi compresi anche i libri di cui Grillo è autore o coautore):
Queste analisi tendono […] a sottovalutare un aspetto fondamentale della personalità di Grillo, che nasce e resta uomo di spettacolo e di teatro. Nel terzo millennio, lo showman ha recuperato con grande sapienza le tecniche di un'arte antica, apparentemente obsoleta ed emarginata dal dibattito culturale. Ha affinato le sue straordinarie abilità istrioniche sulla scena, poi le ha trasferite in televisione, sui giornali, nei comizi, nel blog, nei confronti politici. […] Solo osservando come Grillo ha saputo dialogare con la “pancia” del Paese potremo capire come una pratica artistica marginale e artigiana (il teatro, il cabaret, anche negli approdi televisivi) rischi di sconvolgere il fragile sistema istituzionale. (pp. 16-17)
Insomma, il classico uovo di colombo - se vogliamo: e cioè, il teatro, e in specifico il teatro comico-satirico, come chiave di lettura privilegiata (anche se non unica, ovviamente) dello straordinario successo politico di un outsider, un “marginale”, come il performer ligure. E' servendosi di questa chiave che l'autore spiega facilmente come Grillo si trovi perfettamente a suo agio, da primattore consumato, in quello che non a caso da anni è chiamato il “teatrino della politica” italiana, e di cui da primattore appunto riesce a sovvertire le regole a suo piacimento e vantaggio.
A tale proposito, particolarmente riuscite e divertenti risultano - per fare un solo esempio - le pagine che Ponte di Pino dedica alla straordinaria performance grillesca al Festival di Sanremo di quest'anno, tutta giocata sullo spiazzamento delle (terrorizzate) aspettative, e sul principio del massimo risultato col minimo sforzo, e culminata nel rifacimento della più celebre battuta del Riccardo III shakespeariano: “il mio regno per un bicchier d'acqua!” (p. 209). Conviene seguire l'autore nell'articolata analisi di questa incursione sanremese, perchè vi troviamo l'evidenziazione di un altro aspetto decisivo dell'antica sapienza teatrale di Grillo, quello del sapersi muovere perfettamente su più palcoscenici a differenza dei suoi avversari:
Ancora una volta, Grillo è stato abile ed efficace. In primo luogo, è riuscito a definire in diversi contesti scena e platea, trovando il proprio ruolo. C'era il teatro vero e proprio: nella platea dell'Ariston si è presentato come “uno che ha comprato il biglietto”, a differenza di dirigenti televisivi, attori e attrici, giornalisti, politici, discografici, che rastrellano decine di ingressi omaggio. In quel teatro è diventato immediatamente il “primo spettatore”, quello che calamita tutti gli sguardi, e le attese. C'era il teatro di strada, ovvero il red carpet davanti al Teatro Ariston, dove è stato assoluto protagonista, nella calca di cronisti e curiosi. C'era il teatrino politico-mediatico, dove ha accupato la scena per giorni e giorni con la modica spesa di due biglietti di teatro. Il giorno fatidico, tutti i telegiornali della sera hanno trasmesso un paio di frammenti del suo minishow, rilanciati l'indomani dalla stampa. I media hanno amplificato le sue gesta, dando poi la stura a paginate di commenti (compreso questo). (p. 210)
Attenzione alle conclusioni, cui alludevamo in precedenza:
Essendo in grado di esibirsi con successo su diversi palcoscenici, comunicando ai vari pubblici con specifiche strategie, scegliendo tempi, modi e temi, il trickster Grillo ha continuato a spiazzare gli avversari, a cominciare dai politici ingabbiati nel loro ruolo. I suoi avversari sono in grado di destreggiarsi su una o due scene, mentre con il suo monologo e la sua energia lui si trova a suo agio su tutti i palcoscenici, compresi quelli della rete, ed è un maestro nel metterli in relazione, nell'amplificarli vicendevolmente. (pp. 210-211; corsivi miei)
Lasciamo per un momento da parte l'essenziale riferimento, contenuto nel brano precedente, alla rete, sul quale ovviamente dovremo tornare. E insistiamo sulla lettura sub specie theatri che l'autore fa del fenomeno Grillo e quindi del suo MoVimento 5 Stelle. Infatti, la chiave di lettura teatrale serve a Ponte di Pino anche per spiegare le tecniche della “discesa in campo” del comico genovese, fra 2005 e 2008, dopo l'incontro “fatale” con Gianroberto Casaleggio, e soprattutto per leggere l'intera sua carriera artistica, fra teatri e televisione, come una sorta di apprendistato politico, di lenta ma progressiva preparazione alla “discesa in campo”: l'esordio negli anni Settanta, il sodalizio con Antonio Ricci, suo autore in RAI e poi a Mediaset, il bando dalla televisione nella seconda metà degli anni Ottanta, che sembra ricalcare il copione già visto con Dario Fo e Franca Rame nei primi anni Sessanta. Da quel momento, in TV Grillo compirà solo sporadiche ma quasi sempre memorabili incursioni, da “guastatore” se non da vero e proprio “agit-prop”, che contribuiranno a definirne sempre meglio il profilo di “comico contro”, ancora una volta lo stesso dell'autore di Mistero Buffo e di Morte accidentale di un anarchico.
A questo punto, mi sorge spontanea una domanda che può sembrare ingenua e non lo è: come mai a Grillo è riuscito quello che non è riuscito a Dario Fo, maestro e prototipo riconosciuto di tutti i comici e satirici monologanti degli ultimi quarant'anni, o a Roberto Benigni, per citare un altro entertainer a cui certo non difettano né sapienza comica né impegno civile? Si potrebbe rispondere: perchè sia Fo che Benigni non hanno voluto buttarsi in politica, cioè investire politicamente il notevole (in certi momenti) capitale di credibilità e consenso conquistatosi come comici. Il che è vero, ma forse non del tutto, almeno nel caso di Fo. E in ogni caso si tratta di una risposta parziale e quindi insoddisfacente. La differenza sostanziale tra la stagione teatral-politica di Fo e quella di Grillo (a prescindere dalla volontà o meno del primo di scendere personalmente in lizza come farà il secondo, pur non candidandosi), continuando a seguire l'argomentazione di Ponte di Pino, (il quale a onor del vero questa domanda non se la pone esplicitamente) tira appunto in ballo la rete, evocata in precedenza. Senza internet, senza il web 2.0., il successo politico di Grillo e del MoVimento 5 Stelle sarebbe del tutto incomprensibile. Del resto è chiaramente la rete a scandire le tappe della sua progressiva discesa in campo, grazie al consenso che esse procurano a lui e al suo movimento: dal blog che egli apre ancora inconsapevole, forse, nel gennaio 2005, ai MeetUp, ai V-Day (a cominciare dal primo, che si tenne a Bologna l'8 settembre 2007), in una continua, abilissima alternanza e mescidazione di piazze virtuali e piazze reali. Ma naturalmente anche il Grillo virtuale e internauta resta un consumato uomo di spettacolo, che sa ancora una volta mettere al servizio dei new media e della rete il suo saper fare antico di istrione manipolatore delle emozioni, capace di parlare alla famigerata “pancia” del paese e di intercettarne la sfiducia, la paura, la frustrazione, la rabbia.
Siamo alle battute finali, esplicitamente dubbiose, del pamphlet, che riflettono sul muoversi della politica-spettacolo, oggi, fra il vecchio buon teatro del qui ed ora e il nuovo teatro virtuale e globale che s'avanza, sui rischi che ciò potrebbe nascondere per le democrazie, e sullo straordinario fiuto di Grillo, “cittadino totale” e clown:
Forse un giorno la democrazia partecipata della rete, popolata da “uomini totali”, non avrà più bisogno della mediazione del teatrino della politica. Forse alle nuove arti della partecipazione, della condivisione e della connessione non servirà più il qui e ora della scena. Forse Grillo, “cittadino totale”, è solo un clown, e non un autentico leader politico. Ma di sicuro ha saputo intercettare con la sua “pancia d'attore” una mutazione dell'immaginario sociale e civile, aprendo spazi di partecipazione a molti cittadini che fino a quel momento non avevano svolto attività politica. Il “sismografo Grillo” ha registrato due sommovimenti profondi e contemporanei: lo smottamento del sistema di potere di un paese inerte, e l'impatto della rete sulle procedure della democrazia. Ha usato un moderno strumento di comunicazione per smascherare l'esasperante disgregazione italica e sbeffeggiarne i responsabili. (pp. 242-243; corsivi miei)
Il libro si apre con gli attori italiani in Francia che - secondo l'affascinante ricostruzione storica di Claudio Meldolesi - si fecero rivoluzionari di professione all'indomani della presa della Bastiglia, pagando non di rado a caro prezzo questa scelta, e si chiude (con un tempismo da instant book) con la tournée teatrale-campagna elettorale, ovvero con la campagna elettorale in forma di tournée teatrale, dal titolo Te la do io l'Europa, che Beppe Grillo ha avviato da qualche settimana in vista delle elezioni europee. Comico & Politico si legge tutto d'un fiato e diverte (anche) nel leggerlo; ma alla fine lascia giustamente l'amaro in bocca di interrogativi seri e talvolta angoscianti, come questo: con il fenomeno Grillo siamo di fronte alla “ennesima bizzaria italiana, incomprensibile e inquietante, l'ultimo lazzo di un'interminabile Commedia dell'Arte” (p. 18), o invece abbiamo a che fare con una specie di inquietante laboratorio del nuovo, con il nostro Paese in anticipo sul Vecchio Continente? (E neppure in questo caso sarebbe la prima volta: com'è noto, sia il fascismo che il berlusconismo sono stati fenomeni anticipatori e, purtroppo, ampiamente imitati). Chiudo con una questione, al tempo stesso teatrale e politica, che il libro sfiora appena e che viceversa, da teatrologo e da cittadino, ritengo importante e che comunque mi appassiona non da oggi: la mutazione del Comico (inteso ovviamente come dimensione e genere, non come individuo), in rapporto al Politico e più ancora al Potere, che sembra essere in atto ormai da qualche tempo (almeno in Italia). Su questa questione si sono registrati alcuni interventi interessanti. Ad esempio, Daniele Luttazzi sostiene da qualche anno che ormai la satira “non c’è” più, sostituita da una “risata fascistoide”, che il potere ritorce contro chiunque si opponga e dia fastidio (cfr. l’articolo di Valérie Bubbio sulla rivista on-line “L’asino vola”, 1/3, febbraio 2010): una risata acritica, gastronomica, vuota e conformistica, usata come arma del più forte nei confronti del più debole, e dunque con un perfetto rovesciamento del comico (rabelaisiano) ma in realtà di ogni satira, che - in quanto tale e se autenticamente tale - sta sempre e comunque contro il potere, strumento del più debole contro il più forte. Credo che quanto sostiene Luttazzi c'entri con il fatto che poi, da noi, i clown vincono le elezioni. Ciò dipende infatti da un altro unicum della nostra Italietta recente: quel fenomeno di inversione e usurpazione dei ruoli, grazie al quale i politici, a cominciare ovviamente da Berlusconi, hanno rubato il mestiere ai comici, usandone (e pervertendone) gli strumenti per ingraziarsi il popolo ridens, eliminare nichilisticamente ogni possibilità di seria discussione e delegittimare-mettere alla gogna l'avversario di turno (si veda l’analisi del politologo Michele Prospero: Il comico della politica. Nichilismo e aziendalismo nella comunicazione di Silvio Berlusconi, Roma, Ediesse, 2010). Cosicché è sembrato inevitabile che, a loro volta, i comici invadessero il campo della politica: il caso Grillo nasce, in fondo, anche da qui. E oggi non finisce per giocare un ruolo prettamente politico, indipendentemente persino dalle sue intenzioni, un ottimo comico televisivo come Maurizio Crozza con le sue imitazioni? Quanto voti prenderebbe il clown Crozza se - Dio non voglia - scendesse in campo pure lui?
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