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ALFABETA2

E' presente il teatro?

 

Pubblichiamo di seguito l'editorale allo speciale E' presente il teatro?, a cura di Valentina Valentini, inserto nella rivista di intervento culturale "alfabeta2" (n. 27). Si tratta di un aggregato plurale di voci sul senso presente del teatro, sulla sua tangibilità reale e concreta sui e nei fatti del mondo. Il teatro cioè come agente possibile, probabile o assente nelle dinamiche sociali, politiche, esistenziali collettive; comburente di immaginari e non quoziente residuale e sintetico di una raffinazione già avvenuta. Ma la domanda del titolo può anche smagliarsi in una riflessione sul teatro come "contemporaneo". E' ormai assodato che non tutto il teatro prodotto nell'oggi è contemporaneo. Cosa ne fa allora qualcosa che è vivo, che sentiamo come un acceleratore di processi vitali e che non è semplicemente rassicurante, evasivo, logoro? [S.M.]


[Valentina Valentini] L’intenzione di questa inchiesta è di interrogarsi sulla presenza del teatro in questo tempo e nei luoghi (espressivi) a noi circostanti, sulla sua prontezza e immediatezza, sulla sua efficacia ed energia, sul suo essere manifesto e visibile, stringente e incalzante, deciso, impavido e intrepido nelle battaglie, e anche propizio.

Due domande semplici condensano il senso dell’essere presente, rivolte ad artisti di varie arti (musica, arti visive, cinema, video, scrittori, poeti…). Le voci del teatro prevalgono, spontaneamente.

– È presente il teatro come idea, come pratica artistica, come mondo nella nostra vita individuale e sociale? È riuscito il teatro (come libro, come spettacolo, come attori, come registi, come chiacchiera) a creare immaginario? Si è depositato nei linguaggi, nella moda, nei comportamenti, nel pensiero di filosofi,scienziati? Ha creato mitologie?

Cosa rende vitale il teatro? E da cosa si misura la sua vitalità? Forse dalla sua capacità di provocare reazioni? Quali sono state e quali sono le pratiche teatrali che ritieni più efficaci? [...]

Pubblico come insieme di spettatori o pubblico gregario? Dal momento che non ci sono più collettività accomunate da ideologie omogenee (la rivoluzione), il teatro si mostra vitale in luoghi circoscritti e in gruppi omogenei: bambini, carcerati…laddove si crea una comunità. In una comunità la differenza fra pubblico e spettatore cade, e i loro ruoli sono reversibili. Essere spettatore permette allo stesso tempo di condividere un’esperienza e godere individualmente del piacere della contemplazione dello spettacolo.


Il pubblico gregario è quello di massa, omologato dalla tv, in cui è reciso il percorso di sentirsi parte di un coro e nello stesso tempo essere uno. In alcune comunità ristrette, come nel quartiere dell’Albergheria a Palermo, per il teatro di Franco Scaldati, si crea un luogo isolato che «diventa un mondo perché è la parola che si fa mondo, che si fa luogo dove lo spettatore entra, con sforzo perché è qualcosa che abbiamo dimenticato. Il teatro è un’esperienza che richiede uno sforzo, cosa che in questi tempi di assoluta pigrizia non è più praticabile».


Anche se il teatro resta il luogo filosofico-umanistico che è sempre stato, non è più luogo della discussione etica ed estetica al centro della città. «Il teatro è oggi presente come luogo dell’esperienza radicale della diversità». In questo senso il teatro d’avanguardia ha creato un immaginario collettivo che è stato assimilato, tant’è che la performance art è oggetto di insegnamento nelle accademie e nelle università.

– Il teatro come industria culturale regge il mercato: i dati del box office per il 2011 riportano 22,3 milioni di biglietti staccati. Nello stesso anno il calcio ha toccato la cifra di 22,6 milioni di biglietti. Manca il riconoscimento sociale (il teatro è bene comune) e mediatico (il teatro è alla periferia dei media di massa, dalla tv alla stampa).


È vivo il teatro o la teatralità? «Nell’ibridazione, nelle forme trasversali e “sporche” prevalenti nell’arte contemporanea, la teatralità ha un ruolo centrale…» «Il teatro è il cinema, il cinema è il teatro, la pittura è la fotografia, la fotografia è la pittura, l’analogico è il digitale, il digitale è l’analogico…» È la querelle dei dispositivi: se lo spettacolo non persegue «la percezione di un attimo eterno, ma di un eterno riprodursi
dell’attimo
», perde la sua ragion d’essere.

 

http://www.alfabeta2.it/2013/03/01/sommario-del-n27-marzo-2013/


 
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