[ Adele Cacciagrano ] Entra rotolando su se stessa come un corpo in assenza di gravità, come se quella massa di terra fine che ricopre il proscenio della sala spettacolo di Lenz Teatro a Parma si fosse d'improvviso trasformata in una zolla di suolo lunare memorialmente impresso dai salti cinematograficamente leggeri dell’astronauta Aldrin. L’attrice Barbara Voghera, nota al pubblico di Lenz per essere uno degli elementi cardine delle produzioni della compagnia parmense, si sdraia a terra, supina, e la convocazione immaginaria di un’Ofelia preraffaellita che sorge dalla sua messa in posa introduce in pochi secondi il tema acquoreo che è l’elemento cardine di questo quarto quadro dell’Isola dei cani, la nuova creazione di Lenz Rifrazioni che tenta di declinare attraverso le parole e le immagini di Eliot, Buchner, Shakespeare, Ovidio e altri autori cari alla compagnia, la nerezza delle passioni al femminile. Barbara Voghera, il cui volto e fisico sono segnati da una invalidità mentale permanente, battezza il suo dire scenico con un monologo in condizione post-mortem di cadavere intento a ricordare le circostanze del proprio sparire: quell’onda lunga della Cornovaglia che l’ha trascinata via, che l’ha consumata fino a renderla bianca e pura e che ancora adesso la condanna a un ballo impossibile fatto di continui affioramenti , affondamenti, nell'acqua, dall’acqua. L’attrice prende un sacchetto di plastica da uno dei cinque cani-simulacri che abitano la scena, si dirige verso la poltrona terapeutica sull’angolo destro della scena e, dopo essersi seduta con le gambe completamente allargate, infila la testa nel sacchetto di plastica. Con la voce microfonata e distorta, il nome di Ofelia echeggia per un attimo che è puro lampo, interpunzione infinitesimale in una sonata che si appresta a prendere il volo nell’onnubilarsi di qualsiasi demarcazione attore/personaggio. L’attrice, nella forma canonica del lamento, sgrana gli stasimi di una eretica via crucis che ha per oggetto la liquefazione del cadavere: dall’inabissamento in fondo al mare con tanto di incontro con un polipo che lecca i piedi e fa male, alla menzione proto-liturgica delle parti del corpo anatomico nel tentativo di preservare/nominando quelle tette marce che non sanno di niente, quel cuore pieno di vermi, quel corpo gonfio di piscia, di merda e di cacca. L’impressione di trovarsi di fronte a una profetessa-prefica invasata svanisce nell’attimo stesso in cui la voce da distorta torna normale e se la Barbara-Ofelia implora un “perdono, papà! Sto morendo, papà!”, la tessitura drammaturgico-vocale ci ha già riportati indietro, nella piena visibilità del personaggio con il conseguente disincanto per la fine di quel fuoco vacuo che, unico, ha illuminato una produzione, per il resto, ancora altalenante in particolare per la recitazione spesso di mera tecnica e intenzione delle altre profetesse in scena - Sandra Soncini, Elena Sorbi, Valentina Barbarini e Monica Bianchi -, e per un discorso visivo che in questa produzione si è dimostrato un po' discontinuo e lapidario assemblando, come in una wunderkammer caotica, riprese video di dettagli di natura, una mappa londinese dell’Isle of Dogs di Londra ai video-ritratti, stile Cindy Sherman, delle interpreti in scena con lunghe zoomate sui plessi inguinali a fare da didascalia, commento e contrappunto.
L'isola dei cani creazione || Maria Federica Maestri | Francesco Pititto con Sandra Soncini | Elena Sorbi | Valentina Barbarini | Barbara Voghera | Monica Bianchi Parma, Lenz teatro, 17_21 Maggio 2011 |