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Il face à face di Corradino-Lagarce

Il paese lontano è qui

[Silvia Mei] Ne abbiamo riferito non molto tempo fa in queste stesse pagine a proposito di un suo “solo”, Conferenza, narrazione performativa senza racconto, artatamente concettuale, di nobile ispirazione beniana. Si tratta di Roberto Corradino, per Reggimento Carri, una bellicosa formazione fondata nel 2000 occhieggiando al rovesciamento numerico di sala-scena, con sede a Bari, città che dà gli avi al nostro attore-autore (classe 1975) oggi anche regista. O meglio, orchestratore di cori di attori e giovani in formazione (pensiamo a Cuore_come un tamburo nella notte, dal romanzo omonimo di Edmondo de Amicis, per una coorte di venti presenze), cui attraverso Il censimento dell’attore del Polo Sud garantisce una preparazione professionale, non già una scuola - che per l’attore contemporaneo è essenzialmente autoformazione permanente.
Lo scorso 15 aprile abbiamo avuto l’occasione e il piacere di calare nelle Puglie per il suo Making of “Il Paese lontano” all’interno del progetto Face à face, rassegna alla sua quinta edizione che promuove un gemellaggio tra le drammaturgie d’Italia e di Francia. Un progetto che ha imposto, in Italia quanto meno, una rinnovata attenzione alla dimensione testuale (non letteraria), che nelle ultime generazioni si era andata sfilacciando fino a diventare una trama minoritaria. Roberto Corradino si è confrontato con un autore, Jean-Luc Lagarce, che nel nostro paese ha conosciuto, proprio in virtù di questa iniziativa promossa dall’Ambasciata di Francia, un notevole successo, sulla scia degli allori tributatigli in patria fin dalla sua morte, avvenuta nel 1995 per Aids. Per chi non ne sapesse niente, Lagarce è stato un vero e proprio esploratore teatrale, prolifico autore, attore e regista e anche editore (ha fondato  Les Solitaires Intempestifs, nota sigla editoriale rivolta alla pubblicazione di testi per la scena e orientata ai fenomeni teatrali d’innovazione). In traduzione italiana è apparso nella collana I testi, di Ubulibri, il primo volume Teatro (2008), a cura di Franco Quadri, mentre nei quaderni di Intercity Play (4/2000) sono uscite due traduzioni di Barbara Nativi e Francesca Moccagatta. In questi ultimi anni si è poi assistito a diverse proposte sceniche di registi da sempre sensibili alla drammaturgia, strictu senso, trattandosi di un autore particolarmente verboso: ricordiamo appunto il Progetto Lagarce promosso e diretto da Luca Ronconi, che nel 2010 ha allestito Giusto la fine del mondo, lasciando al suo assistente Carmelo Rifici la regia de I pretendenti (2009); quindi l’allestimento di Marinella Manicardi, al Teatro delle Moline di Bologna, di Le regole del saper vivere nella società moderna; è passata invece in lingua originale dal Festival di Napoli nel 2009 la pièce Music-hall, nella visione di Lambert Wilson con una ex diva, Fanny Ardant, come nessun' altra in parte per la protagonista.
Roberto Corradino ha scelto quello che è considerato lo chef-d’oeuvre di Jean-Luc Lagarce, in un certo senso il suo testamento teatrale, Il paese lontano, che tratta del ritorno, dopo lunghi anni di silenzio, di un quarantenne vicino alla morte presso la sua famiglia, ma tutto è molto vago, perché secondario (ricorda molto, almeno apparentemente, certe atmosfere di Annibale Ruccello). Louis è un omosessuale, molto sbarazzino, leggero, scanzonato e disinvolto, si potrebbe azzardare anaffettivo, che alla notizia della sua imminente fine, imprecisata ma intuibile (evidente il rispecchiamento dell’autore in questa sagoma), fa i conti col passato e le persone care che ha fatto soffrire. O meglio, sono i suoi cari a fare i conti con lui, vivi e morti, fantasmi e umani, che gli riversano addosso le loro frustrazioni, le loro ansie, il loro dolore ma anche, felicemente, la loro gioia. Dall’amante (morto) al migliore amico Lunga Data, dall’innamorata non corrisposta, Hélène, fino al fratello Antoine, che diventa il deuteragonista con le sue tirate e le sfide che lancia al figliol prodigo Louis.
Corradino propone per Il Paese lontano molto più della dichiarata mise en espace: si tratta infatti di un quasi spettacolo con circa una ventina di attori tra professionisti e aspiranti, che, nello spazio del Kismet O.per.A Bari, agiscono, in senso letterale, il testo, trattato in chiave metateatrale. Lo spettatore assiste a dei lavori in corso - la maschera in tuta catarifrangente che all'inizio ci guida danzante dal foyer alla sala lo lascia presagire. Qui il maestro di cerimonie Corradino dà inizio a una sorta di prova aperta: gli attori, disposti in un complesso tableau vivant, “entrano nel personaggio”, dopo essere stati presentati nel loro ruolo. Le parti di ciascuna dramatis persona sono distribuite su più attori che si alternano nella finzione. In questo modo, il nostro regista può giocare a fare i Sei personaggi di Pirandello in modo del tutto inedito. Durante l’intera rappresentazione egli interviene, figura peripatetica, direttore di scena, maschera, - un po' alla Kantor, se vogliamo - suggerendo battute, correggendo dizioni, movimenti (ma c’è un copione anche in questi fuori scena che diventano scena); dirige l’organico come un direttore d’orchestra che accenna le modulazioni delle voci, le pause, il ritmo, l’intonazione; quindi mostra, con parsimonia, “come fare”; domanda agli attuanti il loro personaggio, lasciando intuire che gli attori giocano a girarsi le battute, quasi assistessimo ad un provino in cui ancora debbono essere assegnate le parti. Personaggi e attori convivono in scena senza sdoppiamenti improbabili ed è evidente come Corradino, tenendo sempre d’occhio la barra pirandellaina del metateatro, proceda però in senso inverso alle dinamiche dei Sei personaggi: nella direzione, appunto, del venire fuori del personaggio, del suo avvenire, senza polverosi psicologismi, nella carne dell’attore. L’arrivo, il suo manifestarsi è un’epifania che passa attraverso la voce, nell’enunciazione significante delle battute, piuttosto che nel loro significato, nella loro dirompenza lacerante e struggente. La voce diventa l’ossatura del personaggio cui appunto si dà un respiro, un corpo. Si aggiunge inoltre, sempre molto forte anche in altri precedenti allestimenti, la liquidità teatro-sala, resa agibile dal movimento dei performer e supportata da una non banale drammaturgia musicale, livello performativo che significa la scena e attiva la memoria privata e l’immaginario collettivo degli spettatori.
Alla fine non ci dispiace Corradino nei panni del Dottor Hinkfuss che transita tra il pubblico o ruba le battute (deformazione professionale!) ai colleghi. Tuttavia è evidente che Louis è fatto su misura per lui e auspicheremmo di vederlo, in futuro, in scena col suo Lagarce (in tutti i sensi).

 
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