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In ricordo di Sisto Dalla Palma

Il 2 gennaio scorso è scomparso il prof. Sisto Dalla Palma, eminente personalità degli studi teatrali in Italia, professore di Storia del Teatro e dello Spettacolo all'Università Cattolica di Milano e storico fondatore e animatore del CRT in quella stessa città per oltre trent'anni. Ci associamo al cordoglio e al rimpianto di quanti lo hanno conosciuto, apprezzato e amato, pubblicando due ricordi di allievi, oggi a loro volta importanti esponenti della nostra disciplina: Annamaria Cascetta e Claudio Bernardi

Un ricordo
di Annamaria Cascetta

Sisto Dalla Palma se ne è andato. Una breve malattia che sembrava banale ha fiaccato sorprendentemente una tempra di straordinario vigore che ha profuso senza risparmio per decenni intelligenza, energia, idee, genialità, passione nel mondo della ricerca e della formazione universitaria e nel mondo delle istituzioni della cultura teatrale.
Mario Apollonio fu il suo maestro. Fu lui ad aprirgli gli orizzonti del teatro, a far slittare la sua  vocazione alla scrittura e alla fruizione solitaria della letteratura verso una più profonda  vocazione alla parola partecipata della drammaturgia, che si gioca nella pienezza della presenza del corpo e del coro e nella concretezza del tempo e dello spazio dell’evento.
Fu Apollonio, ormai in procinto di ritirarsi dalla mischia, dopo gli incomponibili dissensi con quel Piccolo Teatro alla cui fondazione aveva partecipato redigendo la famosa lettera programmatica, a alimentare in Sisto il desiderio di essere studioso e operatore insieme, a combattere una battaglia capace di giocarsi nell’intelletto e nella prassi.
Quale drammaturgia? Non la routine o il mestiere del teatro, non la merce o lo svago digestivo, marginale nella città, non il rito mondano o sofisticato, non l’epidermica stimolazione della sensualità, ma la convocazione della comunità intorno allo spessore di senso del segno che si invera nel corpo e nel coro, che identifica il gruppo nelle sue fondazioni, nel suo progetto, nella sua utopia.

E le istanze della coralità furono la grande passione di Sisto, ben prima che la sociologia e l’antropologia della cultura tematizzassero le ragioni del pubblico: era l’idea dell’animarsi della vita collettiva, dell’artista che parla a un gruppo, ma anche risponde a un  gruppo in un rapporto stringente che il teatro pone in essere più di ogni altra forma artistica, un movimento circolare, un  dialogo “tra una vasta platea, e dei protagonisti, tra un coro e delle singolarità più autenticamente creatrici, che non si costituiscono mai come figure isolate, ma che sono piuttosto entità concretamente calate nel flusso della vicenda umana”.

Essere coro significa “non solo essere all’interno del gruppo come individualità creatrici solitarie, ma come coscienze capaci di un moto di condivisione collettiva, coinvolti in un processo di continua identificazione che può trascendere le singole determinatezze individuali e farsi rappresentazione universale”.

Fu questo il perno intorno a cui ruotarono le sue lezioni che affascinarono generazioni di studenti all’Università Cattolica di Milano, la sua Università, e all’Università di Pavia, dove ricoprì la cattedra di Storia del Teatro, intorno ai tragici greci, a Dante, a Manzoni, a Pirandello, a Beckett, agli artisti del teatro di ricerca e di sperimentazione.  
Fu questo il punto di avvio della grande avventura del CRT: il Centro di Ricerca per il Teatro che Sisto Dalla Palma fondò a Milano nel 1974 e che fece scoprire a una scena ancora avvitata sul teatro borghese o sul teatro nazional-popolare, il grande teatro di ricerca internazionale: in serate indimenticabili al CRT incontrammo Jerzy Grotowski e Tadeusz Kantor, Bob Wilson e Julian Beck, Richard Foreman, Meredith Monk il Bread and Puppet, l’Odin Teatret. Sisto non ospitava artisti, ma li ispirava, stabiliva con loro relazioni creative intense.
Erano i maestri, ma anche i giovani talenti di cui egli fu attento e perspicace scopritore e valorizzatore: Sandro Lombardi e Federico Tiezzi, Gabriele Vacis, Daniele e Cesare Lievi, Romeo Castellucci, Silvio Castiglioni e tanti tanti altri fino alle ultime generazioni: Mimmo Sorrentino, Antonio Tarantino e Emma Dante di cui ha prodotto gli spettacoli più belli e della quale diceva con ammirazione: “E’un’artista, una donna ancora capace di indignarsi”.
Indignazione e amarezza, grande amarezza accompagnò questi ultimi suoi anni in cui pure non rinunciò mai a combattere con il coraggio, lo sprezzo dell’isolamento che sempre ebbe: un leone. Lui che visse e animò gli anni belli e vivaci della cultura guardava con inquietudine al rischio di ripiegamento autoreferenziale dei giovani artisti del teatro e alla epidermica creatività delle forme della moda, soffriva la deriva della cultura che mortifica questi  nostri anni.


Non era molto ampia, secondo i  canoni accademici, la sua produzione scientifica, ma i suoi  saggi sul gioco e il teatro nell’orizzonte simbolico, sul rito e sulla festa, sul teatro del sacro, sulla storia delle istituzioni teatrali, sul coro hanno fatto scuola e i suoi attesi interventi a ogni inizio stagione e i suoi pezzi sui programmi di sala erano sempre incisivi e illuminanti.
Molti per fortuna sono raccolti. E le sue drammaturgie sono state dei saggi scritti sulla di scena: Sì come luce…, La notte dei re, Mattutino…
Fino all’ultimo non abbandonò la trincea. Perché Sisto Dalla Palma era anche uomo di potere. La vocazione alla drammaturgia si intrecciò fin dall’inizio con la sua passione politica e civile e con la sua autentica fede cristiana, radicata nella tradizione della sua terra veneta. Duro, battagliero, polemico, persuasivo e persino trascinante, non volle mai essere profeta disarmato, come un po’ era stato il suo e nostro grande maestro Mario Apollonio. Fu in Cattolica negli anni giovanili tra i fondatori della Base, l’ala sinistra della Democrazia Cristiana di Giovanni Marcora, in quel vivaio di ingegni, compagni di collegio che riuniva Ciriaco e Enrico De Mita, Nino Andreatta, Misasi, Gerardo Bianco. Ricoprì incarichi di prestigio: presidente del Piccolo Teatro, della Fonit Cetra,dell’Accademia di Belle Arti, segretario generale della Biennale di Venezia  originale, spesso furiosamente divergente, sempre fertile di idee geniali, di rapide lucide intuizioni risolutive.
Chi gli rimproverava il brutto carattere sapeva che questo era il prezzo di chi aveva carattere. Gli anni lo avevano addolcito. La perdita un anno fa della amata moglie Maria, conosciuta negli anni universitari e con cui aveva celebrato da poco i cinquant’anni di matrimonio, in una bella cerimonia e in una bella festa, aveva reso più intensa e più aperta la sua ricca umanità.   
Quanti di noi hanno goduto le lunghe giornate di convegno, le serate di cultura e di convivialità organizzate da Sisto Dalla Palma al CRT! Ricche di umorismo, di arguzia, di passione, di intuizione, di memorie, di generosità come la memorabile sessione su Grotowski di un paio di anni fa: in duetto con l’ultraottantenne  Ludwig Flaszen. Inchiodarono per ore un folto pubblico, con tanti giovani.
La sofferenza di queste settimane ha assottigliato il suo corpo imponente e scavato il suo volto, la rigidità della morte non ha tolto quella severità e quella impressione di forza magnetica che incute rispetto.
Un passaggio d’epoca. Speriamo che il suo CRT continui all’altezza del suo passato e dei tempi nuovi.
Grazie Sisto. Ti vogliamo bene.
Annamaria Cascetta

A Sisto
di Claudio Bernardi

Sisto, non potevi scegliere giorno migliore per andartene.
Il 2/01/2011. Sei morto all’alba del giorno dopo Capodanno.
Al culmine dei famosi Dodici Giorni, il periodo che va da Natale all’Epifania, il periodo di follia, di mondo alla rovescia, di viaggi e di ricerca delle stelle, di sapienza e di magia, di tradizioni popolari e messaggio rivoluzionario cristiano, di travestimenti e maschere, di inizio e fine, di rigenerazione del tempo, degli uomini, della società, del cosmo.
Nel Medioevo il Primo dell’Anno era la Festa dei Folli. Era la festa degli studenti adolescenti,  giovani chierici che si fingevano pazzi e officiavano all’interno delle cattedrali liturgie carnevalesche: il loro incenso puzzava perché bruciavano suole vecchie, indossavano i paramenti liturgici al contrario, non cantavano il gregoriano: ragliavano. Si mascheravano con maschere orrende e bestiali. Danzavano e correvano per le navate lanciando spazzatura ai fedeli. Battezzavano i malcapitati con gavettoni di acqua sporca non ben identificata. Come era possibile che le autorità permettessero questi osceni baccanali nei tempi e negli spazi più sacri della cristianità?

La risposta è la tua vita. La tua parola. La tua opera. Una febbrile ricerca di rigenerazione della società e degli uomini attraverso non il teatro, ma, la festa, il sovvertimento, lo scarto, la divergenza, la communitas, la maschera - ovvero l’altro teatro -, il rito, la performance, il corpo, la follia.

Tutto questo si fece carne e si manifestò a Milano la vigilia dell’Epifania di tanti anni fa, con una delle tue più belle drammaturgie festive: la Notte dei Re. Volevi rilanciare l’antico corteo dei Magi, creato dai Visconti nel 1336, e ormai ridotto a folcloristica parata circense. Milano conservava le reliquie dei Magi poi sottratte dall’imperatore Federico I Barbarossa e spostate a Colonia. Erano custodite nella basilica di Sant’Eustorgio e dal suo sagrato partiva il tuo viaggio verso la luce della Natività.
Quando iniziò la tua sacra rappresentazione cominciò a nevicare. Entrammo nel buio e silenzioso chiostro, quello che ora ospita il Museo diocesano di arte sacra. Il ricordo più vivo che mi è rimasto delle diverse scene allestite nelle sale e all’aperto è il rosso violento della reggia di Erode. Ricordo un satrapo circondato da ballerine, cortigiani, servi e sgherri che ricevono sghignazzando gli illustri dotti, astronomi e sapienti giunti dal lontano Oriente alla ricerca di... Di un bambino.
La festa orgiastica si muta in tumulto, in rabbia, in furore, quando Erode viene sapere che quel bambino è il re dei re. E l’orgia del potere, il rosso della porpora e le fontane di vino si trasformavano di colpo in fiumi di sangue, ombre rosse a figurare la strage degli innocenti, degli oppressi, degli ultimi. Smascheravi così la rimozione buonista del nostro Natale consumistico. Svelavi il nodo problematico del nostro esistere, il legame tra la violenza e il sacro, la cristallizzazione del potere, di qualsiasi genere sia – politico, economico, teatrale, culturale, accademico -, la sua pulsione di morte, lo sterminio della vita per pura invidia.
Fuori dalla città, fuori dal palazzo, fuori dai giochi terrificanti delle stanze del potere, immaginavi la liberazione, la luce, la festa. Uscimmo in quello che ci apparve, dopo l’esperienza claustrofobica di Erode, l’immenso parco delle Basiliche. Il prato era già coperto di immacolata neve. Il cielo venne di colpo attraversato dai lampi e dal fulgore dei fuochi artificiali. I pensieri degli astanti danzavano con i fiocchi volteggianti di neve, mentre un concerto di campane elettroniche annunciava la nascita di una nuova umanità.

L’hai fatto, l’hai detto mille volte e l’hai scritto. Ti cito. La festa, la scena rituale è l’unica “capace di attivare la più profonda delle dimensioni gruppali in cui vivere il desiderio in modo unitario, continuamente radicandolo nel sacro da una parte e nella natura dall’altra”. La scena rituale è “tanto vicina alle fonti dell’essere da diventarne il luogo della rivelazione”- La scena rituale è “anche la scena capace di mettere in crisi profondamente l’ordine costituito e di riportarlo ritualmente a un confronto drammatico colle origini della creatività. La scena popolare è stata per questo sentita come pericolosa, perché attraverso di essa si è espresso ripetutamente anche il momento della trasgressione e della rivolta”. “Nelle feste di capodanno, nei cicli che ritualizzavano la follia, tutto rinasceva in nome del sacro”. “L’infrazione delle regole, il rovesciamento dell’ordine, il riemergere della follia” consentivano - e consentono - “di vivere una esperienza di liberazione e di ricominciamento assoluto in una dimensione fortemente partecipata”.

Grazie, Sisto, perché hai portato in Italia i Tre Re Magi del teatro, Barba, Grotowski, Kantor. Grazie perché hai portato una lunga carovana di artisti, studiosi, critici, studenti, cittadini, spettatori, alla ricerca e alla scoperta di vie nuove, di terre sconosciute, di orizzonti infuocati. Grazie per tutto quello che ci hai donato, l’oro della tua bocca, la mirra del tuo carattere, l’incenso della tua creatività.

La stella che ci guidava ora è scomparsa.
Ma, se usciamo dal gelido e mortale teatro dei poteri e dei rapporti cristallizzati,  riapparirà più fulgida di prima.
Una stella cometa non sta bene quaggiù.
Sta bene lassù.
Claudio Bernardi



 
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