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un classico contemporaneo

4.48 Psychosis per un corpo luminoso
di Chiara Pirri

4.48 Psychosis è il testo-testamento della drammaturga inglese Sarah Kane, morta suicida nel 1999 al’età di vent’otto anni. Il titolo allude all’ora notturna che, secondo le statistiche, è il momento di maggiore attrazione verso il suicidio. Nello spettacolo, in scena all’Argot di Roma, Elena Arvigo recita il testo integralmente: un profluvio di parole toccano lo spettatore. L’attrice si fa interprete delle voci che definiscono una sola identità corpo-mente, la sua come quella dell’autrice Sarah Kane, con la stessa autenticità. L’azione sia apre su una scena senza spazio definito né tempo incorniciaibile, priva una cornice narrativo. Sul pavimento giacciono frammenti di specchi rotti, che rifrangono didascalicamente l’identità frantumata, e sempre tesa alla ricerca di un senso di integrità. Su uno vello di terra scura, sparsa dappertutto, cammina Elena Arvigo vestita di rosso.
L’allestimento dello spazio scenico è uno luogo saturo: frammenti di vetro, terra, grandi carte da pocker, appunti pieni di parole attaccati alle pareti, un lampadario dal quale emana una luce calda. Tutto suggerisce un luogo della mente piuttosto che un stanza: è il tempo sospeso della riflessione piuttosto che il lento scorrere dei minuti del condannato a morte. La sensualità di Elena Arvigo, il suo incedere carnale, il suo stare nel corpo, nel gesto, restituiscono allo spettatore una partitura fisica di gesti e movenze che esprimono un’energia vitale, in potenza, che illumina il testo. L’attrice agisce la consapevolezza di avere a che fare con aprole che passano attraverso il corpo e lo sguardo, rivolgendo a noi i suoi occhi parlanti, mentre attraverso mani, piedi, ventre trattengono un’energia fino ad un unico momento di esplosione, di sfogo contro il muro, mentre urla e chiede a più riprese: “Come faccio a fermarmi?”.

Voce e parole chiedono cosa possa salvare chi sente che corpo e spirito non potranno mai più essere congiunti, chi sa che la follia è, come dice Alda Merini, la mancanza di qualcuno, ma soprattutto di colui che è consapevole di non aver più speranza.

Canto senza speranze al confine

Non riesco a mangiare
non riesco a fare l’amore
non riesco a scopare
non riesco a stare sola
non riesco a stare con gli altri

Lì dove la scissione tra corpo e anima è vissuta tanto profondamente da non aver speranza di ritornare all’unità, “di diventare ciò che sono già”, il corpo e la mente abitano una periferia, un luogo estremo e al confine tra lucidità e follia. Questo margine è il detonatore del senso, fatto di significato e significante, delle parole della drammaturga inglese che proclamano questa ferita tra la vita dei sensi, quella del sentimento e quella dello stadio mentale. Ma nel proclamare questa rottura non ne fa una condizione universale dell’essere umano, poitsoto uno stato soggettivo, che non vuole privare il prossimo della propria gioia d’essere. Elena Arvigo, attraverso un pensiero veicolato e arricchito dal linguaggio del corpo, appiglia la sua scelta performativa a questa speranza e con il suo stare sulla scena infonde nello spettatore il sentimento contrario, riscoprendo così il senso vitale che abita ogni stato di dolore.

Amore mio, amore mio, perché mi hai abbandonata? […]

Posso riempire uno spazioriempire una giornata
ma niente può riempire il vuoto del mio cuore

Il bisogno vitale per cui morirei

Qui la materia è luminosa, perché si intona in armonia e disaccordo con lo spirito, dove c’è amore, lì c’è vita. Questa lettura di 4.48 Psychosis non vuole, dunque, essere uno spettacolo sulla follia intesa come quello stato di alterazione psico-emotiva che trasporta il soggetto in un fuori dalla presa di realtà. D’altra parte, cosa altera la linea che demarca il normale, dal reale? Forse ciò che è oggetto di condivisione? Ogni momento dello spettacolo e ogni parola del testo di Sarah Kane sono condivisibili, poiché entrando nelle pieghe di quel dolore che diventa malattia, sono un inno febbricitante alla vita.
Così è 4.48 Psychosis recitato da Elena Arvigo per la regia di Valentina Calvani: uno spettacolo luminoso, un inno alla vita, nonostante la consapevolezza del suo essere effimera e sfuggevole.

*(estratti da 4.48 Psychosis in Sarah Kane,Tutto il teatro, traduzione di Barbara Nativi, Einaudi,  Torino, 2000.)


4.48 Psychosis

testo di Sarah Kane
con Elena Arvigo, regia di Valentina Calvani
andato in scena dal 19 al 31 Ottobre 2010 presso il teatro Argot, Roma.

 
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