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Addio a Torgeir Wethal, attore emblema di un'epoca
di Massimo Marino
È un po’ come una vecchia zia che tutti stimano ma che tutti dimenticano, non ricordandosi neppure se ora vive con qualcuno di famiglia o con una badante. Il teatro, intendo. Molti lo dicono importante per la “vita culturale”, per l’identità, ma pochi ci vanno (e meno ancora con interesse reale), tutti lo dimenticano. Si conosconosoli  pochi nomi, dei quali si è visto a malapena un’opera, perché qualcuno le ha definite “trendy”.
Un nome che sembrava entrato nella mitologia del novecento, oggi appare dimenticato. È l’Odin Teatret di Eugenio Barba. Domenica ha iniziato a circolare la voce che il suo attore più emblematico, Torgeir Wethal, era morto dopo una bruciante malattia. Ho cercato una notizia sui giornali che abitualmente leggo, ma al momento in cui scrivo non ho trovato neppure un trafiletto. Ed è una dimenticanza grave. Perché Wethal, oltre a essere stato un grande attore, è stato un emblema di un’epoca che sembra cerchiamo di dimenticare in fretta. Quegli anni sessanta-settanta-ottanta-novanta, dei quali parliamo spesso con nostalgia, con rabbia, con distacco, ma che ancora siamo riusciti molto poco a storicizzare.

Wethal, espressione dell’attore di teatro-laboratorio, che basava la sua arte sul training e sulla disciplina, sul lavoro collettivo, ha girato il mondo, interprete di una ricerca antropologica che cercava le radici dell’espressione umana attraverso le culture più diverse, immaginando non solo un altro tipo di arte, ma anche di conoscenza e società. Gli spettacoli dell'Odin possono non piacere. Si possono avanzare riserve di tutti io generi sul lavoro di questa compagnia. Ma non si può  non riconoscere che in loro sono depositati i sogni, le contraddizioni, le lotte, gli errori e le certezze di anni con i quali dobbiamo ancora fare radicalmente i conti.

 

Di Torgeir ricordiamo il sorriso gentile, la naturale eleganza di un gesto disponibile a rompersi, a “sporcarsi”, a contraddirsi, in una idea di teatro come visione degli opposti, come poesia dei contrasti per strappare qualcosa alle apparenze. Ricordiamo il suo Brecht in fuga da una frontiera all’altra nelle Ceneri di Brecht, in cerca di un’umanità migliore, sempre con quella macchina da scrivere il cui ticchettio gridava la voglia di testimonianza. Ci mancherà, questo sensibile interprete di un’epoca e di un teatro che scommetteva sul destino individuale attraverso il lavoro collettivo, sul destino collettivo attraverso l’impegno individuale.

Le immagini sono di un sensibile compagno di strada dell'Odin, anch'egli scomparso, Tony D'Urso

Pubblicato in http://controscene.corrieredibologna.corriere.it/

 
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