Jerzy Grotowski, Testi 1954-1998. Volume I. La possibilità del teatro (1954-1964), traduzione italiana di Carla Pollastrelli, Firenze-Lucca, La casa Usher, 2014, 262 pp.
[Marco De Marinis] Quella inaugurata dal volume arrivato da poco in libreria è un’impresa editoriale e culturale di eccezionale rilevanza, che spero ottenga la risonanza che merita (anche se un legittimo pessimismo indurrebbe purtroppo a dubitarne). Grazie allo sforzo congiunto di Fondazione Pontedera Teatro e del Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards, nelle persone di Mario Biagini e Thomas Richards, e all’impegno straordinario della traduttrice-curatrice Carla Pollastrelli, verrà messa in rapida sequenza a disposizione del lettore italiano un’amplissima scelta, in quattro volumi, dei testi di uno degli uomini di teatro più importanti del XX secolo, uno dei protagonisti delle rivoluzioni della scena contemporanea. Tutto quello che dirò qui di seguito, comprese alcune considerazioni critiche, non può in nessun modo offuscare il dato di fatto incontestabile dell’importanza di questa iniziativa o anche soltanto attenuare la gratitudine che è doveroso nutrire verso tutti coloro che l’hanno resa possibile, con l’auspicio che la cultura italiana, non soltanto quella teatrale, sappia dedicarle un’attenzione adeguata. Del resto – ripeto – le osservazioni a volte problematiche che mi capiterà di fare sono tutte animate da uno spirito autenticamente costruttivo: trattandosi di un work in progress, al di là di alcuni vincoli dei quali dirò subito, c’è spazio per miglioramenti e aggiustamenti di tiro. Questo almeno mi auguro, proprio per l’importanza dell’impresa in questione. I vincoli a cui mi sono appena riferito riguardano il fatto che questa edizione italiana dei testi di Grotowski dipende dall’edizione polacca, apparsa in un solo, imponente volume, nella primavera del 2013, come risultato del lavoro di ricerca e verifica, durato tre anni, dell’équipe degli editors: Agata Adamiecka-Sitek, Mario Biagini, Dariusz Kosiński, Carla Pollastrelli, Thomas Richards, Igor Stokfiszewski.
La prima sorpresa è suscitata proprio dai nomi che compongono questa équipe: infatti, oltre agli eredi, artistici e legali, del maestro polacco e alla traduttrice italiana, l’équipe comprende studiosi e pubblicisti polacchi a me sconosciuti (con la parziale eccezione di Kosiński) e tutti ancora piuttosto giovani mentre esclude completamente tutti i maggiori specialisti di quel Paese: da Zbigniew Osiński a Leszek Kolankiewicz, da Janusz Degler a Ludwik Flaszen. Non lo osservo per far polemiche, lo constato semplicemente come un dato di fatto indubbiamente significativo (che non può non sottendere una scelta ben precisa): a differenza degli esclusi, nessuno fra gli editors polacchi ha conosciuto Grotowski negli anni Sessanta e Settanta e forse neppure in seguito – per ovvie ragioni anagrafiche – visto che il grande regista abbandona il suo Paese definitivamente all’indomani del golpe del generale Jaruzelski, agli inizi del 1982. Nel resto di questa recensione mi soffermerò ovviamente sul primo volume, l’unico pubblicato finora. Ma prima mi sembra necessario dire qualcosa sul piano complessivo dell’opera, inferibile dai sommari dei tre volumi successivi allegati a quello già in libreria, e su alcune delle scelte che esso implica. Va innanzitutto ribadito che non si tratta delle “opere complete” del maestro polacco. La dicitura scelta ci mette subito sull’avviso: viene offerta un’ampia selezione dei testi di Grotowski, che comunque comprende tutti quelli più noti e diffusi da anni in tutto il mondo in varie lingue (compreso l’italiano: ma in questo caso sono stati ritradotti ex novo), più un cospicuo numero di inediti (almeno nella nostra lingua). Naturalmente, quanto a questi ultimi, il maggior numero appartiene proprio al volume appena uscito, quello, tra i quattro, che di conseguenza riserverà le sorprese maggiori ai lettori, studiosi e specialisti compresi. Fra i testi mancanti spiccano ovviamente il leggendario corso tenuto alla Università di Roma “La Sapienza” nella primavera del 1982 (disponibile da allora solo in una trascrizione molto parziale, curata da Luisa Tinti e non rivista dall’autore)* e le lezioni al Collège de France di Parigi per la cattedra di Antropologia Teatrale appositamente istituita, fra 1997 e 1998, bruscamente interrotte per l’aggravarsi delle condizioni di salute del maestro (la cui scomparsa sarebbe avvenuta soltanto pochi mesi dopo, a Pontedera, il 14 gennaio 1999) e disponibili sotto forma di audiocassette. Trovo del tutto convincenti le argomentazioni addotte da Carla Pollastrelli per spiegare l’esclusione:
Si tratta di un materiale assai ampio che richiede un lavoro imponente di elaborazione redazionale e quindi, per motivi evidenti, non rientra nella nostra raccolta di testi pubblicati, ma sarà oggetto di un progetto di pubblicazione in futuro. (p. 13)
Ma prendo la parte finale di questo brano come un serio impegno a non procrastinare all’infinito la messa a disposizione dei lettori di un materiale di enorme importanza, soprattutto nel caso del corso romano. Molto meno accettabile trovo invece – tanto vale dirlo subito – la “scomparsa” del libro Per un teatro povero, pubblicato per la prima volta in inglese, per iniziativa di Eugenio Barba e della danese Odin Teatrets Forlag, nel 1968, con la prefazione di Peter Brook, riedito tal quale in Inghilterra da Methuen l’anno successivo e tempestivamente messo a disposizione del lettore italiano fin dal 1970 dall’editore Bulzoni di Roma, per impulso di Ferruccio Marotti. Parlo di “scomparsa” perchè il libro è stato “spacchettato”, per così dire, e solo alcuni dei testi che lo componevano si sono salvati. Curiosamente sono caduti tutti i testi curati da Barba e da Flaszen, compresa la celeberrima intervista “Il Nuovo Testamento del teatro”, contenente alcune delle affermazioni più universalmente note del maestro polacco, le due raccolte di esercizi e considerazioni sugli esercizi intitolate “Allenamento dell’attore” (1959-1962 e 1966) e i materiali sugli spettacoli Akropolis, Dr. Faust e Il Principe Costante. Sia chiaro: qui la questione non è soltanto quella del perchè alcuni testi siano rimasti e altri no. La questione molto più radicale, metodologico-filologica direi, riguarda le ragioni che hanno portato a cancellare un libro in quanto tale, e che libro! Si tratta infatti dell’opera con cui Grotowski è stato identificato per cinquant’anni, quella che lo ha reso celebre in tutto il mondo molto di più degli stessi spettacoli, cui pochi tutto sommato hanno avuto la fortuna di poter assistere. In ogni caso, anche a prescindere dal fatto che si tratta di un libro celebre, uno dei libri di teatro (o forse si dovrebbe parlare di libro-teatro, di teatro-in-forma-di-libro, per rifarsi a una fortunata formulazione di Ferdinando Taviani) più importanti dell’intero Novecento, un libro è sempre un libro, cioè un’unità, un intero, un’opera insomma, per quanto eterogenei e non tutti strettamente autoriali possano essere i materiali che la compongono, un’opera che presuppone sempre tutto un lavoro di scelte e di montaggio e non può mai essere ridotta alla semplice somma dei testi che la compongono, tra i quali si sarebbe quindi liberi di scegliere a piacimento: questo sì, questo no. Dispiace dover insistere su una cosa tanto ovvia. Immaginate – come controprova – di sottoporre a un trattamento del genere Il teatro e il suo doppio, un’ altra opera capitale, appartenente al ristrettissimo novero dei grandi libri di teatro del XX secolo. Non è neppure pensabile! Sembrerebbe quasi un sacrilegio! Ma il caso di Per un teatro povero non è a mio parere fondamentalmente diverso. Mi si obietta** che uno “spacchettamento” simile l’aveva già attuato lo stesso Grotowski nella raccolta polacca Teksty z lat 1965-1969 [Testi scelti 1965-1969], apparsa nel 1990, dove fra l’altro Il Nuovo Testamento del teatro venne ripubblicato senza le domande di Barba e sotto un nuovo titolo, L’attore denudato, per altro previsto nel secondo volume dell’edizione italiana in corso. Ma se è per questo, anche in The Grotowski Sourcebook (London-New York, Routledge, 1997), a cura di Lisa Wolford e Richard Schechner, il libro di riferimento della bibliografia grotowskiana almeno fino ad oggi, l’autore aveva scelto di ripubblicare (e ritradurre) alcuni dei capitoli del suo celebre libro. Ma ciò non supera la mia critica di fondo. Infatti, continuamente volumi e antologie raccolgono brani e capitoli da libri ma questo fatto ovviamente non rende inutili o superati i libri da cui questi brani o capitoli sono tratti! Un’obiezione forte potrebbe essere costituita dalla notizia di una vera e propria abiura del libro in questione da parte del suo autore. Ma non risulta che esista e comunque anche in questo caso continuerei ad avere dei dubbi. Ritengo che neppure l’autore sia padrone assoluto di un suo libro, ovviamente non in senso legale ma culturale. Per un teatro povero appartiene alla cultura, non soltanto teatrale, del Novecento: è un documento e un monumento (Le Goff), oltre che un’opera. Il rimuoverne l’esistenza rischia di produrre – senza volerlo ovviamente – una vera e propria falsificazione. Certo, in realtà il libro non verrà cancellato perché ovviamente continuerà a circolare secondo le edizioni correnti, purtroppo quasi sempre provviste di traduzioni tutt’altro che impeccabili, come nel caso di quella italiana. Ma questo non attenua il rammarico per un’occasione sprecata: quella di metterlo a disposizione interamente e in quanto tale secondo una versione filologicamente più corretta, come accadrà solo per i capitoli prescelti nel II volume di Testi 1954-1998.
Ma veniamo finalmente al primo volume, La possibilità del teatro (1954-1964), che ci presenta un Grotowski giovane largamente inedito, il quale studia teatro alla Scuola di Stato di Cracovia ma nello stesso tempo coltiva molti altri interessi, a cominciare da un forte impegno politico nei mesi dell’effimero disgelo polacco, tra il ‘56 e il ‘57. Non c’è dubbio, anzi, che proprio il nutrito gruppo di scritti legati alla sua militanza da leader nelle organizzazioni giovanili rivoluzionarie rappresenti la maggiore novità e anche la più grossa sorpresa di questo volume, che di sorprese sicuramente non è avaro. A voler essere più precisi, le impressioni a caldo di fronte a questi scritti giovanili di Grotowski, che non è ancora all’epoca uno dei profeti del nuovo teatro contemporaneo, oscillano di continuo tra la sorpresa e la conferma, più spesso sono un misto tra le due. In ogni caso, i testi raccolti in questo primo volume offrono un contributo determinante ad una migliore conoscenza del Grotowski degli anni Cinquanta, fino alla nascita del Teatro delle 13 File ad Opole nel ‘59, e degli oscuri e incerti inizi di quella che si rivelerà in seguito come una delle avventure chiave della scena contemporanea. Voglio però aggiungere subito, a scanso di equivoci, e perciò ho appena parlato di un misto di sorprese e conferme, che il lettore italiano era già in grado di farsi un’idea abbastanza precisa del Grotowski ventenne degli anni Cinquanta (e addirittura dell’adolescente del decennio precedente) grazie a due libri fondamentali, per giunta due opere-summa, due opere della vita dei rispettivi autori, apparse negli ultimi anni: - Zbigniev Osiński, Jerzy Grotowski e il suo laboratorio. Dagli spettacoli a L’arte come veicolo (Roma, Bulzoni, 2011, a cura di Marina Fabbri), che fonde ben tre libri polacchi scritti nell’arco di un trentennio; - Ludwik Flaszen, Grotowski & Company. Sorgenti e variazioni (2011), a cura di Franco Perrelli, Bari, Edizioni di Pagina, 2014, che addirittura raccoglie scritti dal ‘57 al 2010, con molti inediti di capitale importanza, come il lungo testo intitolato Grotowski ludens.
Con Osiński e Flaszen, non a caso subito citati in apertura, siamo evidentemente di fronte a due nomi che non hanno alcun bisogno di presentazioni. Solo per i più giovani (per chi altri scriviamo del resto?) ricordo che si tratta rispettivamente del maggior specialista mondiale di Grotowski, da lui frequentato assiduamente a partire dal ‘62, e nientemeno che del suo alter ego, o “avvocato del diavolo” (Perrelli) per tanti anni, co-fondatore del Teatro delle 13 File ad Opole nel ‘59, il quale per altro conosceva Grotowski già in precedenza, vivendo anche lui a Cracovia e condividendo lo stesso milieu artistico-culturale (eccezion fatta per la militanza politica). Questi due libri-summa (di cui forse da noi non si è parlato abbastanza) mi sono stati utilissimi, anzi indispensabili, nella lettura degli scritti giovanili di Grotowski, perchè in essi ho trovato quelle preziose informazioni di contesto, riguardanti la sua biografia e la vita politica e culturale polacca negli anni Quaranta e Cinquanta, che mancano per ovvi motivi in questo primo tomo delle opere del maestro polacco (tornerò tuttavia su questo punto alla fine).
[...]
* Jerzy Grotowski, Tecniche originarie dell'attore, a cura di Luisa Tinti, Università di Roma 1 “La Sapienza”, Istituto del Teatro e dello Spettacolo, Roma, 1982.
** Qui e altrove mi capiterà di fare riferimento alla discussione svoltasi in proposito durante le tre giornate dell’incontro pontederese organizzato per la presentazione ufficiale del primo volume degli scritti di Grotowski (Teatro Era, 12-14 dicembre 2014).
Scarica la versione integrale in pdf |