Ai sensi della Legge 7 marzo 2001 n°62, si dichiara che Culture Teatrali non rientra nella categoria di "informazione periodica" in quanto viene aggiornato ad intervalli non regolari.ng

 

TEATRO DEI LIBRI

 

Siro Ferrone, La Commedia dell'Arte. Attrici e attori italiani in Europa (XVI-XVIII secolo), Torino, Einaudi, 2014.


 


[Elena Tamburini] Dedicare un volume, oggi, alla Commedia dell'Arte è impresa, davvero, da far tremare le vene e i polsi. Innanzitutto perché si tratta di delineare i confini di un fenomeno assolutamente indefinibile e non incasellabile. Un fenomeno “complesso” – diceva già Ludovico Zorzi – “controverso e misterioso”. Sono molte in realtà anche le parole con cui lo si è cercato di  qualificare: commedia improvvisa, a soggetto, all'italiana, commedia di zanni, infine “Commedia dell'Arte”, una formula, com'è noto, assai tarda, che compare solo a metà Settecento, ma che si impone sulle altre, anche se, come scrive Siro Ferrone, finisce per diventare quasi un logo pubblicitario per teatranti improvvisati e consumatori di poco gusto. E invece fu fenomeno di capitale importanza per la storia del teatro e per la storia della cultura, per il quale si giustifica una bibliografia sterminata e internazionale, soprattutto (ma non solo) novecentesca, la cui padronanza presuppone non comuni doti di approfondimento e di sintesi.
Non c'è dubbio che Siro Ferrone, intitolando il suo testo a La Commedia dell'Arte, intenda inserirsi in una tradizione consolidata, evidenziata anche, del resto, dalla copiosa mole degli studi segnalati. Ma il sottotitolo Attrici e attori italiani in Europa (XVI-XVIII secolo) trasmette il senso di una svolta, ponendo in primo piano non tanto i generi o le caratteristiche accreditati dalla tradizione storiografica,  quanto gli uomini in azione e in azione nel teatro. Perché la Commedia dell'Arte fu innanzitutto prodotto di donne e di uomini: non comici e comiche, ma attrici e attori  di diverso calibro, origine e cultura, impegnati a imporsi in Italia, così come nei più lontani paesi, a dispetto di condizioni spesso difficili, ostili, perfino impossibili: un fenomeno che ha avuto il potere di prolungare influenze e suggestioni fino ad oggi, ispirando uomini di teatro, registi, letterati e non solo.

L'indagine non ruota quindi intorno alla maschera e all'improvvisazione, già perni del discorso di molti eccellenti studiosi, da Cesare Molinari in poi. Nemmeno la dimensione professionistica, già a suo tempo vista da Roberto Tessari come fondamento e origine della cosiddetta odierna civiltà dello spettacolo, è considerata condizione determinante, in quanto, se è vero che “Commedia dell'Arte” potrebbe significare, più che commedia della professione, addirittura commedia della corporazione – “come la fanno quelli della corporazione” –, è anche vero che  personaggi, soggetti, orditure sceniche e tecniche transitarono a più riprese tra dilettanti e professionisti.
Caratteri costitutivi del fenomeno sono invece, per Ferrone, la compagnia e il viaggio. La prima vista come difesa statutaria interna degli attori contro il rischio di deviazioni e fuoruscite; o anche come presupposto necessario del secondo, irto di pericoli e di incognite. Compagnie ancora sospese tra struttura artigianale e vocazione imprenditoriale, ancora dipendenti da un principe, ma già tese verso un'impossibile autonomia, come nei progetti avveniristici di Pier Maria Cecchini, che si propone di realizzare a Mantova una sorta di teatro stabile pubblico sotto l'egida del Duca, o anche interessate, più realisticamente, magari con la protezione di un nobile avventuroso come don Giovanni de' Medici, a un'espansione a Venezia, unica città a non esigere l'odioso balzello pressoché ovunque imposto ai comici. Il quale balzello era spesso diretto a finanziare gli ospedali, come per espiare il peccato d'origine del teatro, visto come un male ineliminabile della società: non a caso Luigi Riccoboni, celebre teatrante quasi suo malgrado in quanto intimamente moralista, giungeva ad auspicarne addirittura la distruzione: “...le grand bien que produirait la suppression du théâtre”.
Lo stesso Riccoboni riconosceva peraltro l'eccellenza in particolare dei nostri comici, capaci di prodursi in tutte le parti e dunque con estese competenze attoriali: qualità dovute innanzitutto all'ampiezza del loro repertorio che, lungi dall'essere limitato all'unico campo della commedia come ancora troppo spesso si dice, spaziava dal comico al tragico alla pastorale al sacro e ad altro ancora, accogliendo anche la musica, il canto e la danza. A lungo si pensò infatti che le compagnie dei nostri comici avrebbero avuto la meglio su quelle dei musici, i cosiddetti Febiarmonici (che cominciarono a diffondersi a partire da Venezia proprio seguendo il loro esempio). Troppo successo avevano incontrato le loro tournée, troppa diffusione avevano conosciuto maschere e zanni; che, rispetto ai musici, osservava già Giovan Battista Balbi, immaginifico creatore dei più spettacolari intermezzi dell'epoca, avevano in più l'indiscusso talento del ridicolo. Se questo è incontestabile, Ferrone non mette l'accento sull'italianità del fenomeno: non di radice italiana si tratta, ma di un “negoziato” tra le differenti culture italiane e anche tra queste e quelle europee, nel momento in cui le compagnie entravano in contatto con esse e davano e ricevevano suggestioni ed influenze: perché il viaggio aveva il potere di trasformare attori di culture diverse in un insieme coeso, adatto ad assecondare i diversi mercati, ma anche a sorprenderli e a scandalizzarli. L'attrazione esercitata sul pubblico nasceva infatti principalmente dal contrasto: precursori anche qui, i nostri comici, di un concetto che avrà una lunghissima storia. Non a caso Goldoni proprio in loro, nei loro caratteri e nelle loro espressioni come uomini e come attori – in quest'ordine –, riconoscerà la sua primaria fonte di ispirazione.
Dal viaggio nascevano anche i personaggi dell'Arte. Fin dagli inizi il duetto Zanni-Magnifico è contrasto tra i bergamaschi inurbati e i ricchi veneziani. Arlecchino nasce nel corso del viaggio di Tristano Martinelli verso la Francia. Graziano si dice “da Francolino”, la località portuale da cui partivano le barche da Ferrara verso Venezia. E a Bologna tutte le compagnie solevano riunirsi ogni anno, durante la forzata interruzione degli spettacoli in Quaresima, per definire i nuovi contratti e riscoprirsi di anno in anno simili e diverse.     
Ma oltre agli innegabili talenti personali e in particolare alla eccezionale sapienza e rapidità della famosa “concertazione” già all'epoca esaltata dal Perrucci – era questa in fondo la loro vera improvvisazione, era il genio del montaggio, la capacità cioè di creare un testo con il solo ausilio dei personaggi – si possono indicare motivi più concreti di tanto consenso?
Ferrone dà alcune risposte: l'efficienza dell'organizzazione, decisamente avanzata rispetto agli attori stranieri; il carattere societario, il superamento di vecchie forme statutarie come le corporazioni; l'introduzione delle attrici. Argomento, quest'ultimo di straordinaria importanza, dal momento che, com'è noto, le parti femminili erano dovunque sostenute da uomini, mentre le donne, introdotte nelle compagnie italiane intorno al 1560 e forse, almeno inizialmente, da identificarsi con le cosiddette meretrices honestae di burkhartdiana memoria – è stata, questa, la suggestiva, famosa ipotesi di Ferdinando Taviani -  vi immettevano una forte carica di erotismo che trovava una parziale conciliazione nel neoplatonismo cristiano: per il quale la forza d'amore, anche quella erotica, era considerata forza motrice dell'universo. Particolarmente nell'ambiente mediceo e francese infatti si considerò inseparabile la sfera materiale da quella spirituale, “l'eroismo dello spirito dall'erotismo del corpo”. Un personaggio in questo senso davvero emblematico è – e vorrei ricordare in proposito anche l'esemplare indagine di Silvia Carandini – Maria Maddalena, protagonista di molte drammaturgie, da quelle di Giovan Battista Andreini a quelle di numerosi altri comici: donna pubblica ma virtuosa, peccatrice e penitente, sensuale e devota, fedele immagine delle attrici del tempo, perennemente sospese nello stesso equilibrio precario. “Non son nate alle conocchie, ai naspi; ma sì bene ai libri, alle penne, alle vigilie” scriveva Giovan Battista Andreini, pensando certamente, ma non solo, alla celebre madre Isabella. E' principalmente per influsso delle attrici che le drammaturgie si fanno meno sboccate e più tenere; più pericolose, quanto più apparentemente inoffensive: un nuovo repertorio più eccitante e più commovente, destinato a un pubblico che si viene formando in quegli stessi anni proprio in concomitanza con il fenomeno, un pubblico in cui la presenza delle donne diviene progressivamente fattore costitutivo e condizionante. C'erano d'altro canto anche le attrici di puro piacere, senza possibilità di redenzione, che interpretavano specialmente servette come Franceschina. I due tipi erano a volte riuniti nelle stesse drammaturgie, entrambe interpreti d'amore: una primadonna che si esprimeva nel lamento e una seconda che dispiegava apertamente e senza scrupoli le proprie attrattive seduttrici.
Un altro motivo dello straordinario successo del fenomeno è probabilmente costituito dall'abbondanza che ebbe in Italia la produzione iconografica riguardante gli attori (per la quale sarebbero anche da segnalare anche i fondamentali apporti di Maria Ines Aliverti, Renzo Guardenti e Margaret A. Katritzky), dovuta, questa, anche alla particolarissima vicinanza tra attori e artisti, per la quale si è parlato di semiprofessionismo, una dimensione che fu ampiamente diffusa in Italia, come efficacemente dimostrato da numerosi studi, tra i quali è d'obbligo citare Luciano Mariti e Sara Mamone. Furono infatti gli artisti che, diffondendo capillarmente le sembianze fisiche degli attori e specialmente delle attrici, contribuirono in modo determinante alla loro fama: esemplare in questo senso è lo studio e la riscoperta  di Ferrone di alcune opere di Domenico Fetti – quadri e incisioni – compiute con la collaborazione – è davvero il caso di dirlo – di una modella d'eccezione, l'attrice Virginia Ramponi, detta Florinda a causa di una sua celebre interpretazione monteverdiana.
Nel segnalare questo testo credo infine che non sia possibile mancare di evidenziarne l'approccio storiografico.
Sono anni di straordinari rivolgimenti. Se il trattato di Cateau-Cambrésis (1559) garantendo un lungo periodo di pace, consentiva le lunghe migrazioni dei nostri comici, quelle migrazioni che, secondo Ferrone, sono costitutive del fenomeno, questi sono anche gli anni conclusivi del Concilio di Trento, con la pubblicazione dell'Indice dei libri proibiti e l'ostracismo dato agli attori. I quali riescono molte volte a sviluppare abili strategie difensive, ricavando dunque da queste ostilità dichiarate un rafforzamento della propria autoconsapevolezza professionale e artistica.  
Non si cade tuttavia qui nell'errore di tracciare la storia del fenomeno della sua totalità: troppo ampio è il suo raggio, troppo complessi gli intrecci e le influenze e le differenze. Ferrone propone una ricostruzione “per segmenti temporali ridotti”, che consente di delineare non un'unica storia, ma le tante storie di cui ci parlano le fonti: le storie delle compagnie e dei teatri, dei personaggi e degli uomini. Ma come gli addetti ai lavori sanno, non si tratta di fonti facilmente accessibili: sono fonti difficili a reperirsi, perché riguardano figure da sempre considerati minori nella storia della nostra cultura. Fonti il più delle volte indirette, disperse tra mille altre, spesso manoscritte e d'archivio, che è stato possibile interrogare, interpretare e contestualizzare solo dopo lunghe ricerche, accostate o riunite con deduzioni stringenti; perché se il teatro, fra le diverse espressioni, sembra la più sfuggente ed è certo la più effimera, è spesso possibile comprendere la sua genesi materiale attraverso i documenti.
Dagli archivi delle corti  risorgono i contratti, preziosi per ricostruire le vicende biografiche e artistiche; le  lettere, che restituiscono il punto di vista dell'attore e che spesso conservano il ritmo delle tirate o dei lazzi; le suppliche, che ci parlano delle loro difficoltà, delle loro liti, delle loro miserie; le relazioni degli ambasciatori, specie quando gli spettacoli sono parte delle feste cortigiane. Collezioni di parti scannate come quelle di Domenico Biancolelli, tradotte dal notaio Guellette. Zibaldoni, come quello di Stefanel Bottarga, contenitori di materiali parateatrali di varia natura. Scenari come quelli di Flaminio Scala, i famosi canovacci, con cui l'attore cerca di imporre un genere nuovo, perfino superiore, egli sostiene, a quello dei letterati. Testi a stampa in cui alcuni comici attori-autori tentano di sfruttare le esperienze di scena per costruire testi che possano emulare quelli dei letterati, irrigidendoli “dall'improvviso al consuntivo”. Note casuali negli Avvisi dei menanti o nei trattati di gesuiti come l'Ottonelli. E il materiale iconografico: soprattutto ritratti, ma anche attori in azione, il più delle volte da riconoscere e da studiare, che indicano spesso problemi ulteriori; gestualità spesso assolutamente convenzionali, che con il costume e gli oggetti costituiscono altrettante tracce da seguire. La maschera, come rilevato a suo tempo dall'Apollonio, è forse il segno più evidente di quel tratto subumano o sovrumano che caratterizza il fenomeno: nera per la fuliggine depositata, reca in sé il ricordo di diavoli e di viaggi agli Inferi, mentre i suoi tratti  stilizzano inquietanti tratti animaleschi.
Questa summa di indagini diverse, delineate in questo testo, accompagna le mille, misteriose sfaccettature del fenomeno e va a comporre un quadro volutamente non omogeneo né unitario.
Occorre ricordare infine che le lunghe ricerche a più mani dirette da Ferrone sono confluite anche nella parallela compilazione di un Archivio di dati informatizzati, concepito ovviamente in progress, che raccoglie le storie, tormentate e ricche di contrasti, ma sempre affascinanti, delle nostre prime attrici e dei nostri primi attori. Perché i comici dell'arte sono i primi attori, almeno nel senso moderno del termine: un'“invenzione”, anche questa, del nostro Rinascimento.
Il volume si raccomanda dunque, pur all'interno di una riconoscibile finalità informativa e didattica, anche per il punto di vista speciale assunto, un punto di vista che, come detto sopra, privilegia gli uomini sulle categorie, le storie personali sugli schemi più o meno astratti. E offre sussidi preziosi: un Dizionario biografico dei più importanti attori e attrici, un Glossario di termini tecnici attoriali, una Cronologia che lega le “storie” degli attori e degli spettacoli alla Storia e alla Cultura; e un ricco corredo iconografico.

 
Sito realizzato con Joomla - Realizzazione grafica: Enrico De Stavola
condividi