Ai sensi della Legge 7 marzo 2001 n°62, si dichiara che Culture Teatrali non rientra nella categoria di "informazione periodica" in quanto viene aggiornato ad intervalli non regolari.ng

 

TEATRO DEI LIBRI

Virginie Magnat

GROTOWSKI, WOMEN, AND CONTEMPORARY THEATRE

Meetings with Remarkable Women (New York-London, Routledge, 2014)

 


[Marco De Marinis] A dispetto della sua mole ormai imponente di migliaia e migliaia di titoli, gli studi grotowskiani sono ancora agli inizi, con la sola eccezione del lavoro di alcuni specialisti di lungo corso, fra i quali è obbligatorio citare almeno il loro decano, il polacco Zbigniew Osinski, che del grande connazionale si occupa da una vita, avendogli dedicato diverse monografie. Mi limiterò a ricordare almeno quella messa a disposizione qualche anno fa anche del lettore italiano, grazie alle cure di Marina Fabbri (Jerzy Grotowski e il suo laboratorio. Dagli spettacoli a L'arte come veicolo, traduzione e cura di Marina Fabbri, Prefazione di Eugenio Barba con una Postfazione di Franco Ruffini, Roma, Bulzoni, 2011).

Basti pensare che gli stessi scritti di Grotowski hanno circolato finora in traduzioni spesso approssimative (almeno per quanto riguarda l'Italia), per non parlare dell'ingente mole di testi inediti (a cominciare dal celebre corso romano dell'82), di cui la comunità scientifica attende ancora la divulgazione.  Almeno per quanto riguarda il primo problema, va salutata con grande favore e suscita grandi aspettative l'iniziativa della Fondazione Pontedera Teatro la quale, grazie all'appoggio dell'editore toscano La casa Usher, sta lavorando a una nuova edizione italiana in più volumi degli scritti del maestro polacco, la quale si basa su nuove traduzioni affidate alla responsabilità di un'altra grotowskiana benemerita come Carla Pollastrelli. Credo che si avranno non poche sorprese e scopriremo, fra l'altro, che alcune delle nozioni  e delle formule più celebri (una per tutte, l'”autopenetrazione”, di cui tanto si parla nell'edizione italiana di Per un teatro povero [Roma, Bulzoni, 1970]) costituiscono fraintendimenti spesso grossolani dell'originale!
In attesa, dunque, che gli studi grotowskiani decollino per davvero (grazie all'aiuto dei pochi che vi si stanno dedicando seriamente: limitandomi all'Italia, citerei Franco Ruffini, Antonio Attisani, Franco Perrelli e anche il sottoscritto), la situazione appare decisamente migliore per quel che riguarda i testimoni della straordinaria avventura del grande uomo di teatro nelle sue varie stagioni. Negli ultimi anni sono apparsi volumi importanti a firma di alcuni dei maggiori collaboratori di Grotowski: da La sacra canoa. Rena Mirecka dal Teatro Laboratorio di Jerzy Grotowski al Parateatro, a cura di Pier Piero Brunelli e Luisa Tinti, Roma, Bulzoni, 2010 (ed. polacca orig., 2005) a Heart of Practice. Within the Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards, London-New York, Routledge, 2008, di Thomas Richards (che per altro ha già al suo attivo  altri due volumi); da Zygmunt Molik's Voice and Body Work. The Legacy of Jerzy Grotowski, London-New York, 2010, di Giuliano Campo con Zygmunt Molik (scomparso nel 2010) a Grotowski & Company, Holstebro-Malta-Wroclaw, Icarus Publishing Enterprise, 2010, di Ludwik Flaszen (ora disponibile anche in italiano per i tipi delle Edizioni di Pagina e la cura di Franco Perrelli). E non va dimenticata, anche se meno recente, la testimonianza resa da Eugenio Barba con il suo bellissimo La terra di cenere e diamanti. Il mio apprendistato in Polonia, seguito da 26 lettere di Jerzy Grotowski a Eugenio Barba, Milano, Ubulibri, 2004 (1998). In questo elenco che non ha comunque alcuna pretesa di completezza, mi piace segnalare anche il volume di intento più divulgativo, ma pur sempre basato su importanti esperienze e conoscenze di prima mano, pubblicato da Jairo Cuesta e Jim Slowiak (Jerzy Grotowski, London-New York, Routledge, 2007).

 

Sicuramente l'Anno Grotowskiano, proclamato dall'Unesco per il 2009, in occasione del decimo anniversario della scomparsa del maestro, ha dato notevole impulso alla Grotowski Research. Come nel caso del libro recentissimo di Virginie Magnat che fornisce l'occasione per questa nota. Il volume della Magnat è il risultato di una ricerca avviata nel 2008 e che ha trovato appunto nell'Anno Grotowskiano un appoggio decisivo. Fu infatti in quella occasione che l'autrice potette organizzare, grazie al sostegno del Grotowski Institute di Wrocław, un importante evento che vide la partecipazione di molte collaboratrici e adepte di Grotowski sotto il titolo, poi ripreso nel libro in questione, “Meetings with Remarkable Women”, e con un sottotitolo non meno significativo, visto il suo riferimento a un celebre scritto del regista polacco: "Tu es la fille de quelqu'un".
La questione su cui il libro della Magnat dà un contributo molto significativo è una delle più delicate e controverse degli studi attuali su Grotowski: la tradizione e la trasmissione grotowskiane e i loro protagonisti. Fino a poco tempo fa si dava per scontato, anche da parte di specialisti di provata esperienza, che i principali collaboratori di Grotowski fossero stati tutti di sesso maschile, da Cieslak a Richards (e Biagini), passando per Flaszen, Barba, Cinkutis, Zmysłowski, Spychalski, Jairo Cuesta etc. E a poco valeva obiettare che l'attrice polacca Rena Mirecka, ad esempio, era stata la prima a lavorare con Grotowski, ben prima che a Opole nascesse nel '59 il Teatro delle 13 File, rimanendo con lui fino all'inizio degli anni '80 (fu l'unica donna a partecipare a tutti i suoi spettacoli); o che la cantante haitiana Maud Robart aveva collaborato con lui, seppur non continuativamente, dal '77 al '93, iniziandolo fra l'altro alla conoscenza pratica delle tradizioni rituali e performative del Vudù haitiano (si veda, di chi scrive,  Grotowski: tradizione, eredità, trasmissione, in Id., Il teatro dopo l'età d'oro. Novecento e oltre, Roma, Bulzoni, 2013, pp. 241-242).

 

La ricerca di Virginie Magnat fa giustizia di quello che ormai appare per quello che è, un ingiustificato luogo comune, ricostruendo la filiera delle collaborazioni-relazioni femminili di Grotowski e dimostrando come esse non abbiano troppo da invidiare per numero e qualità a quelle maschili. Scrive in proposito l'autrice:

as evidenced by on-going transmission processes, personal testimonies, and upublished archival sources, as well as books, articles, and interviews unavailable in English, several generations of women from different cultures and traditions actively participated in all phases of Grotowski's practical research, and continue to play a vital role in today's transnational community of artists whose work reflects Grotowski's enduring influence. […] Since women's contributions to this practice have been considered peripheral at best, my project attempts to redress this imbalance by foregrounding and promoting the vital transmission processes which characterize the artistic work of women in the Grotowski diaspora. (pp. 5, 25)

Foto di gruppo. Meetings with Remarkable Women, Grotowski Institute, Wroclaw, Polonia, Agosto 2009

(da sinistra a destra: Stefania Gardecka, Maja Komorowska, Elizabeth Albahaca, Ewa Benesz, Rena Mirecka, Virginie Magnat, la traduttrice Kasia Kazimierczuk) - ph Francesco Galli

 

Si va da nomi già molto noti e da sempre associati a Grotowski, come la regista cinematografica svedese Marianne Ahrne, autrice di uno dei film documentari più interessanti sul maestro polacco (Il Teatr Laboratorium di Jerzy Grotowski, 1992, prodotto dalla RAI), come le sue attrici degli anni Sessanta (dalla già ricordata Rena Mirecka a Elizabeth Albahaca, venezuelana, e alla polacca Maja Komorowska), come la mitica responsabile dell'amministrazione a Wrocław, Stefania Gardecka, come l'attrice dell'Odin Teatret Iben Nagel Rasmussen, che lo conobbe a Holstebro, in Danimarca, nel '67, e rimase da allora la sua prediletta fra gli attori di Barba,  come la critica e artista cèca Jana Pilatova o la polacca Ewa Benesz, membro del Teatr Laboratorium all'epoca di Apocalypsis cum figuris, fra '66 e '68, e collaboratrice in seguito, per tanti anni, di Rena Mirecka. Senza dimenticare la performer Ang Gey Pin, da Singapore, che, dopo aver partecipato alla sessione finale dell'Objective Drama Project a Irvine (California), nel 1992, è stata membro del Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards nel 1994 e poi dal 1998 al 2006.


Ma accanto a queste figure già note, compaiono decisamente, almeno per il sottoscritto, delle new entry, le quali appartengono tutte alle fasi successive al Teatro degli spettacoli, o Arte come presentazione che dir si voglia, e cioè Parateatro, Teatro delle fonti, Arte come veicolo, confermando quanto fosse giusta l'idea espressa da Richard Schechner qualche tempo fa di un'autonomia e specificità di tradizione-tramissione per ogni singola fase dell'itinerario grotowskiano. Si tratta di nomi come le polacche Danuta Ciecowicz-Chwastniewska, terapeuta ed educatrice di ragazzi problematici e con disabilità (dislessici, in particolare) e Imka Dowlasz, regista teatrale e insegnante di recitazione, entrambe segnate per sempre dall'esperienza di spettatrici di Apocalypsis cum figuris, e poi profondamente coinvolte nei progetti parateatrali e nel Teatro delle fonti; come la tedesca Katharina Seyferth, che soggiornò in Polonia fra 1977 e 1981, partecipando anch'essa ai progetti parateatrali e al Teatro delle fonti, per poi fondare in Francia, a Las Teouleres vicino Bordeaux, il Centre International de Recherche et de Formation Théâtrale; come Dora Arreola, messicana, che è stata membro dell'Upstairs Group (quello guidato da Maud Robart) al Workcenter di Pontedera, tra il febbraio '88 e il settembre '89, dopo aver incontrato Grotowski a Irvine, in California, nell'87. Naturalmente per molte di loro non si può parlare di vera e propria collaborazione con Grotowski ma piuttosto di remarkable women, appunto, che dall'incontro più o meno lungo con il maestro polacco sono state segnate irreversibilmente e in profondità.


Il libro fa molto di più che cominciare a ricostruire questa tradizione grotowskiana al femminile (compito tutt'altro che secondario o agevole, in ogni caso). Facendo questo la Magnat è portata infatti a entrare in profondità dentro il corpo della ricerca di Grotowski e a toccarne con grande competenza e indubbia finezza questioni cruciali, sia tecniche che  filosofiche e antropologiche: una su tutte, il lavoro di una vita intera sul rituale e i suoi rapporti col teatro (in proposito, mi permetto di rinviare allo studio La ricerca sul rituale nel lavoro di Grotowski nel mio Il teatro dell'altro. Interculturalismo e transculturalismo nella scena contemporanea, Firenze, La casa Usher, 2011, pp. 139-166).


Dal momento che davanti a libri del genere è difficile resistere al gioco del “chi c'è, chi manca”, direi che faccio fatica a spiegarmi l'assoluta assenza di un nome come quello di Jennifer Kumiega, autrice negli anni Ottanta di un libro che rimane fra le introduzioni più esaustive, corrette e documentariamente fondate al lavoro teatrale di Grotowski fino alla dissoluzione del Teatr Laboratorium (1984), fra le tante apparse nel tempo (Jerzy Grotowski. La ricerca nel teatro e oltre il teatro 1959-1984, Firenze, La casa Usher, 1989 [1985]). Ma soprattutto, lacuna ancora più grave, è difficilmente accettabile che in un libro del genere il nome di Maud Robart compaia di sfuggita due sole volte e la sua collaborazione con Grotowski (senza alcun dubbio la più importante fra quelle femminili insieme a quella di Rena Mirecka, ma per molti aspetti persino più di essa) non venga fatta oggetto di una trattazione approfondita. La giustificazione fornita in una nota (la Robart avrebbe rifiutato di partecipare al progetto, cioè - se capisco bene - ai due meetings, in Polonia e in Italia, che hanno rappresentato i momenti forti della ricerca sul campo)  non mi sembra del tutto soddisfacente: il ricercatore dovrebbe saper andare oltre queste difficoltà, persino anche contro la volontà del testimone. Sulla Robart, cfr. comunque il numero 77 (gennaio-marzo 2006) della rivista “Bilioteca Teatrale” interamente dedicato al suo lavoro (La ricerca di Maud Robart. L'orizzonte arcaico e atemporale del canto integrato), anche con un contributo della Magnat, e un articolo del sottoscritto in corso di pubblicazione (Maud Robart allieva-maestra. La collaborazione con Grotowski).


In conclusione voglio invece sottolineare la novità metodologica del libro di Virginie Magnat. Siamo di fronte a un interessante tentativo in direzione di quella che chiamo da qualche tempo una “embodied theatrology”, cioè una teatrologia incarnata (cfr. Il teatro dopo l'età d'oro, cit.), in cui il ricercatore, lavorando sul terreno - e senza rinunciare, sia chiaro, agli insuperabili criteri di acribia storiografica e di rigore scientifico - mette in gioco la propria soggettività e le proprie esperienze pratiche in materia - come fa appunto la Magnat, che non è soltanto una studiosa della “diaspora grotowskiana” ma anche un suo esponente, sia pure di seconda generazione, grazie all'apprendistato teatrale fatto a più riprese con allievi di collaboratori essenziali di Grotowski come Ludwik Flaszen e Zygmunt Molik. Insomma è anche lei “figlia di qualcuno”!

 

 

www.routledge.com

www.bulzoni.it

www.arsbit.net/volopublisher.com/

 


 
Sito realizzato con Joomla - Realizzazione grafica: Enrico De Stavola
condividi