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LA RIVOLUZIONE E' FINITA

I Giusti per l’Italia del ‘77

Dal 2 al 4 aprile al Teatro Tordinona torna in replica, dopo il debutto nel dicembre 2012 nello spazio occupato del padiglione 31 dell’Ex Ospedale Psichiatrico di Santa Maria della Pietà a Roma, 1977 La rivoluzione è finita. Abbiamo vinto, testo di Francesca Pirani, regia di Eugenia Scotti e Francesca Pirani.


[Silvia Mei] Preparativi per un attentato. Sfaldamento interno al movimento tra chi crede nella libertà attraverso la solidarietà umana e chi pratica la rivolta come un balsamo da somministrare sulle piaghe sociali. Stepan e Yanek vivono diversamente l’ingaggio per un mondo migliore, che può operarsi attraverso la poesia oppure con le bombe. Così come Giuliano e il Picchio, che tra la messa in prova dei Giusti di Albert Camus (ambientato nella Russia prerivoluzionaria tra il 1901 e il 1906) guardano, polari, alla loro missione salvifica nell’Italia del 1977.
Un anno cruciale nella storia della Prima Repubblica italiana, per la svolta interna al Movimento rivoluzionario che dal Sessantotto cominciò seriamente a credere che si potesse cambiare il mondo lanciando sanpietrini e sovvertendo l’ordine con la P38. Non sembrava impossibile a una generazione che tutto ha potuto ma molto ha anche fallito, facendo delle sue utopie un’ideologia delirante che contemplò l’omicidio (Aldo Moro) e senza ancoraggi alla realtà (per attutire il devastante “compromesso storico” del PCI).

Nasce da una profonda conoscenza della storia, anche vissuta per corrispondenza anagrafica, il testo di Francesca Pirani, sceneggiatrice (di Marco Bellocchio, tra gli altri) e autrice, che ha passato in rassegna centinaia di lettere di giovanissimi ardimentosi del Movimento del ’77. Il testo rievoca fedelmente un’atmosfera di euforia e giovinezza, di irrazionalità e sogno di giovanissimi che vanno all’università e fanno teatro, senza tuttavia aderire a una ricostruzione di fatti specifici ma parlando di un anno breve dopo le vertigini degli anni Sessanta e prima della lotta organizzata. “Il ’77 – scrive nelle sue note Pirani - è un cerino che brucia da due parti: nell’arco di pochi mesi si propaga in tutta Italia un movimento giovanile che genera l’idea o piuttosto l’illusione di una trasformazione in atto, che poi non riesce a svilupparsi e crolla sotto il peso di ciò che non si compie: all’euforia subentra la rabbia e con essa la disperazione, per un fallimento avvertito come incipiente”. Il ’77 è qui inteso “un momento all’interno di un quadro più ampio, una storia in cui si ripropone una partita sospesa, rimandata, che affonda le radici nei crolli ripetuti dei movimenti storici, a partire dalla rivoluzione d’Ottobre”.


Con un linguaggio intelligentemente fiction si tesse una drammaturgia in cui si incontrano diversi ordini di narrazioni, da quello privato di una improvvisata coppia che si prepara alla vigilia di un attentato, al gruppo di militanti guidati da Giuliano (Valeriano Solfiti) che trincia ogni possibile compromissione del privato col pubblico, del sentimento con la responsabilità politica, secondo un climax che porta la sgangherata troupe di dilettanti terroristi allo sbaraglio a sospendere il loro "giusto" proposito. Con grande rigore Eugenia Scotti, alla sua prima regia dopo una gavetta d’attrice in teatro e assistente alla regia di Giancarlo Fares ed Emanuela Giordano, dirige insieme alla Pirani un manipolo di giovani e ardimentosi attori (Ugo Benini, Elvira Berarducci, Bernardo Casertano, Michele Di Vito, Sebastiano Gavasso, Irene Maiorino, Francesca P. Pastanella, Adriano Saleri, F. Valeriano Solfiti), facendo scivolare con naturalezza una materia così densa che brucia un nervo scoperto della nostra storia. Con sapiente abilità di montaggio inserisce I Giusti di Camus, fondendo il registro della rappresentazione con quello reale della latitanza e del nascondimento dei facinorosi, come un doppio speculare e predicativo - quasi la vera finzione fosse il gioco della lotta; risponde al dialogo stratificato delle scene con piani e controcampi cinematografici nelle entrate laterali usando pochi oggetti come un materasso e un tavolo, spostati a vista senza straniare il ritmo finzionale; e opta per una recitazione senza orpelli - si direbbe “naturale” - rotta da interventi lirici come quelli del Picchio (Bernardo Casertano) che ci ricordano felicemente che siamo in teatro.

Alla fine resta il dubbio che oggi il ’77 sia a noi vicino, almeno quanto a entusiasmi, o possa fornire un modello, un’ispirazione per quella rivolta di cui le crisi delle economie e dei sistemi stanno facendo nuovamente emergere il bisogno. Al contrario, ci sembra lontanissimo. L’utopia di cambiare il mondo si è stemperata nella rassegnazione all'impossibilità di cambiarlo. I Movimenti di occupazione che hanno segnato l’Italia dell’Onda, del Valle Occupato, del Quinto Stato, tra gli altri, non sono forse scadute in elitarismi stanziali e individualistici di cui oggi non sentiamo l’impatto, forse neanche l’eco? E la generazione che il Settantasette l’ha fatto, vissuto, elaborato, non è quella che oggi occupa a più livelli e gradi sedi di potere e conta sul diritto d’anzianità per perpetuare logore ma potenti logiche di buon funzionamento dello status quo? Non è tempo di sterili nostalgie, neanche di inutili celebrazioni. Sì, hanno vinto loro: quelli che credevano di cambiare il mondo e invece è stato il mondo a cambiare loro.

 
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