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Antonio Rezza/Flavia Mastrella

Riso amaro per Fratto_X. Sotto le forme, la demenza quotidiana

[Silvia Mei] Pur nella ricorrenza degli ingombri plastici, degli habitat tessili che fasciano e camuffano, del nascondino enigmistico di personaggi ridotti sempre all’uno e mai all’altro, della combinazione collagistica di numeri il cui unico collante è l’interstizio del graffio, il teatro di Antonio Rezza e Flavia Mastrella non è mai uguale a se stesso. Sempre caustico, spigoloso, cacofonico, antigrazioso, astrae la realtà nel tratto di un segno grafico: quello di un ideogramma che incastona un concetto in architetture di colore.

Fratto_X, l’ultima creazione e produzione (con Fondazione TPE, TSI La Fabbrica dell’Attore e Teatro Vascello) della coppia di artisti che opera insieme da vent’anni, riedita le intelaiature plastiche di Oskar Schlemmer in ready made, ma col gusto nippo cartoon del colore saturo e gli svolazzi decorativi del mondo fluttuante. Gli habitat dell’artista totale Mastrella, sorta di macchine celibi alla Duchamp, si vivificano nelle peripezie corporee di un sempre più dinocollato Rezza, coadiuvato da un aspirante comprimario, sempre meno servo di scena, Ivan Bellavista.

 


La forma della scena si esalta in questa antieroica saga del fratto, controsatira della semplificazione umana contro la manipolazione delle coscienze: ora nell’allegoria di uno spensierato palloncino che gira su se stesso, come bocciolo di una stilizzata struttura vegetale telecomandata, ora nella reiterazione nominale del nome Mario, giocato come un monosillabo infantile in un abisso ecolalico; o ancora ventriloquismo di coppia (esilarante la pantomima col deuteragonista Bellavista, che fa dello pseudotravestitismo vocale di Rezza il parossismo della voce unica) e gioco delle evidenze nella logica ingarbugliata di Rocco e Rita, intercambiabili, dietro una tenda-quinta a centro palco.

 


L’artificio delle pieghe, funzionale a rendere visibile o accettabile un impietoso reale, si stende a velo monacale per Rita da Cascia, si fa lenzuolo e onda del mare, sindone e velario, dove far scorrere e scivolare, in una forma monologica al limite dell’autistico, il severo e impietoso giudizio d’artista: attacca col ringhio di un bizzarro cantore epico la belva anestetizzata del pubblico e, fastidioso, col suo batocchio riflettente, abbaglia e urtica lo spettatore, non più addormentato ma mortificato e reso esangue dal maelstrom televisivo.

Rezza è così: uno scuotitore di coscienze, senza impartire una morale, alternatore di corrente senza circuiti chiusi, burattinesco e corrosivo come Totò – è stato rimarcato – senza il compiacimento e il gigionismo di chi vuol far ridere, oltre lo sberleffo del comico, costantemente in bilico tra crudeltà e autocritica nello sprezzo totale del fairplay e del bon ton.

 
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