PRIME VISIONI |
Una vetrina modenese sul giovane teatro
Il tourbillon di proposte, linguisticamente variegate e sfrangiate, della vetrina giovanile e di ricerca di Prime Visioni affaccia sull’evento irripetibile - non solo per la magnificenza numerica (circa settanta attuanti) quanto per il rito finale che compie - Del bene, del male di Stefano Cenci per Dimensioni Parallele Teatro (con la collaborazione artistica della Compagnia Tardito/Rendina). Quella che il regista modenese convoca è un’adunanza che celebri il rito delle fine: fine del mondo secondo le predicazioni Maya, fine della civiltà occidentale, ma soprattutto morte di un teatro che sopravvive a se stesso nello sterile e polveroso ritrovo di spettatori addormentati (mirabile la tirata burattinesca di Simona Ori dalla barcaccia come antica, più che vecchia, spettatrice, che implora il silenzio contro un teatro decaduto e disabile). Del bene, del male diviene allora la celebrazione fastosa ed elegante di un’apocalissi che raccoglie a giudizio una varia umanità allucinata e statuaria (appropriato il leitmotiv tratto dalla colonna sonora di Mondo Cane, film cult del 1962 che montava bizzarre violenze e trivialities delle diverse società, civilizzate e non), al cospetto di una dama platino (Francesca Ferri) nel lussuoso piano nobile del suo palazzo (le scene e i costumi sono della parmigiana figlia d’arte Emanuela Dall’Aglio). Una domestica e un maggiordomo danzanti (il dinoccolato Aldo Rendina e l’impeccabile Federica Tardito), tra passi di tango e movenze da spiritati, predispongono l’arrivo di una folla di invitati mentre una abat-jour da silhouette umana cerca con un’adeguata posa la giusta collocazione nella stanza e un busto maschile si mette in cornice, sorta di ritratto plastico, scivolando da una parete all’altra. Con un ritmo da contromarea, rarefatto e poco mosso, si avvicendano così i diversi turni di ospiti organizzati in gironi danteschi con una mezza guida di capitano (Tiziano Meschieri), quasi naufraghi storditi della celebre zattera della Medusa: dal modello vincente del girone televisivo “Vivere come se non ci fosse un domani”, ai retrò del Titanic per l’ondata “E la nave va”, fino al “Girone della merda”, ovvero il popolo, che esce (o entra) da un lampeggiante caminetto. É invece della serie “Cuori di cartone” la troupe di attori che intrattiene gli ospiti come nell’Elsinore scespiriana, e difatti è uno stralcio da Amleto (a pranzo e a cena) quello che Oscar De Summa e il suo seguito circoscrivono con una partecipazione straordinaria, cambiando decisamente ritmo e tenuta allo spettacolo, prima della sfilata carnascialesca dell’ultimo girone di valzer “Le 120 giornate di Disneyland”. Il finale diventa così la “soluzione finale” ad un’umanità smarrita e debosciata, voluttuosamente gasata dai due inservienti ma salvata dalla promessa di Paradiso nel canto bianco, accompagnato live, Pure Imagination. È un trattato bellico, un compendio di sopravvivenza, senza negarsi i tratti del galateo politico e del manuale di bon ton sociale, la dottrina declamata e predicata da Raimondo Montecuccoli (1609-1680) a un manipolo di giovani nostrani concorrenti a un’audizione o all’ennesimo colloquio di lavoro. La nuova produzione del collettivo MOH autori riuniti in co-produzione col Teatro in Polvere, Aldes e Teatro dei Venti (quest’ultimo per l’ospitalità), secondo la regia di Valentino Infuso, Giulio Costa, Roberto Castello e Roberto Zanisi, Pecunia! Pecunia! Pecunia! Ovvero ‘Cuculo’ sul monte’, ovvero come vincere tutte le battaglie (ma proprio tutte) scalare il potere, convertire gli infedeli ed essere Raimondo Montecuccoli, occhieggia fin dal titolo alla trattatistica seicentesca e non risulta poi così bizzarro o anacronistico che l’erudito e valoroso condottiero dell’Impero possa proporsi oggi come promotore finanziario nella guerriglia post default delle grandi economie occidentali. Con una gestica composta e pacata il luogotenente Montecuccoli può ordinare i livelli di un ponteggio edile – sobria ma simbolica scenografia, in tempi di dimostrazioni civili e scioperi operai – secondo un catalogo di qualità utili al moderno precariato. |