L’attore del domani non è un’utopia
[Silvia Mei] La distesa di palco del Teatro Cavallerizza Reale di Torino sembra il ponte di un Titanic o la sua ampia sala sottocoperta. Accompagnate da melodie ballabili di un pianista solitario (Bruno de Franceschi, anche compositore originale), sotto una lampada industrial style calata a piombo, l’umanità e le creature di fantasia del Sogno scespiriano vagano inquiete in formazione sciolta, giocando in duetti e trii, squadrando il pubblico con cui scambiano, beffardi, una piacevole tenzone o piccoli rituali di corteggiamento. Ma subito si serrano in una compagine unitaria e intonano a più voci una ballata d’entrata (un’interpolazione dai Sonetti del gran Will), che sigla il registro canoro della storia d’amore di Teseo e Ippolita, Ermia e Lisandro, Elena e Demetrio, Titania e Oberon.
Il Sogno di una notte di mezza estate nella versione darkcore di Valter Malosti – attore, autore e regista originalissimo nel panorama italiano, qui anche traduttore, come è solito per i testi che allestisce – viene rieditato in chiave musical comedy, tra operetta belle époque e film musicale hollywoodiano, tra West side story, Rocky Horror Picture Show e la soavità mélo di My Fair Lady. Il carattere dei personaggi, i loro soliloqui, gli a parte trovano un’integrazione alla recitazione col canto arrangiando le parti in arie, cavatine e recitativi che accompagnano una dicitura naturale, trasparente, partecipata e mai affettata.
Una scena più che disadorna, vuota, cava con pochissimi accessori (un baule, l’intelaiatura di un letto) e costumi contemporanei (di Federica Genovesi) per la corte e le coppie di innamorati, oppure rivisitazioni neogotiche con retrogusto sado per gli Spiriti del bosco e le Fate in rollerblade. Ma questo stanzone fondo, ora reggia, ora bosco, ora camera nuziale non è mai scempio: una danza corale (nella cura di Alessio Maria Romano) – ben lungi dai musical cinematografici cui siamo adusi – fende una scena da neotanztheater mitteleuropeo (tra Costanza Macras e Sasha Waltz).
Due settimane di repliche per questo Sogno (22 maggio-10 giugno 2012), che è anche una scrittura dello Stabile ai 19 allievi della relativa Scuola giunti alla fine del loro triennio di formazione sotto la direzione illuminata di Valter Malosti (subentrato a Mauro Avogadro nel settembre del 2010). Sono giovanissimi, con una media di 23 anni, e già talentuosi, molti scritturati in produzioni italiane di teatro di regia, eppur pronti a immettersi in un mercato teatrale continentale. Voce, movimento, acting sono stati modellati e coltivati con armonia in una visione integrata delle qualità e delle estensioni dell’attore: la danza e il canto diventano due livelli, due dimensioni fondanti nella visione pedagogica di Malosti, capaci di costruire una presenza e un’ampiezza di registri per una tastiera a più ottave. E senza trascurare la funzione creativa dell’attore – che non è semplicemente un esecutore ma sussume la tradizione grandattorica che ha segnato tutto il Nuovo Teatro italiano dell’attore-autore: a questo Sogno hanno contribuito gli stessi giovani attori, portando a emersione anche doti più espressamente registiche. Ma il grande merito di Valter Malosti – lo si capisce in pochi minuti di spettacolo – è di essersi posto nei confronti della comunità di giovani aspiranti come un maieuta piuttosto che come un maestro, tirando fuori da quel potenziale umano delle persone, meglio “la persona dell’attore”, che rende ciascuno di loro unico e inimitabile, senza generare sterili cloni votati alla frustrazione.
Ippolita è la modellata e pastosa Camilla Sandri, dalla voce incantevole, affrontata come una Zelda Fitzgerald stordita di champagne che diventa figurina atletica in bikini secondo una silhouette da affresco pompeiano; Teseo, per Jacopo Squizzato - attore di squisita qualità eppur giovanissimo, ne sentiremo parlare - è anche Oberon, il lato oscuro, il doppio del Duca d’Atene che perde il suo aplomb nei plateaux del satiro invaghito di Hermy tutto d’oro (Rocco Rizzo, caratterista di androgino aspetto, dai registri reversibili); il fido servo Puck è tutto giocato in chiave Rocky Horror e può contare sul talentuoso Danilo Ottaviani (in doppio ruolo, anche come cerimoniere di Teseo, Filostrato), la voce traino del coro, nettamente superiore; Titania (Alice Spisa, voce densa e temperata da coloriture calde quasi afro) è un’amazzone dark libidinosa e sensuale ma senza mai perdere l’eleganza di una cavallerizza; Egeo è un Gagà napoletano nella versione di Christian Mariotti La Rosa, un addetto all’ambasciata memore di The Merry Widow. E poi le doppie coppie di innamorati, Ermia-Lisandro (Roberta Lanave-Mauro Bernardi) e Elena-Demetrio (Annamaria Troisi-Michele Costabile), sono physiques du rôle di mirabile freschezza, disinvoltura scenica, trasparenza recitativa. E delle tante compagnie di attori che il Sogno scespiriano abbia fino ad oggi rubricato, niente di più azzeccato della troupe di freaks diversamente abili composta da Giacomo Troianello (Peter Quince), Leonardo Lidi (ideatore di uno spassoso Nick Bottom poliomielitico in sedia a rotelle), Rocco Rizzo (Francis Flute), Matteo Prosperi (Snug) Camilla Alisetta (Rose Straveling). Ma ci sono anche le Fate al servizio di Titania (Francesca Mària, Giorgia Cipolla, Serena Marziale, Anna Charlotte Barbera), figure affatto decorative, capaci piuttosto di imporsi con caratterizzazioni incisive senza mai arrendersi al kitsch; e il tenerissimo Cupido (Alba Maria Porto), che apre le cerimonie con lo scoccare delle sue frecce .
Questo Sogno, scelta tra le più felici per raccogliere un’umanità di attori così giovani e assortiti, è in verità il sogno dell’attore italiano del domani, che non è più oggi un’utopia bensì un progetto realizzabile. La Scuola del Teatro Stabile di Torino non è un’eccellenza - espressione fin troppo inflazionata di questi tempi - ma un prototipo di pedagogia per la formazione dell’attore, cui guardare e cui ispirarsi. Perché i sogni, spesso, si realizzano.
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