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CARO COMPAGNO MIO

pensieri sullo spettacolo Cuore del Teatro Due Mondi
(M.P.)

 

Siamo usciti da questa matinée per le scuole con cinque parole in testa.

La prima parola è eccomi. «Eccomi!» risponde una ragazzina, dal buio di una platea affollata da qualche centinaio di studenti di scuola media a Tanja Horstmann, attrice del Teatro Due Mondi di Faenza, che al termine dello spettacolo Cuore, riscrittura per lampi del leggendario libro di Edmondo De Amicis, un’ora abbondante di immersione in una scuola di fine Ottocento (con tanto di banchi, lavagna e gonne lunghe), da brava maestrina fa una specie di appello, termine da intendersi sia nel senso comune che letterale, ulteriore occasione per far uscire nel qui e ora i personaggi del racconto. «Dov’è ora Garrone? E Coretti, lo riconoscete tra di voi? E il ragazzo venuto da lontano, è qui? E Franti, dalla faccia tosta e trista? E la ragazzina sempre ben vestita? E Garoffi? Dov’è Garoffi? E la figlia dell’operaio? E Nelli, che non parla ancora bene l’italiano, è qui?». E la “ragazzina sempre ben vestita”, in platea, sta al gioco: «Eccomi!». E lo dice senza ironia: «Eccomi!».

 

La seconda parola è movimento. Il movimento dentro/fuori, entrare/uscire è una costante di tutto lo spettacolo: i tre attori che a momenti narrano e a momenti diventano personaggi (memorabile, per pulizia, la trasformazione in “direttore della scuola” di Renato Valmori, semplicemente appoggiando a terra un bastone da passeggio); alcuni pupazzi, di pezza e senza volto, a tratti  parti  della scenografia, a tratti protagonisti di alcune scene; il riferimento ora alla storia ottocentesca (con abbondante e coraggiosamente fuori-moda uso del relativo arcaico linguaggio, rielaborato da Gigi Bertoni), ora alla più stretta attualità (il terremoto ad Haiti, gli orfanotrofi in Albania, la siccità in Etiopia). E poi il movimento tra palco e platea, soprattutto nella scena più esilarante e teatralmente perfetta dello spettacolo, in cui l’allieva Angela Pezzi, su dettato del maestro Renato Valmori, scrive una lunga frase alla lavagna, con continui errori di ortografia, che i ragazzini del pubblico la aiutano di nascosto a correggere.

La terza parola è finalmente. Finalmente uno spettacolo per ragazzi (è pensato per un pubblico dagli 8 ai 13 anni, un’età difficilissima, forse per la vita, certamente per il teatro) che ha il coraggio di non scimmiottare la televisione, di non inseguire il suo pubblico ma di accompagnarlo, che ha la forza di avere a che fare con questioni importanti e difficili, di essere brechtianamente didattico, rischiando perfino la retorica per –come direbbe Mariangela Gualtieri- «dire ciò che va detto, finalmente, con poche, secche, ben dette parole». Finalmente uno spettacolo in cui il testo di De Amicis è grotowskianamente inteso come “un trampolino” per parlare di cose importanti e scomode: povertà, dolore, solidarietà. Parole, queste, che in bocca a molti altri suonerebbero vuote e retoriche, mentre nel lavoro della compagnia faentina si incarnano in un percorso tra arte e vita di inusuale coerenza (si pensi, ad esempio, al Progetto Rifugiati, iniziato, su base volontaria, nell’estate del 2011, con un gruppo di profughi provenienti dalla Libia, e al Progetto Omsa, ideato per dare sostegno, anche attraverso la costituzione di Brigate Teatrali, alla lotta per il diritto al lavoro di un gruppo di operaie faentine ingiustamente licenziate). Finalmente uno spettacolo “di teatro-ragazzi”, categoria forse non del tutto ingiustamente di solito considerata minore, in cui accade tutto quello che a teatro dovrebbe sempre accadere: si pensa e ci si commuove, e anche spesso si ride forte.

 

La quarta parola è serietà. Nei suoi trent’anni di storia, il Teatro Due Mondi incarna pienamente la lezione dei Padri Fondatori primonovecenteschi: training come pratica costante, e non solo propedeutica al lavoro dell’attore, che in questo spettacolo è evidente nella limpida precisione dei movimenti, nella ricchezza della componente canora e musicale (anche grazie alla pluriennale collaborazione con Antonella Talamonti) e nell’estrema pulizia e articolazione del lavoro vocale (in particolare della straordinaria Angela Pezzi, davanti alla quale, da anni, tratteniamo male l’ammirazione). La serietà è offerta, come in dono, e anche richiesta: singolare, in questo senso, è l’augurio che il regista, Alberto Grilli, fa alla platea di ragazzini al termine dell’introduzione pre-spettacolo. Al posto del solito «buon divertimento», Grilli augura «buon lavoro a tutti». E questo ci fa venire in mente Ennio Flaiano che nel 1963, per commentare uno spettacolo di Mario Prosperi e Renzo Giovampietro, scrive: «Tutti infine hanno avuto grandi applausi. Pubblico attentissimo. Vaghi ricordi scolastici e un qualche timore di essere interrogati. Infine, soddisfazione generale. Com’è confortante accorgersi che non si chiede al teatro ciò che la vita di tutti i giorni ci dà in abbondanza, sopraffazione del gusto, stupidaggine e pornografia!». Perfetto, ora.

La quinta parola è grazie. Siamo usciti dalla matinée al Teatro Testoni Ragazzi di Bologna, il 10 maggio 2012, in mezzo a nugoli di ragazzini, in pieno sole, con in testa qualche domanda in più, e mentre andavamo a prendere il treno per tornare a casa, abbiamo pensato che è sempre più scomodo e necessario, utopistico e necessario, faticoso e necessario, un teatro così. E che davanti a un teatro così, bisogna ringraziare.

 

Per ulteriori informazioni: http://www.teatroduemondi.it/

 
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