[Maria Coduri]
Nel corso dei secoli The Tempest è stata interpretata in modi diversi: l’addio di Shakespeare al teatro, un viaggio di conoscenza, un’opera anti-colonialista, una metafora sul teatro. Tra le produzioni più acclamate a livello europeo c’è anche la “nostra” Tempesta, quella diretta da Giorgio Strehler che debuttò nel giugno 1978 al Teatro Lirico di Milano. A Londra, in questa stagione teatrale, due produzioni – estremamente differenti per nomi coinvolti e mezzi disponibili – hanno animato la scena della capitale: quella diretta da Trevor Nunn al Theatre Royal Haymarket, con Ralph Fiennes nel ruolo di Prospero e Nicholas Lyndhurst in quello di Trinculo, e una diretta da Jonathan Holmes per la sua compagnia, la Jericho House, andata in scena nella suggestiva cornice della chiesa medievale di St Giles’ Cripplegate, unico edificio antico tra i grattacieli eretti intorno al Barbican Centre. Né l’una, né l’altra produzione hanno ricevuto critiche particolarmente favorevoli e, nella maggior parte dei casi, quanto espresso sui giornali e sulle riviste inglesi, ci trova d’accordo. Sul “Guardian”, Michael Billington afferma che The Tempest di Nunn non offre alcuna delle “startling revelations or insights in the manner of Peter Brook, Jonathan Miller or Giorgio Strehler versions”. Secondo il critico inglese, dunque, la messa in scena strehleriana del 1978 rivelò più dell’opera scespiriana di quella di Nunn che, ad oggi, ha diretto ben trenta plays del drammaturgo inglese. Nunn legge TheTempest come una parabola che sancisce il trionfo del perdono e della riconciliazione sulla vendetta, lettura leggittima ma, a tratti, un po’ marcata e che, in alcune scene, dà origine ad accenti eccessivamente sentimentali. Ben distante quindi da quell’amarezza (bitterness) di cui parlava Jan Kott nel suo Shakespeare Our Contemporary, il Prospero di Nunn congeda Caliban con un bacio sulla fronte e mostra il suo totale e incondizionato perdono verso coloro che gli avevano arrecato offesa, stringendo la mano del traditore Antonio. È un vero e proprio happy ending. Punto di forza dello spettacolo è senz’altro l’interpretazione di Fiennes. L’attore recita i versi scespiriani con chiarezza e ponderazione, assaporandone il suono e trasmettendone l’importanza. È un Prospero dal portamento nobile ed elegante, una figura virile ed imponente che incute rispetto e riverenza ma che, allo stesso tempo, esprime con efficacia il suo tormento interiore e mostra una personalità fondamentalmente benevola e particolarmente tenera nei confronti di Miranda. Questa è piuttosto giovane, ha quindici anni, quindi Nunn si è distanziato volutamente dall’immagine del mago anziano con la barba bianca. Tuttavia è malinconico, tristemente assorto, come se portasse su di sé il peso di un’intera vita e si sentisse ormai un po’ distante dagli avvenimenti che lui stesso ha creato. Differentemente dal testo originale, è lui che apre lo spettacolo, figura maestosa – seppur vestito di stracci – che rende immediatamente chiaro il suo ruolo di mago, di artefice dello show, presentandosi in proscenio con il libro e il bastone magico per poi allontanarsi verso il fondo della scena da dove osserverà silenziosamente lo svolgersi della “sua” tempesta. In generale, il ritmo dello spettacolo è piuttosto lento, soprattutto nella prima parte; si fa più incalzante nella seconda, in particolare grazie ad alcune trovate sceniche di grande effetto come la discesa di Ariel-arpia sulla tavola imbandita per il banchetto, una figura magica dalle grandi ali bianche che recita i suoi versi sospesa nell’aria. Tuttavia, alcuni momenti risultano eccessivi, troppo coreografici: in particolare nella scena del banchetto preparato dagli spiriti che, come una muta di cani segugi, si danno all’inseguimento dei marinai in una specie di danza che crea un’atmosfera evocativa di famosi musical. Bella l’interpretazione di Nicholas Lyndhurst e di Clive Wood, rispettivamente nei ruoli di Trinculo e Stephano. Lyndhurst, conosciuto soprattutto per il personaggio di Rodney Trotter nella sit-com Only Fools and Horses, è un Trinculo un po’ timido e afflitto che ben si contrappone all’ubriaco e rozzo Stephano. In generale, The Tempest di Nunn ammorbidisce molte delle asprezze del testo originale e offre una lettura rassicurante pervasa, soprattutto nella seconda parte, da un’atmosfera quasi favolistica.
Di altro tono è la produzione della Jericho House. Forte, secondo il regista Jonathan Holmes, è la corrispondenza fra le avventure e sventure coloniali all’epoca di Shakespeare e il nostro presente costellato di storie di esilio, migrazione e conflitti territoriali. Non a caso lo spettacolo, prima di approdare a Londra, è statoportato a Gerusalemme, in Cisgiordania – a Nablus e a Betlemme – e ad Haifa. Una delle rappresentazioni ha avuto luogo proprio all’ombra del muro che separa Gerusalemme da Betlemme in una situazione piuttosto scespiriana con il pubblico che si muoveva liberamente durante lo spettacolo. Ecco dunque che, in quel contesto, il tema del matrimonio tra Miranda e Ferdinando e la riconciliazione finale assumevano un significato particolare. Un ruolo fondamentale è giocato in questo allestimento dalla musica e dai suoni. Holmes sostiene che The Tempest fu un lavoro congiunto tra Shakespeare e Robert Johnson, compositore e liutista del re. Non a caso, dice, The Tempest è l’opera più breve di Shakespeare con alcuni personaggi e alcune situazioni non totalmente sviluppati. Era proprio la musica, secondo il regista, che doveva supplire alla brevità del testo. E così lo spettacolo risulta fortemente sonico, accompagnato, per l’intera durata, da musica, rumori, suoni (“The isle is full of noises,/Sounds and sweet airs that give delight and hurt not”, osserva Caliban). Veramente bella la voce di Ariel (Ruth Lass), le cui canzoni, dal sapore spiccatamente mediorientale, creano un’atmosfera inusuale e magica all’interno della chiesa di St Giles’ Cripplegate. L’Ariel di Lass è alquanto differente dall’etereo Tom Byam Shaw della Tempesta di Nunn. Tanto delicato e femmineo quello, quanto mascolina e, a tratti, quasi minacciosa questa. Sicuramente dotata di ottime qualità attoriali, non è parso, tuttavia, corrispondere all’idea di Ariel che ci dà Shakespeare nelle parole di Prospero: “my delicate Ariel” o “my bird”. Lass è agilissima ma è anche forte, muscolosa e il suo viso è alquanto spigoloso. È però un piacere seguirla nei movimenti e, soprattutto, godere della sua incantevole voce. È una produzione “in piccolo”, allestita in uno spazio limitato. Per qualche ragione manca il personaggio di Gonzalo (forse per insufficiente numero di attori) e Antonio e Stephano diventano Antonia e Stephania, interpretate dalla stessa attrice, Nathalie Armin. Se il personaggio di Antonia può funzionare, l’interpretazione di Stephania che si prodiga in scene di seduzione con Caliban, ci pare sovvertire il rapporto esistente tra i due. Mentre nel testo originale Caliban si sottomette totalmente a Stephano (“Let me lick thy shoe”), nello spettacolo di Holmes è piuttosto Stephania che, usando tutte le sue strategie seduttive, cerca di farsi accettare da Caliban, in una resa che non sembra corrispondere alle intenzioni del drammaturgo. Venendo infine al personaggio di Prospero, tanto è nobile nell’atteggiamento e maestoso quello di Fiennes, quanto minimale e contenuto è quello di Alan Cox. Anche qui vediamo un Prospero giovane, forse troppo però, anche perché ben lontano dalla presenza scenica di Fiennes. Come quest’ultimo Cox recita i suoi versi con chiarezza ed eleganza ma, solo di rado, esprime la complessità del grande personaggio scespiriano.
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