Pas d’habitude_Bologna - Atelier Sì |
[silvia mei]
Lo si denuncia fin dal titolo: la rassegna indipendente ideata e promossa da Fiorenza Menni/Teatrino Clandestino non vuole essere una stagione né un florilegio, tantomeno un appuntamento routiner. Nessuna serata è uguale a se stessa per questo Pas d’Habitude è una tantum all’interno del progetto Sì*Metrica, una modalità, quest’ultima, di radicamento nel territorio, ma con respiro nazionale e internazionale, partita nel 2011 ed oggi alla sua seconda edizione. Lo spazio di Teatrino Clandestino, lo storico teatro San Leonardo a Bologna, dove si espresse la terza vita di Leo de Berardinis, è oggi un luogo di coagulazione di afflati artistici e spiriti poetici. A partire dalla concessione nel 2008 a Teatrino Clandestino da parte del Comune di Bologna, i locali di via San Vitale 67, ridenominati con slancio affermativo Sì, si sono gradualmente costituiti a luogo denso di pensiero, lavoro, azioni, incontri, produzioni e promozioni culturali in ascolto della città e dei suoi artisti, dei loro progetti e delle loro necessità. Con Pas d’Habitude, il progetto Sì*Metrica articola un palinsesto di spettacoli con incontri, workshop e liveset non esenti da vedute transmunicipali e nazionali (www.atelier-si.org). Il 19 e 20 novembre 2011 si è aperta la rassegna col delicatissimo lavoro di Anna Amadori, attrice lirica e pedagoga tosco-emiliana, cofondatrice nel 1990 del Teatro Reon con Fulvio Ianneo. Wonderwoman si è trasferita è la prima nazionale, a cura di Elena Di Gioia, di un solitario monologo interiore, sotto i cieli e nel frastuono di occidentali latitudini, nella presa di coscienza della fragilità femminile. Il pretesto letterario è nei racconti compresi in Bassure, raccolta prima della scrittrice Premio Nobel per la Letteratura 2009 Herta Müller, le cui figure muliebri, spigolate da una prosa asciutta e deittica, prendono corpo nel personaggio di Irene Fisher che Amadori ha creato come ricamo sulle eroine quotidiane della rumeno-tedesca. Il lavoro teatrale è una tessitura di echi dai racconti, facendone un dramma che li raccoglie tutti. Sormontata dall’icona kitch di Wonderwoman, una madonna in bikini aureolata di lucine colorate intermittenti, Irene lascia scorrere la sua vita di donna moderna efficientista, anche se un po’ maldestra, spesa in un lavoro che non ha più bisogno di lei. La tragedia del licenziamento le sollecita una coscienza emotiva che si impone in terza persona, ora come bocca della verità amplificata, ora nella grana dell’urlatrice punk-rock Nina Hagen, ora nel doppio burattinesco di una marionetta che cala dall’alto, dono mandato dal cielo: alter ego, infante desiderato, giocattolo che ritorna dal passato, è l’aiutante magico con cui volare disinvoltamente sulla cima di un grattacielo contemplando l’inerzia operosa di spazzini notturni.
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