Ai sensi della Legge 7 marzo 2001 n°62, si dichiara che Culture Teatrali non rientra nella categoria di "informazione periodica" in quanto viene aggiornato ad intervalli non regolari.ng

 

CUMULI DI AZIONI NELLA CASA AFFETTIVA

Natura Dèi Teatri
Performing Arts Festival
XVI edizione
Di Uomini e Di Cani
Parma | Lenz Teatro
11>25 Novembre 2011

*Intervista apparsa sulla webplatform Visioni Di Uomini e di Cani

La nuova edizione di Natura Dèi Teatri ha per titolo “di Uomini e di Cani”. Il rapporto uomo-animale è da sempre centrale nel pensiero filosofico, ma è anche un perno fondativo dell'espressione artistica e in particolare di quella teatrale. Penso alle rappresentazioni animali dell'arte preistorica o ai rituali dove l'animale aveva una funzione sacrificale, o ancora alla tragedia e alla commedia o al dramma satiresco e alla loro originaria connessione con i culti di Dioniso. L’animale come alterità-in-noi è l’elemento essenziale nel poema ovidiano Metamorphoseon libri XV che è stato vostro ispiratore per numerosi spettacoli. Quella tra uomo e animale è una relazione stratificata, intima e misteriosa, capace di riconvocare la zoomorfia delle favole e il fantastico, il perturbante e il postumano, e il campo semantico che instaura convoca sessualità, violenza, bestialità, crudeltà, ma anche istinto, pazzia, infantilismo, grazia. Lenz Rifrazioni edifica un nuovo ambiente di riflessione legando problematicamente la nozione di animalità e quella di immaginario contemporaneo…

Per risponderti devo tornare alle origini. Il pensiero corre a tre anni fa, quando Francesco Pititto e io abbiamo pensato il progetto triennale che con questa edizione si conclude. Oggi posso constatare che il tempo ha sostanzialmente trasformato l’idea originale. Ero partita, come si faceva nel ‘500, sottraendo da un’opera letta, in maniera quasi insensata, alcune parole. Ho selezionato quelle che mi facevano vibrare in Exilium che abbiamo ideato a partire da Tristia ed Epistulae ex Ponto di Ovidio, opere su cui stavamo lavorano sentendoci nella posizione del poeta isolato, sostanzialmente strappato dalla sua patria e esiliato ai confini dell’occidente, che è poi la condizione dell’artista nel nostro periodo storico. E da lì abbiamo provato a esperire e sperimentare attraverso il nostro pensiero e la nostra sensibilità le parole di Ovidio. Queste sottrazioni, questi calchi, o singole grafie erano dei luoghi vuoti che abbiamo provato a riempire da un lato con la nostra esperienza artistico-estetica, ma anche attivando vibrazioni e risonanze nel dialogo con gli altri artisti.
Oggi tutto assume un significato più ampio. Campi, titolo dell’edizione 2009, nasceva, all’inizio, dal desiderio di allargare la visione del teatro da una dimensione percettivo-sensoriale alla configurazione di “campi” emotivi, geografici, sonori. Dunque a un’idea di teatro che non fosse legata solo al corpo, alla parola, a quei segni funzionali già molto impoveriti dall’utilizzo. Aprire questi campi. Che nel caso di Ovidio erano campi vuoti. Ciò che si celava dietro al nome era l’idea di sfaccettare lo spazio artistico. Il progetto dello scorso anno aveva per titolo il nodo concettuale la Cute. In quella edizione era in gioco la dimensione politica della superficie, membrana sottile e resistente dove tutto si contagia, si contatta e si brucia nella relazione artistica. Questi primi due momenti trovano uno sviluppo in di Uomini e di Cani. Questa grafia si stacca dai Tristia ovidiani e fa riferimento a quel momento in cui il poeta è solo nel suo rifugio-studio e sente “solo voci di uomini e di cani” equiparando le sonorità animali con quelle emesse dalla voce barbara che lui non capisce: non-latino paragonato alla vocalità animale.
Non c’è nel nostro disegno un rimando esplicito alla dimensione vocale, vorremmo fosse una linea sotterranea che possa riemergere nei lavori ospiti. Dei cani ululanti di Ovidio resta piuttosto un’ombra, qualcosa che ci sollecita non in quanto fisicità stretta, anche se nel festival ci saranno molti cani.  La relazione uomo-animale, che muove da quella prima suggestione, procede verso un’elaborazione autonoma in cui i poli non sono necessariamente declinati in una contrapposizione, né d’altra parte si possono sovrapporre. Si tratta semmai di dimensioni che risuonano pericolosamente allo stesso modo. C’è qui il desiderio di cogliere una dimensione non domestica della visione animale, come della visione umana. Ogni cultura non sviluppa forse il proprio rapporto con il sé animale?

“di Uomini e di Cani” sembra configurarsi come la messa in gioco di un problema che si vuole fare carico di un margine di fuori controllo. La tessitura plurale del festival non si costruisce infatti su linee estetiche e poetiche capaci di dare conto o verificare un’idea di partenza…

Questo è stato il motore per pensare un’edizione che non avesse un orientamento stilistico. Non siamo andati alla ricerca – come è accaduto per l’edizione dello scorso anno – di artisti che, in colloquio con noi, vibrassero in una medesima direzione, ma di aprire un campo sterminato di possibilità dove animali e non, uomini e cani, potevano mettere in crisi la funzione performativa. Il porre l’altro dentro di noi. La parte di noi sconosciuta, bestiale… o la parte desiderata di noi. Questa è la domanda forte che anima e motiva il festival. La possibilità di mettere in movimento quindi, nella proposta ad altri artisti, come a noi stessi – che siamo presenti nella duplice funzione di creatori intellettuali della cornice e artisti – di creare un cumulo di azioni piuttosto che una via dichiarata e chiara. Si è trattato di accendere un processo. Io non sono un curatore. Vivendo, leggendo, osservando e assorbendo anche indirettamente da altre persone, provo a costruirmi una casa affettiva in cui gli artisti occupano una stanza. Credo che sia questo senso, anche architettonico, che si possa riconoscere il tratto distintivo di Nd’T, nella sua costruzione di spazi, stanze, piani, livelli. Il nostro progetto di quest’anno non mette in campo dunque una dimensione orizzontale dove ci sono vie e percorsi, ma una casa al cui interno, un tuo primo movimento si spazia per accogliere l’altro, intercettato da frammenti di visioni, da occasioni precedenti, da incontri fortuiti. In questo modi si è progressivamente focalizzata l’attenzione per l’artista che viene dall’Est Europa. In questa edizione lo possiamo riconoscere nell’idea di coinvolgere l’artista polacco Paul Wirkus, uno dei massimi musicisti contemporanei elettronici, già nostro ospite per due edizioni, che ha curato materia sonora del terzo atto Il polmone di AENEIS, ricoinvolgendolo in un dialogo stretto e addirittura in una coproduzione. Anche il collettivo sloveno Via Negativa, presenti al LENZ TEATRO con molti lavori, sono un segno evidente della costruzione della nostra casa affettiva. Attraverso la loro riflessione estetica e poetica posso interrogarmi su quale sia la funzione non solo dell’artista, ma anche la funzione dell’artista che pensa il proprio fare con i mezzi che gli sono propri attraverso l’azione creativa. Altro artista est-europeo è Ivo Dimchev, coreografo, performer e attore bulgaro di straordinaria intensità e capacità auto-analitica. Una forma di auto interrogazione è anche quella agita dalla coreografa austriaca Doris Uhlich che nel suo Rising Swan, prendendo come punto di partenza la coreografia di Michel Fokine The Dying Swan interroga la sua capacità di divenire-cigno attraverso la propria povertà autobiografica. Su questo piano anche la presenza dei Kinkaleri con I AM THAT AM I, formazione che reputo simmetrica alla nostra per rigore e per spinta non esibitiva ma introspettiva, rappresentano un punto molto alto. L’incontro con SPELL, la nuova creazione di Zapruder è stata una folgorazione. Il desiderio che avevamo da tempo, di aprire Nd’T alla produzione filmica e all’installazione multimediale, aspetto che si sintonizza con l’imagoturgia di Francesco Pittito, si è finalmente concretizzato. La sensazione generale è quella di qualcosa che via via si inanella. E lo spettatore non l’ultimo di questa catena di presenze è l’ospite che arriva nella tua casa intellettuale e artistica e vive nella tua stanza di fronte a un quadro che si compone con esperienze non-analoghe.

 

Sono tutte esperienze artistiche che lavorano i limiti della rappresentazione fino a toccarne i punti di criticità. Il festival ha come sua natura primaria, e non da questa edizione, l’intento preciso di attivare dei processi di ricerca. La presenza di Cristina Rizzo ne è un chiaro esempio…

Ho sempre la sensazione che cose accadano per contiguità, quasi fisiche. L’avevo vista anni fa. E poi qui da noi Cristina Rizzo ha incontrato Eszter Salomon con cui poi ha collaborato. Devo dire all’inizio di averla solo guardata. Spesso il nostro lavoro è quello di guardare gli altri e di cercare di portarli a sé, sia in quanto attori e performer del tuo lavoro, sia come presenze del festival. Nel caso di Cristina quello che mi interessava, oltre al suo lavoro, era ed è la sua fisicità. In lei si rintraccia una sorta di estraneità alla presenza. In lei mi colpisce questo saper-non-esserci, piuttosto che esserci, che è una caratteristica dei grandi animali. L’elefante non c’è, perché se dovessi vedere la sua enormità ne sarei tramortito. L’elefante si sottrae alla presenza per enormità. Vedo Cristina così. È rarefatta e mi sembra enorme. Alla luce di queste caratteristiche ho avuto la netta sensazione che potesse avere un contatto diretto, una relazione frontale con l’animale. Le ho quindi consegnato un’idea di danza con un cane e la sua direzione molto acuta è stata poi quella di lavorare con un cane addestrato.
Credo che il nostro compito sia quello di predisporre incontri e amorosità, quindi riservarle una residenza – parola che reputo abusata se messa in relazione a certe pratiche – non è stato solo mettere a disposizione uno spazio, una tecnica, ma pre-disporre a un’idea. Questo è far risiedere uno nel proprio luogo. A casa propria. E con Cristina Rizzo, se ci saranno le condizioni, avremmo voglia di stare insieme più a lungo. E quindi di dare corso a questi incontri di NdT che pensiamo non come un progetto che si apre e si chiude in una settimana, ma uno spazio che diviene il progetto di LENZ, che dopo 20 anni di lavoro, di ricerche e di scoperte, si apre e rischia il contatto, rimuovendo quella paura di non sentirsi più adeguati al contesto. L’unica strada è l’apertura.

È in questa prospettiva che si possono leggere le collaborazioni che Lenz Rifrazioni ha attivato con musicisti di diversa provenienza per il progetto Aeneis?

Decisamente sì. Vedo distintamente ad esempio nell’incontro con gli OVO, formazione punk, molto dark, uno momento speciale di questo desiderio. Con loro c’è stata un’intesa assoluta. Abbiamo creato un’opera di 40 minuti con una creatività artistica indicibile. La scommessa era far incontrare due mondo apparentemente lontani, ma in quelle forme della ricerca musicale c’è una forma di rigore che molto spesso ci sfugge e molta scrittura. Ma proprio lì si opera un impasto vero. Un vero innesto. Non solo perché sono fisicamente in scena. Per me è stato come pensare a una scrittura mozartiana. Ho fatto tutte le prove sul Requiem di Mozart e poi sono arrivati loro e tutto aveva una sua giustezza. Questo è stato un movimento straordinario.

Ma Natura Dèi Teatri è un progetto che si colloca dentro il festival-cornice InContemporanea di Parma che lo mette in stretto dialogo con realtà teatrali diverse per attitudini, scopi e funzioni…

Nd’T è per il secondo anno, insieme a Zona Franca/Teatro delle Briciole e Fondazione Teatro Due, è uno dei tre volti di InContemporanea Parma festival che si propone come collettore capace di produrre, nelle differenze e in virtù di queste, inaspettate e risonanze e sinergie. Si tratta di una casa anche questa con piani separati ma in connessione. Le condizioni generali e gli eventi che hanno sconvolto Parma negli ultimi mesi non hanno consentito di poter sviluppare ulteriormente intrecci tra spazi, visioni, e pratiche, ma la cosa importante è mantenere una continuità, così che le realtà possano rafforzarsi l’una con l’altra. Per noi è importante che in un periodo relativamente breve ma corposo lo spettatore possa attraversare mondi molto diversi, percorrendo magari le proposte degli altri teatri attraverso il nostro punto di vista. Di fronte a tante separazioni o a forme di rottura questo segno di collaborazione, che comincia a essere riconosciuto anche a livello internazionale, è un valore da difendere a tutti costi.

http://www.lenzrifrazioni.it/visioni2011/-interview/52-cumuli-di-azioni-nella-casa-affettivaintervista

 
Sito realizzato con Joomla - Realizzazione grafica: Enrico De Stavola
condividi