| Dalla presentazione della 21. e ultima edizione: « ... dopo 21 anni di
attività, la crisi che investe le attività culturali in Italia ricade
anche sul nostro Festival, che va in scena probabilmente per l’ultima
volta ... In questi 21 anni il Festival
ha costruito la propria identità in maniera unica in Italia,
attraversando generi e mondi musicali difficilmente fruibili in altre
manifestazioni non radicate all’interno di un’istituzione
universitaria; istituendo un rapporto fecondo e vitale tra ricerca,
riflessione etnomusicologica e offerta di spettacolo. Con questo
obiettivo il Festival ha conservato e approfondito la tradizione
inaugurata in Italia soprattutto da Roberto Leydi, che fin dagli anni
Cinquanta è stato uno dei principali artefici di un modo peculiare di
intendere il rapporto tra attività di ricerca e una sua applicazione in
chiave concertistica di musiche di tradizione orale. Proponendo
segmenti di tradizioni vitali, non museificate ma in continua
trasformazione, secondo processi loro interni. Così la cultura dello
spettacolo, moderna, borghese, occidentale, ha incontrato quella del
rito, della musica funzionale, senza ridurla a scolorito specchio di sé
medesima. Oggi ... quando
l’accerchiamento culturale appare più che mai intenso, una rassegna di
musica di tradizione avrebbe forse anche più senso che in passato,
soprattutto perché racconta che le tradizioni esistono, si perpetuano,
si trasformano secondo procedimenti loro peculiari che poco o nulla
hanno a che fare con grandi eventi mediatici di riduzione di altre
culture al modello di comunicazione dominante. E perché le tradizioni
messe in scena forniscono strumenti per distinguere, per misurare le
distanze, per conoscere, per valutare, anche, la propria posizione
culturale in relazione a quella altrui. In certo modo, la riproposta in
concerto di musiche “altre” ha costituito un modello possibile di
relazione tra culture: perché il concerto è, di per sé, momento di
mediazione tra occasioni e funzioni diverse del far musica. ... »
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