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TEATRO DEI LIBRI

Marco Martinelli e Ermanna Montanari, Primavera eretica. Scritti e interviste: 1983-2013, Corazzano (Pisa), Titivillus, 2014, 331 pp.

 

 

[Marco De Marinis] Per il trentesimo compleanno del Teatro delle Albe, Marco Martinelli e Ermanna Montanari (cofondatori e anime storiche del celebre gruppo ravennate, assieme a Luigi Dadina e a Marcella Nonni) si sono regalati un libro, facendone dono in realtà a tutti noi, spettatori passati presenti e futuri del loro lavoro. Per la precisione i libri sono tre, perché, oltre a quello a cui questa scheda è dedicata, in occasione dei “Parlamenti di aprile”, svoltisi al Teatro Rasi di Ravenna dall'8 al 13 aprile scorsi, sono usciti anche (entrambi per Luca Sossella editore) Pantani di Marco Martinelli, cioè il testo teatrale che è all'origine dello spettacolo omonimo delle Albe, replicato ormai da due anni con grande successo in tutta la Penisola*, e Rosvita di Ermanna Montanari, un cofanetto con libro+dvd, riguardante i due lavori dedicati a distanza di molti anni (1991-2008) dall'attrice-autrice alla figura e al teatro della celebre monaca sassone vissuta nel X secolo.
Tornando a Primavera eretica, va detto che non si tratta certamente del primo libro sul Teatro delle Albe che Marco e Ermanna hanno pubblicato in questi tre decenni. Anzi, fra le tante caratteristiche che li contraddistinguono, v'è sicuramente quella di un'attenzione ininterrotta, né scontata né banale, ai rapporti fra la pagina scritta e la scena, fra documentazione-testimonianza-riflessione critica e lavoro artistico. Questa attenzione, che ovviamente va ben al di là del fatto che Martinelli è anche scrittore e drammaturgo oltre che regista (e in origine anche attore), li ha portati a produrre non pochi esempi di veri e propri libri-teatro piuttosto che semplici libri sul teatro; meglio ancora - per citare  una volta di più l'ormai classica proposta di Ferdinando Taviani - potremmo chiamarli teatri-in-forma-di-libro.


Ma questa volta è diverso. Infatti, nel decidere di ripercorrere con un volume i loro trent'anni come Teatro delle Albe, Marco e Ermanna (la cui militanza per la scena è comunque più lunga, visto che iniziarono insieme nel 1977 bolognese) questa volta hanno deciso di privilegiare le loro parole, le loro riflessioni, operando una scelta fra gli scritti e le interviste prodotti in quel lungo arco temporale. Scelta drastica e non facile, dal momento che si è trattato di lavorare su di un materiale diversificato e vastissimo, che di volumi avrebbe potuto riempirne tranquillamente tre o quattro.
Dal momento che avevano deciso di non scrivere nulla di nuovo e neppure (saggiamente) di riscrivere, i due autori si sono dedicati a un complesso e originale lavoro di montaggio, che ci ha restituito un libro inedito e avvincente, percorribile e consultabile in più modi, secondo l'estro del momento e gli interessi del lettore.

In realtà siamo di fronte a una nitida architettura, piena di ricercate corrispondenze. Meglio ancora, si tratta di un polittico a sette ante, tanti sono i capitoli che lo compongono, seguendo un andamento cronologico ma non in maniera rigida: Gli albori, Africa, Stabile corsaro, Non-Scuola, Alchimia scenica, Eresie, Dall'una all'altra voce.  E naturalmente i capitoli-ante sono sette come le t del celebre “Teatro politttttttico”, il provocatorio manifesto con cui i due irruppero in un (serissimo) convegno sul teatro politico organizzato da Giuseppe Bartolucci a Narni nella primavera del 1987 (in questa raccolta figura come secondo testo).
Ai  sette capitoli-ante del polittico corrispondono altrettante postfazioni del critico Massimo Marino, “che accompagn[ano] ogni capitolo con spirito differente”, svariando “dalla memoria alla testimonianza, dal sogno alla lettera, dalla riflessione alla visione” (p. 26). Completano il volume la teatrografia e una preziosa appendice fotografica.

Entrare nel merito di questo libro non è certamente il compito della presente, breve nota, anche perchè significherebbe né più né meno che fare i conti con l'intero percorso teatrale delle Albe e non è cosa che si possa risolvere in poche parole.
Preferisco allora continuare a giocare il gioco del sette, condensando in altrettanti punti, progressivamente più lunghi, quella che è, per me, la lezione del Teatro delle Albe e di Ravenna Teatro di Ermanna e Marco (ma anche di Luigi e Marcella, delle Albe Nere e soprattutto della nuova generazione: Alessandro Argnani, Roberto Magnani, Michela Marangoni, Alessandro Renda, Laura Redaelli e altri ancora - perchè, come scrivono gli autori nella Premessa, “ogni nostra impresa individuale è anche impresa collettiva, e viceversa. E' il privilegio di vivere tra eguali, inter pares”).

1. Nulla è meno serio della seriosità (pedanteria), nulla è più serio del gioco (Totò come antidoto ad Artaud, ma anche viceversa).
2. E' nei giovanissimi il “segnale segreto dell'avvenire” (Benjamin), nonostante tutto (playstation, reality shows e Facebook compresi)
3. Bisogna sempre fare attenzione a non buttare via il bambino con l'acqua sporca (a proposito del testo teatrale, ma anche dell'attore).
4. Non si danno autentici avanzamenti, e dunque non c'è vero futuro, senza cura della memoria: fare i conti col Novecento teatrale non significa né museificarlo né mitizzarlo ma neppure rimuoverlo (damnatio memoriae).
5. Un teatro degno di questo nome non è mai soltanto un contenitore di spettacoli (per altro fondamentali) ma è anche e soprattutto un ambiente, una enclave, dove la cultura e l'arte diventano un modo di vivere, di stare insieme, di fare comunità; dove i libri (certi libri, almeno) non sono meno importanti degli spettacoli e gli studiosi (certi studiosi, almeno) vi sono apprezzati veramente (non strumentalmente). Insomma, un vero teatro è bottega d'arte e casa dello spettatore insieme (secondo l'indicazione di Leo de Berardinis).
6. La “non-scuola” è in realtà la vera scuola, ciò che la scuola dovrebbe sempre essere (non riuscendoci quasi mai): un tempo-spazio in cui ci si incontra alla pari, fuori da ogni logica gerarchica-impositiva-autoritaria; dove tutti imparano da tutti, gli allievi dagli insegnanti ma anche e non meno gli insegnanti dagli allievi; dove tutti sono attivi e si apprende facendo; dove nessuno pretende di cambiare nessuno, di imporre modelli o nozioni, e il cambiamento e la crescita avvengono nel lavoro e non nell'indottrinamento (secondo le visioni e le esperienze pratiche dei grandi pedagogisti riformatori del secolo scorso: da Maria Montessori a Célestin Freinet, da Don Milani a Paulo Freire).
7. Il fatto che la scuola (università compresa, purtroppo) di solito sia il contrario di tutto questo non significa che una scuola simile non debba e non possa esistere e che il teatro, nel senso più dilatato del termine, per esempio come “teatro delle interazioni sociali” (tanto caro a Claudio Meldolesi), non possa dare un enorme contributo in tal senso. Già Jacques Copeau lo aveva dimostrato con le sue esperienze teatral-pedagogiche e con quelle dei suoi continuatori (Chancerel etc.). In Italia l'animazione teatrale, almeno agli inizi, nei suoi momenti migliori, con Giuliano Scabia soprattutto, è stata un esempio illuminante di pedagogia attiva e di creazione realmente partecipata. Oggi c'è - fra pochissimi altri, come lo straordinario teatro infantile di Chiara Guidi - il luminoso esempio della “non-scuola” delle Albe, con la sua quasi incredibile capacità di sfruttare l'alto potenziale formativo, insito, nel gioco teatrale. Dico questo senza voler affatto indulgere in visioni idealizzate o idilliache, consolatorie o accomodanti: sono ben consapevole che esperienze del genere comportano difficoltà, errori, delusioni, nessuna certezza di risultati e anzi il rischio costante del fallimento. Ma è anche, o forse soprattutto,  in questo che si annida l'aspetto esaltante, inebriante (le Albe direbbero dionisiaco) di ogni autentica esperienza creativa e pedagogica, che è sempre - essenzialmente - avventura, viaggio nell'ignoto, esperienza dell'alterità.

Al prossimo anniversario, Albe carissime!

 

 

* Cfr. anche il “Dossier Pantani” a cura di Gerardo Guccini nel n. 22, 2013, di “Culture Teatrali” (Realtà della scena. Giornalismo/Teatro/Informazione, a cura di Marco De Marinis), pp. 106-162.

 
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