Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Lettera di accompagnamento per un dossier teoretico e Ôarcaico'

 

THIERRY SALMON E I NUOVI GRUPPI: DISCORSI NELLO SPAZIO SCENICO
Cronache del progetto "Crisalide-Eventi di teatro" (Bertinoro, luglio-agosto 1997), di Paolo Ruffini

 

APPARTENENZE

Alcuni interventi sparsi (siamo già nelle giornate aperte al pubblico) riportano la discussione sul piano delle possibilità di trovare ognuno il proprio luogo di lavoro, e quindi di appartenenza, e tra questi Alberto Masala parla di spazio interiore, mentre Anton Roca (che ha presentato un'azione visivo-performativa dal titolo Verba volant, del linguaggio e della diversità) chiarisce la sua posizione di attante che vive uno spazio. Ricordano invece la storia anomala e sempre sul limite dell'urgenza sociale e di lavoro alcuni rappresentati del Link di Bologna e di Interzona di Verona: spazi autogestiti, di confluenze culturali che mescolano ritmi e saperi urbanizzati, producendo informazione fuori dai vincoli del mercato e dell'omologazione. Si aggiunge una testimonianza di Daniela Nicolò del gruppo Motus: "Interzona è uno spazio particolare, uno spazio scenico, una struttura architettonica che ha una potenza incredibile con cui è veramente interessante confrontarsi. Il nostro lavoro era nato per Interzona (L'occhio belva), quindi è stata un'esperienza in cui abbiamo cercato di relazionarci alla cella frigorifera, di attraversarla, di viverla in ogni angolo, con le luci, con il suono e con l'azione. é stato qualcosa che ha spostato il nostro stesso modo di lavorare: alcuni luoghi sono così potenti che richiedono una relazione, non possono essere usati solo come contenitori".

Thierry Salmon: "Rispetto all'abitare un'esperienza, io faccio fatica a lavorare nella casa di qualcun'altro. Per me il nomadismo è diventato un modo di vivere, quasi un obbligo, una condizione".

Raimondo Guarino: "Che idea di spazio si porta dietro il nomadismo?".

Federica Fracassi: "Penso che per me, per avere una visione del mondo è necessario l'attraversamento di molti mondi possibili, ricercando una continuità del lavoro in vari territori, e il nomadismo è all'interno dei diversi spettacoli che ognuno fa. é proprio abitando diversi luoghi ma anche attraverso diversi lavori e portandosi dietro i brandelli di questi mondi che si crea e costruisce una visione del mondo. A questo punto credo sia importante dire che questo è anche un dovere per un attore. Ad esempio come attrice, quando mi trovo a lavorare in uno spazio che è stato progettato non da me ma da altri, lo spazio arriva prima di me e io vengo inserita in questo spazio come in una scatola. C'è sempre però un dialogo, una possibilità che io intervenga su questa scatola, dandomi una mia visione di questo luogo. E d'altra parte io posso dare una visione del luogo solo a partire da lì, e quindi il mio tempo è proprio nello spazio, la mia memoria si costruisce di volta in volta".

Raimondo Guarino: "La causa della fedeltà irriducibile a un luogo unico, a un'intenzione originaria, nel modo di operare di molti gruppi, si contrappone a una dose di mimetismo, di camaleontismo: ci può essere un nomadismo che abbiamo chiamato un nomadismo di case volanti, di case che comunque sono la propria casa ma che hanno una natura costante e quindi implica una determinata e faticosa antieconomia del nomadismo".

Lorenzo Bazzocchi: "Che il nomadismo sia una dimensione per assumere un'altra faccia, un'altra possibilità di trasporto di un mondo?".

Vito Minoia: "Volevo sottolineare il fatto che in Italia abbiamo un grande problema e cioè che non ci sono spazi dove i gruppi teatrali abbiano la possibilità di sperimentare liberamente. Io vivo nelle Marche, una regione dove esistono un centinaio di teatri storici, parlo di teatri con concezioni ottocentesche, all'italiana, e adesso si stanno spendendo tantissimi soldi ed energie nel recuperare questi spazi. Non metto in dubbio l'importanza del recuperare un bene architettonico, però tutte queste energie ovviamente non vanno a beneficio di chi probabilmente potrebbe sperimentare in altre direzioni. Quando Raimondo mi chiedeva una parola chiave per intervenire sullo spazio scenico mi veniva in mente Ôobiezione di coscienza'. Dico questo pensando ad una azione che abbiamo fatto tanti anni fa in università ad Urbino, perchè il nostro gruppo è nato in un ambiente universitario e ha operato per difendere uno spazio. Abbiamo occupato una sala dove allora svolgevamo la nostra attività e che ci ha permesso di esistere come gruppo, l'abbiamo occupata perchè l'amministrazione universitaria voleva impiantarci delle sedie fisse, trasformandola in una sala convegni o cinematografica. Queste poltrone fisse sono ancora negli scantinati e da allora ad oggi in quella sala sono passati decine e decine di spettacoli che l'anno utilizzata nei modi più svariati. Noi stessi abbiamo organizzato dei laboratori sulle competenze specifiche della possibilità di utilizzare questo spazio partendo dalla motivazione legata allo spazio sonoro o a quello delineato dall'azione dell'attore, che è un po' quello che contraddistingue maggiormente il nostro modo di creare, dove il corpo dell'attore ha una centralità. E una delle cose più interessanti uscite in questi giorni di confronto con Thierry è stata quella della possibilità di creare collettivamente anche quando esistono una serie di competenze riguardo allo spazio scenico; credo si possa usare il termine creazione collettiva, perchè in fondo ognuno con la propria esperienza, il proprio punto di vista, contribuisce alla trasformazione del progetto di uno spazio scenico".

Raimondo Guarino: "Veramente c'è un grande scialo, un grande rischio di dispersione di energie per cui se da una parte esiste la grande eredità archeologica di uno spazio teatrale, che può essere comunque rianimata da certe modalità di intervento, il modo in cui si intende la ristrutturazione o la riabilitazione degli spazi sappiamo bene che poi è quasi fatalmente destinato a imbalsamare anche le virtualità contenute. Uno spreco di risorse e di attenzione. Si potrebbe ricordare che l'anima di certi spazi teatrali la si può ricostruire, ripercorrendoli storicamente e ideologicamente come luogo dell'affermazione dei ceti egemoni. Il nomadismo teatrale interseca nel suo meccanismo complesso certi spazi che sono d'altra parte codificati, costruiti e definiti secondo le intenzioni dei cittadini e non dei nomadi, che sporadicamente li occupano. Se noi facciamo la ricognizione documentaria abbiamo un minimo di apertura percettiva rispetto alla vastità dei processi implicati del lavoro teatrale. Ci accorgiamo di una sproporzione vertiginosa: quello che immaginiamo essere il teatro in base a quell'eredità, da una parte ricopre una quantità infima di fatti di spettacolo, dei momenti di espressione di intervento dei soggetti del teatro; dall'altra, appunto, se studiamo la storia di quei luoghi, ci accorgiamo che erano il luogo della festa borghese, festa aristocratica prima e poi borghese. Da una famosa tela al Louvre che rappresenta il Teatro Argentina, in occasione dei festeggiamenti per il battesimo del delfino di Francia intorno al 1750, percepiamo questo: la sala teatrale, il teatro che abbiamo in mente, come lo chiamava Fabrizio Cruciani, è qualcosa che funziona senza la presenza degli uomini di teatro, degli artisti di teatro, ma viene occupato e consumato da immagini di potere".

Lorenzo Bazzocchi: "Stavo pensando di poter individuare quello che abbiamo chiamato spazio origine: il mio spazio origine è nel luogo della solitudine, perchè sento che condiziona il posizionamento del luogo dell'attore del mio lavoro. Come se effettivamente avessi sentito passare su di me la parola totem di questo luogo monolita. Non un monolita che blocchi la vitalità, forse un totem evocativo. In questo luogo originario di solitudine vi è anche l'attenzione dello spettatore".

Raimondo Guarino: "Alla fine della formulazione della problematica riguardante lo spazio scenico, che cosa c'è in principio? In principio, possiamo dire, era l'azione, quel qualcosa che si muove in questo spazio originario. L'azione è reale, è credibile attraverso delle svolte, così lo spazio attraverso un impulso originario. Tutti gli interventi sono tesi alla ricerca di questa realtà, di questa credibilità. Così Nicola dell'Accademia degli Artefatti, parla del suo lavoro di attore rispetto allo spazio nella composizione di uno spettacolo, diceva in termini molto nitidi che lo spazio ha composto l'azione. Quando Thierry ha parlato dell'attore, ovviamente, non ha parlato soltanto del livello dell'azione; ha parlato della capacità di apertura che è possibile solo in un luogo che appartiene e a cui si appartiene. C'è un orizzonte in cui non esiste la contraddizione tra preparare il luogo, imprimere nel luogo il proprio sguardo, e aprirsi in questo luogo e attraverso questo luogo: una condizione per cui lo spettatore è in vita e fa un'esperienza reale in un luogo, stando seduto, camminando nello spazio. Il senso è anche nella ricerca del primo sguardo da parte dello spettatore, uno sguardo nuovo che cambia la sua relazione con lo spazio".

Presentazioni

Gli spettacoli, una cartografia di idee

Commenti e altri pensieri

Appartenenze

Congedi

 


Ritorno alla pagina precedente

Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna