martedì 24 aprile, h 21 | Aula absidale
BIRILLI, FIABE, INCANTI
Andrea Massimo Grassi, clarinetto
Daniel Palmizio, viola;
Anna Quaranta, pianoforte
Con il Kegelstatt-Trio («Trio dei birilli»), composto il 5 agosto 1786, Wolfgang Amadé Mozart dà vita a un organico strumentale originale e singolare, una nuova formazione cameristica che crea un inconsueto accostamento del clarinetto alla viola e al pianoforte. L’inusuale complesso da camera si avvale in questo modo della capacità del clarinetto di amalgamarsi con gli altri strumenti, sia per intensificarne il suono, sia per conferire ai diversi timbri un particolare fulgore.
Il Trio dei birilli fu scritto dal trentenne Mozart in assoluta libertà, durante la prospera fase viennese della sua maturità. Il titolo dell’opera richiama l’occasione in cui venne composta: una partita a birilli in casa di un amico, il celebre botanico Jacquin. Probabilmente la volontà di rendere omaggio agli amici fu proprio la motivazione che spinse Mozart a ideare questa nuova formazione strumentale, in grado di dar spazio alla propria abilità di violista, ma soprattutto a quella di un’altra vecchia conoscenza, il virtuoso di clarinetto Anton Stadler, e di un’allieva, la pianista Franziska von Jacquin. Questo Trio in Mi bemolle maggiore segue una struttura singolare in tre tempi: Andante, Minuetto e Rondò. Nell’Andante domina un’atmosfera idilliaca, contrassegnata dalla condotta imitativa delle parti che, se da un lato conferisce equilibrio al brano, dall’altro mette in risalto le peculiarità timbriche dei tre strumenti. Il Minuetto seguente ha invece un carattere vigoroso e incisivo; fa eccezione l’intenso Trio centrale, in cui un breve motivo struggente è accompagnato da una figurazione in terzine; il transito di questi due elementi nelle tre parti strumentali ne consente la riproposizione nei diversi registri. Conclude il lavoro un rondò aperto da una melodia assai cara a Mozart, derivata dalla Dardane di Paisiello. Il Kegelstatt-Trio è un’autentica conversazione in musica: i tre strumenti dialogano tra loro elargendo splendidi momenti di cantabilità e tenerezza, ma anche attimi di malinconica espressività.
Nel 1853, presumibilmente con l’intento di rendere omaggio a Mozart, Schumann impiegò la stessa formazione strumentale per le sue Märchenerzählungen («Narrazioni di fiabe»). I quattro pezzi dell’op. 132, dedicati all’allievo e amico Albert Dietrich, furono gli ultimi da lui composti prima del tentato suicidio nel febbraio dell’anno seguente. Nonostante la suggestione letteraria del titolo, i singoli brani non recano, come altrove, riferimenti a precisi spunti sottesi alla loro ispirazione. Assieme agli interpreti, sta all’ascoltatore ricreare il racconto fiabesco, nell’alternanza di accenti lievi ed affettuosi con altri più cupi ed agitati, a tratti addirittura ossessivi: dall’atmosfera lirica del Vivace non troppo rapido, al più drammatico Vivace molto marcato; dal sognante Tempo tranquillo – un intenso, incantato “notturno” – al tono energico e baldanzoso del finale, di nuovo indicato Vivace molto marcato.
Sulla scia dei pezzi “fiabeschi” e del Kegelstatt-Trio, nel 1910 il compositore tedesco Max Bruch scrive gli Acht Stücke op. 83, per il medesimo organico strumentale, suggerendo però in alternativa altre due possibili formazioni: oltre al pianoforte, rispettivamente violino e viola oppure clarinetto e violoncello. Gli Otto Pezzi segnano il ritorno di Max Bruch alle composizioni da camera, dopo una lunga sospensione durata quasi mezzo secolo. Ispiratore del lavoro fu probabilmente il figlio del compositore, Max Felix, un talentuoso clarinettista: nell’op. 83, infatti, il clarinetto e la viola primeggiano nel canto, sostenuti da una florida tessitura pianistica, che avvolge di tinte armoniche cangianti il crepuscolare impasto timbrico.
Valentina Raccuglia
Laurea magistrale in Discipline della Musica
coordinamento e redazione
Maria Luisi