Il palazzo Brazzetti, anticamente chiamato Marescotti, risale probabilmente al sec. XV, ma la bibliografia attuale tende a identificare la sua edificazione con la metà del sec. XVI, periodo della ricostruzione – avvenuta in seguito alla rovina del 1508 – per opera del capomastro Giovanni Beroaldo. Un’edificazione che si è protratta nel tempo, ma che non ha mai concluso la facciata su via Barbaria, come veniva anticamente chiamata la via Barberia, per le sue caratteristiche insediative di estrema povertà.
L’interrotta vicenda architettonica di palazzo Marescotti s’inserisce nel ricco patrimonio di sedi costruite a Bologna nel Cinquecento da mercanti, possidenti e nobili non appartenenti all’aristocrazia senatoria; questa realtà edilizia si caratterizza morfologicamente come punto di transizione fra il palazzo e la casa del cittadino.
Il fronte di palazzo Marescotti, anche nella sua incompletezza, si pone nella scia della più antica tradizione architettonica e costruttiva locale.
In analogia con le costruzioni coeve, e stanti le indicazioni fornite dalle regole geometriche che disciplinavano le dimensioni dei vari elementi architettonici del prospetto, si può avanzare un ideale e sommario completamento della facciata. Avrebbe dovuto trattarsi di un esteso fronte, con una lunga sequenza di finestre al piano nobile, separata da una fascia marcapiano e da una serie di finestrine del sottotetto.
La composizione della facciata, in assenza del piano nobile, coincide col porticato, emblema architettonico e urbanistico di Bologna, e con la preziosità delle decorazioni in cotto, dei capitelli scolpiti in arenaria e dei portali.
In palazzo Marescotti è tipicamente bolognese anche l’impianto distributivo caratterizzato da una lunga loggia passante al pianterreno, tangente al cortile d’onore; schema frequente per gli edifici della città, persino in quelli più minuti.
Palazzo Marescotti viene ristrutturato negli anni ’80 del Seicento, periodo nel quale molte famiglie senatorie bolognesi sentono la necessità di dilatare, a volte enfaticamente, gli spazi interni dei palazzi dove si svolgono le cerimonie connesse con l’assunzione di cariche pubbliche, a seguito della divisione della proprietà fra i due rami della famiglia.
Gian Giacomo Monti, architetto di prestigio a Bologna a metà Seicento in quanto progettista dei portici di S. Luca, arricchisce il palazzo con lo scalone a due rampe contrapposte, magistralmente integrato con le logge del pianterreno e del piano nobile, e rivede l’organizzazione degli spazi dell’ala a sud del primo piano, implementando i volumi e abbellendoli con elementi decorativi.
Dopo un periodo di lungo declino, nel dopoguerra l’edificio è divenuto il riferimento più importante della politica cittadina, in quanto sede della Federazione Provinciale del PCI, e di Istituti ad essa collegati, quali l’Istituto Gramsci e la redazione del giornale «l’Unità».
In quell’occasione, palazzo Marescotti ha subìto modifiche e alterazioni dell’impianto originario, per garantire la funzionalità delle attività insediate; in particolare, sono stati ripartite mediante tramezzi le grandi sale al piano terra, ed è stata completamente sostituita la copertura del corpo di fabbrica su via Barberia, per ricavare un terzo livello abitabile, dotato di un sistema di lucernai orizzontali, incompatibili con la conservazione dei caratteri ambientali del centro storico bolognese.
Nello stesso periodo, l’ala che confina col cortile adiacente a via Collegio di Spagna, in corrispondenza delle Sale delle Colonne e del Camino, è stata sopraelevata; i piani superiori sono stati destinati ad abitazioni.
Il Palazzo, con alcuni vani esterni ubicati attorno al cortile interno carrabile con accesso da via Collegio di Spagna, sono stati acquistati dalla Fondazione Irnerio s.r.l. il 10 febbraio 1997 e destinati al Dipartimento di Musica e Spettacolo.
Palazzo Marescotti ha una morfologia planimetrica pressoché quadrata ed è arricchito da due corti interne. Il sistema dei connettivi orizzontali e verticali è costituito dall’androne passante, tangente al cortile d’onore, che si sviluppa da via Barberia al cortile interno carraio condominiale, dallo scalone monumentale a rampe contrapposte, e da alcune scale interne che collegano il piano nobile ai piani superiori.
Le premesse metodologiche nell’intervento di restauro
Ogni opera di architettura ha un valore unitario; in essa le componenti vitruviane – forma, materia, funzione – si giustificano a vicenda, si esaltano e trascendono i limiti angusti dello spazio fisico per conquistare i confini illimitati dello spazio umano.
Ogni opera è inoltre il risultato dell’evoluzione della cultura architettonica (della tradizione) e riassume, afferma e mantiene attuali le opere del passato, le sottrae al malinconico destino delle cose che suscitano un mero interesse “archeologico”; essa va vista come punto di partenza per ogni nuova conquista, in virtù di un continuo processo di chiarificazione e di una continua precisazione di forme.
In architettura, lo spazio – nelle dimensioni, nell’articolazione, nelle gerarchie figurative e funzionali, nel momento della fruizione – è forse la componente che meglio consente di esprimere i principii ideologici e comportamentali propri dell’istituzione umana che ha voluto l’opera e, in conseguenza, di promuovere particolari sensazioni nella sua percezione.
D’altro canto, il modello d’uso dello spazio, la sua modalità di fruizione, condiziona strettamente la struttura dello spazio interno e dunque la sua dinamicità, il rapporto col tempo e con la dimensione umana.
Per questa ragione un rigoroso progetto di recupero di un’opera di valore storico e artistico ha tra i suoi primi obiettivi quello di definire un modello di organizzazione delle nuove attività compatibile con la morfologia organizzativa originaria degli spazi, e di riproporre e valorizzare le gerarchie fruitive e percettive dell’impianto iniziale.
In altre parole, un progetto di recupero non ha soltanto l’obiettivo di far collimare le regole geometriche, dimensionali e topologiche che caratterizzano i modelli di organizzazione spaziale e tecnologica dell’esistente e del progettato, ma anche quello di conservare e valorizzare la concezione psicologica, simbolica e comunicativa dell’impianto spaziale.
Ciò è tanto più vero per le emergenze storiche, quali palazzo Marescotti, che si caratterizza per la mole, la monumentalità e la specificità d’impianto, per le opportunità di sperimentazione tecnologica che ha offerto e per l’importanza che ha avuto nell’ordinamento morfologico della città.
Le scelte progettuali
In quest’ottica, i principii informatori assunti nel progetto di restauro conservativo di Palazzo Marescotti sono stati quattro.
(1) Conservazione dell’impianto distributivo originario (o storicizzato) dell’organismo architettonico e dell’unitarietà degli spazi di valore storico, simbolico, monumentale, decorativo.
Il progetto ha recuperato la struttura organizzativa originale degli spazi e le loro caratteristiche dimensionali, compromesse da una serie di interventi edilizi finalizzati a frazionare i volumi per ottenere ambienti più piccoli ovvero una maggiorazione della superficie utile. Il recupero dei volumi originari è avvenuto attraverso la demolizione dei soppalchi ricavati negli ambienti voltati, delle pareti di divisione e delle sovrastrutture fisse utilizzate per specializzare l’uso di alcuni spazi.
L’esigenza di garantire l’indipendenza funzionale degli spazi comunicanti è stata soddisfatta inserendo nei vani originari volumi di modesta entità che non interrompessero l’intera percezione dello spazio. Il loggiato al piano terra, che circoscriveva il cortile d’onore su tre lati, è stato recuperato attraverso la stamponatura degli archi sulla parete a ovest.
(2) Ottimizzazione di un modello di organizzazione delle attività dipartimentali compatibile con la morfologia originaria degli spazi, la loro concezione simbolica e comunicativa, le soluzioni tecniche originarie.
L’intenzione progettuale di distribuire al piano terra le funzioni a maggior afflusso di studenti e visitatori, quali la didattica (almeno in parte), i servizi agli studenti e la biblioteca – al fine di semplificare gli interventi atti a garantire la conformità alla normativa di sicurezza e di prevenzione incendi dell’edificio e per ridurre l’impatto sugli elementi tecnologici originari – è stata soddisfatta, compatibilmente con l’articolata distribuzione ai piani terra e nobile degli spazi di maggior dimensione e valore monumentale e semantico.
Il piano interrato, accessibile dal piano terra attraverso un’ampia scala sottostante a una rampa dello scalone e da una piattaforma elevatrice, è stato destinato ai servizi igienici per gli studenti, alle centrali tecnologiche, alla distribuzione della rete degli impianti e ad archivio per la biblioteca sovrastante, dopo un massiccio intervento di adeguamento statico delle murature e di drenaggio delle lenti di acqua superficiale.
Nella zona a ovest dell’androne a pianterreno, caratterizzata da una notevole compattezza del sistema degli spazi, conseguente alla modestia del numero e delle dimensioni dei percorsi di distribuzione, è stata ubicata la biblioteca dipartimentale, mentre la rimanente superficie del piano terra è destinata ad atrio e a spazi di didattica applicata.
Al piano primo, le aule sono ricavate nella zona opposta a via Barberia, dove sono ubicati gli spazi di rappresentanza di maggiore dimensione e rilevanza artistica, tutti con copertura voltata; mentre gli spazi rimanenti sono destinati a uffici amministrativi, studi dei docenti, servizi igienici e alloggio del custode. Il secondo piano è destinato unicamente a studi dei docenti del Dipartimento.
(3) Individuazione e valorizzazione delle superfetazioni storicizzate e l’eliminazione di quelle incongrue.
L’intervento di rifacimento della struttura lignea originaria della copertura del corpo di fabbrica su via Barberia è stato considerato irreversibile, mentre le prese di luce zenitali sulle falde del tetto sono state drasticamente ridotte e parzialmente sostituite con l’esecuzione di una terrazza ricavata nella falda che si affaccia sul cortile secondario.
(4) Conservazione dell’unitarietà tecnologica dell’apparecchiatura costruttiva, eliminazione delle patologie edilizie, adeguamento delle condizioni igienico-ambientali degli spazi.
Al di là degli interventi finalizzati al recupero dell’impianto morfologico-distributivo originario e di quelli relativi alla conservazione statica del sistema costruttivo, gli interventi più importanti hanno riguardato:
- l’inserimento di un impianto di sollevamento meccanico per handicap al servizio del piano primo;
- lo spostamento dei locali destinati alle centrali tecnologiche in un volume interrato ricavato al di sotto del cortile d’onore, onde rispettare le norme di limitazione dell’inquinamento dai campi elettromagnetici e di sicurezza degli impianti;
- la sostituzione dei pavimenti incongrui dei vani con quelli di veneziana, e dei pavimenti dell’androne e del cortile con listelli di cotto;
- il restauro delle pavimentazioni di veneziana delle sale monumentali del primo piano, interessate da numerose lesioni;
- il restauro degli infissi esterni e interni delle sale monumentali e la sostituzione dei rimanenti;
- il rifacimento dell’impianto di riscaldamento e di quello elettrico;
- l’esecuzione dell’impianto di climatizzazione degli ambienti interrati e di raffrescamento della biblioteca dipartimentale, degli studi dei docenti e degli uffici amministrativi;
- il rispetto della conformità alle norme di prevenzione incendi nell’intero edificio.