Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Esercizio 2a

Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di laurea in Discipline dell'Arte, della Musica e dello Spettacolo / Indirizzo Musica
a. a. 1999/2000

STORIA DELLE TEORIE MUSICALI – Dott. MAURO MASTROPASQUA

Esercizio 2a (a. a. 1999/2000)

 

Analisi motivica. Definizioni e norme pratiche

I

Nelle pubblicazioni musicologiche, quasi ogni analisi dei processi motivico-tematici (variazione evolutiva, ovvero "in divenire" ovvero "in sviluppo": traduzioni dei termini schönberghiani developing variation, entwickelnde Variation) segue una duplice prassi. Le strutture motiviche rilevate dagli analisti possono essere, da un lato, evidenti all’ascolto o alla rappresentazione mentale di chi legge una partitura e ne immagina il risultato sonoro; dall’altro, latenti, ossia rintracciabili solo con un’indagine minuta del testo musicale, e rimanere impermeabili alle normali facoltà uditive. Le analisi motiviche hanno spesso uno statuto oscillante tra uno dei due poli "latenza/evidenza" (ed è a volte arduo affermare con sicurezza che un’affinità di sostanza motivica rilevabile tra due figure sia proprio qualcosa su cui l’attenzione dell’ascoltatore si incentrerebbe, oppure negarlo). Tuttavia, questo modello di descrizione del lavoro analitico si dimostra efficace, nel senso che è aderente alla prassi che si segue nell’analisi di un brano, e ai giudizi che si esprimono su di essa, come anche, in generale, al tenore delle discussioni che alcuni tipi di analisi fanno sorgere. Intenderemo quindi la differenza tra evidenza e latenza nel senso di "udibile/non udibile", o meglio, di "relazione motivica avvertibile/non avvertibile" (non necessariamente ad un primo ascolto o ad una prima lettura) da un ascoltatore almeno in parte avvezzo a cogliere il senso di una relazione motivica tra frasi musicali. Il significato dell’aggettivo "senso musicale" in questo contesto, per essere adeguatamente descritto, richiederebbe una lunga argomentazione. Ci si può schematicamente riferire qui a ciò che è relativamente semplice e memorizzabile, secondo leggi (gestaltiche) di pregnanza o "buona formazione" che dipendono da schemi mentali, abiti conformati sulla conoscenza degli stili e dei sistemi generali della musica. Non prenderemo in considereremo, quindi, un’altra possibilità terminologica pur legittima - ossia la possibilità di definire "evidenti" le strutture che, pur non essendo immediatamente intuibili all’atto dell’ascolto, sono oggettivamente rilevabili in una partitura grazie alla sua lettura e al suo studio (cfr. punto III).

II

A volte, la coppia "latenza/evidenza" viene identificata con quella "strutture di superficie/strutture profonde". Anche in questo caso si tratta di un modello che il più delle volte corrisponde alle premesse concettuali di chi analizza una musica, alla sua esperienza, e alle operazioni interpretative che compie. Tuttavia, questa identificazione tra le due coppie di termini non ha validità generale. Possono infatti anche esistere strutture ben poco udibili ma appartenenti ad una dimensione di superficie della musica e, viceversa, strutture che vengono giudicate "profonde" (nascoste nella trama musicale e/o tra loro distanti nel decorso temporale) ma che, se sono piuttosto semplici e nettamente delineate, possono risultare evidenti all’ascolto e alla memoria musicale (questo secondo caso è molto più raro del primo).

III

Non può avere alcun valore di verità affermare che solo il primo tipo di strutture, cioè quelle evidenti, costituisca un dato di fatto del testo musicale così come viene esperito o concepito. In altre parole, il puro rilievo "sulla carta" di strutture e relazioni tra i motivi di un brano, non è necessariamente priva di rilevanza sul piano conoscitivo per il solo fatto di riguardare una dimensione della musica che non si può cogliere all’ascolto o eccede le nostre facoltà rappresentative. La circostanza che l’analisi di strutture latenti, il più delle volte, conduca effettivamente a risultati affatto dubbi o a cui è comunque difficile attribuire un senso, dipende da diversi fattori, che non si possono indagare qui dettagliatamente. Le cause principali di questi "busillis" analitici sono l’adozione di modelli teorici aprioristici (in cui l’analisi diventa una prassi autoreferenziale, una meta-analisi tesa a confermare la teoria da cui proviene), dalla mancata commisurazione tra mezzi e scopi analitici, dalla noncuranza per la necessità di far diventare l’analisi una prassi filologicamente corretta ed epistemologicamente fondata su criteri di verosimiglianza e plausibilità (ossia tenendo conto delle intenzionalità psichiche poste normalmente in essere quando si ascolta, si immagina, si compone della musica). D’altronde, l’empatia (Einfühlung) che si stabilisce tra l’interprete e il testo che ha di fronte non è un principio meno scientifico di altri solo perché non è quantificabile con grafici e tabelle o non se ne possono imbrigliare le modalità in un manuale. È anche vero che, come spesso accade nelle scienze umane, è molto più difficile dire perché un’interpretazione (nel nostro caso il rilievo di strutture latenti della musica) sembri corretta, piuttosto che individuarne una sicuramente sbagliata. Non esistono descrizioni esaustive dei modi in cui si possa costruire un’analisi della latenza che si dimostri rilevante sul piano conoscitivo (ad esempio, il cui statuto di dato di fatto del processo compositivo possa essere detto verosimile), a meno che non si tratti di realtà quantificabili, di cui non si può mettere in dubbio l’oggettività. Questo accade, in genere (ma non sempre) nel caso di strutture isoritmiche, canoniche, seriali, o contrappuntistiche quali inversioni, retrogradazioni, e inversioni retrograde: esse esistono indipendentemente dal fatto che siano udibili o meno

A proposito di queste ultime, e in generale come premessa necessaria alla comprensione di quanto segue, si consiglia una lettura particolarmente attenta del paragrafo su Il motivo, in: L. Azzaroni, Canone infinito, Clueb 1997, pp. 332-344.

IV

Ai nostri fini (ossia per la risoluzione degli esercizi proposti all’esame), saranno necessari: a) il solo rilievo di strutture motiviche e di processi di variazione evolutiva evidenti, e b) l’indicazione di tali strutture e processi preferibilmente con una rappresentazione grafica, da realizzare sugli stessi esempi musicali distribuiti alla prova d’esame.

Le norme per questa rappresentazione grafica sono illustrate ai successivi punti V e VI.

Gli esercizi da svolgere sono scelti in base ad una certa perspicuità delle caratteristiche motiviche e della loro elaborazione. Ci si troverà di fronte a brevi passi musicali il cui inizio reca un tema le cui forme-motivo devono essere desunte in base al processo di variazione evolutiva attuato nelle battute successive. Una volta compresa la natura del processo motivico in corso, si scelgono i simboli grafici per rappresentarlo adeguatamente.

V

Negli esercizi da svolgere in sede di esame l’analisi della variazione evolutiva, da rendere graficamente, sarà condotta in conformità a due parametri: diastemazia e ritmo (vedi i successivi punti a e b). Non è necessario indicare i gradi armonici o le funzioni (questo non vuol dire che la comprensione della natura armonica dei passi proposti non sia necessaria per comprenderli, anche perché l’armonia è uno dei parametri fondamentali con cui si "varia" un motivo e se ne rappresenta, secondo i termini di Schönberg, l’"evoluzione" o il "destino").

a) Diastemazia. I motivi si racchiudono in barre come 6 8 e si indicano con lettere (a, b,…). L’uso di lettere diverse dovrebbe corrispondere a caratteristiche motiviche differenti. Al contrario, una stessa sostanza motivica, radice di figure musicali differenti, si dovrebbe indicare con una medesima lettera; questo avviene quando un motivo o una figura (proposizione, frase, periodo…) viene interpretata come derivazione (alterazione nell’ampiezza e/o nella direzione e/o nell’ordine degli intervalli e/o dell’assetto ritmico, o di altra natura) da una matrice motivica che rimane riconoscibile (Grundgestalt). In altre parole, se una matrice è stata indicata con la lettera a, le sue derivazioni saranno indicate con a’, a’’ e così via.

b) Ritmo. Successive modificazioni (come lo spostamento dell’elemento accentato) all’interno del raggruppamento ritmico che caratterizza un motivo sono parte integrante della sua "variazione evolutiva", e devono quindi essere rappresentati graficamente. Per la comprensione di questo aspetto delle derivazioni motiviche (e per la loro rappresentazione grafica) valgono le indicazioni di cui disponiamo dalle trattazioni di J. Lester (The Rhythms of Tonal Music, Southern Ill. University Press, Carbondale-Edwardsville 1986) e soprattutto di G. W. Cooper & L. B. Meyer (The Rhythmic Structure of Music, U. of Chicago Press, Chicago 1960) alla cui scheda riassuntiva si rimanda. Cfr. le p. 157 e 186-189 di: L. Azzaroni, Canone infinito cit.. In particolare, si raccomanda l’uso dei simboli "È " (elementi non accentati) e "- " (elementi accentati) per delimitare i raggruppamenti accentuativi del solo ritmo di superficie (non anche dei suoi livelli più "profondi", come sarebbe possibile fare seguendo Cooper e Meyer).

La tabella successiva compendia e integra le modalità di utilizzo dei simboli per l’analisi grafica fin qui delineate.


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Queste modalità di indicazione grafica, per la maggior parte, sono solo suggerimenti (non "regole" - non vanno "imparate"), e dovrebbero essere usate con parsimonia. La selezionare dei tratti pertinenti del motivo, da rappresentare graficamente, dipende dalle caratteristiche di questo e dal tipo di variazione evolutiva cui è soggetto. Questo significa che l’indicazione simbolica di certi tratti può risultare superflua. Se, ad esempio, l’articolazione ritmico-metrica di un motivo a’ non comporta mutamenti rispetto a quella della matrice a da cui deriva, allora non sarà necessario indicarne il raggruppamento ritmico con i simboli. È e - . Tutto dipende dalla natura del processo motivico che si ha di fronte. Si ricorda che per permutazione di un motivo (di una figura) si intende una sua variante in cui l’ordine delle note (e quindi degli intervalli) viene mutato (sia esso soggetto o meno a trasposizione). Questo termine (sinonimo di "rotazione" intervallare, usato a volte) traduce nel modo migliore il concetto di "interversion" introdotto da Rudolph Réti nelle sue analisi (si veda a questo proposito la p. 126 del saggio di Cook contenuto nella dispensa per l’a. a. 1999/2000 e indicato nel relativo programma d’esame). Si noti inoltre che non è stato indicato un simbolo specifico per una "figura fondamentale" (Grundgestalt), poiché la natura degli esercizi da svolgere (la loro brevità) esclude ovviamente che si presenti il problema di identificare qualcosa del genere.

In termini generali (non solo ai fini dell’esame), si può concludere che: 1) la valutazione congiunta di tratti intervallari, ritmico/metrici e armonici, è necessaria per comprendere le affinità e le divergenze tra una matrice motivica e le sue derivazioni (oppure di queste tra di loro), ed è quindi fondamentale per comprendere la qualità della loro variazione evolutiva (cioè del processo di elaborazione motivico-tematica cui sono soggette); 2) la rappresentazione grafica di questi tratti dovrebbe seguire un principio di economia, con l’utilizzo di quei simboli che sono necessari e sufficienti alla rappresentazione del processo di variazione evolutiva, così come lo si è compreso e lo si vuole far comprendere. Nei casi in cui si rilevino strutture latenti (il che non è comunque richiesto alle prove d’esame) è superflua un’analisi ritmica (mentre guardare al ritmo è sempre necessario quando si mettono in luce strutture motiviche evidenti). La critica frequente al metodo di Rudolph Réti, secondo la quale esso non tiene conto del ritmo, sfonda una porta aperta se si applica ai casi, frequentissimi, in cui egli rileva strutture decisamente latenti (il ritmo, come conduttore del senso musicale non va cercato in ciò che l’ascoltatore non può sentire e porre a confronto su distanze temporali che eccedano la sintassi breve).

VI

Come primo esempio di applicazione del nostro modello descrittivo, può valere il passaggio seguente (da primo tempo della Sonata Op. 2 n. 2 di Beethoven), la cui analisi si trova nel primo saggio di Dahlhaus contenuto nella dispensa 1999/2000 (vedi il programma d’esame). Il punto saliente dell’analisi che Dahlhaus propone della variazione evolutiva di questo passaggio può essere riassunto graficamente in questo modo:


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I simboli scelti indicano innanzitutto che la matrice motivica a della seconda battuta (che ha direzione \ /) viene sottoposto a inversione (/ \): questa variante motivica di a si indica quindi come Ia. In secondo luogo, che il ritmo di superficie di a consta di un’accentazione trocaica (- È ) che in Ia si muta in giambica (È - ). Ia è quindi un’inversione di a non solo dal punto di vista diastematico, ma anche da quello ritmico, poiché comporta uno spostamento di accento. In questo caso è quindi del tutto opportuno indicare non solo i tratti diastematici delle forme-motivo (tratti che risultano implicitamente dalle nomenclature "a" e "Ia"), ma anche quelli ritmico-metrici, se si vuole descrivere con adeguatezza la natura del processo di trasformazione cui esse sono soggette.

È possibile anche indicare, con gli stessi simboli, la ripetizione di questa alternanza tra a e Ia nelle battute successive (il che non è stato fatto nell’esempio). Quello che invece risulta senza dubbio necessario (per rendere l’interpretazione di Dahlhaus) è mostrare, con l’uso di simboli, che questa alternanza tra a e Ia (e tra le loro rispettive accentazioni) dà luogo ad un’ulteriore trasformazione motivica, che è il nucleo essenziale della variazione evolutiva di questo passaggio. Al suo ingresso, infatti, la nuova figura tematica (terzultima battuta dell’esempio) reca un attacco dato dalla figurazione del motivo a (\ /), ma congiunto al ritmo di Ia.

Questo è uno di quei casi che Schönberg avrebbe senz’altro inteso come esempio di "logica musicale", e Rudolph Réti come "risoluzione tematica" (vedi le pagine tratte dal libro di N. Cook citate sopra). La variante motivica all’inizio della nuova figura può dirsi una "risoluzione" di ciò che lo precede, nel senso che compone un conflitto, del tutto avvertibile, tra la matrice a e la variante Ia. Essa media tra queste ultime, ossia prende qualcosa dell’una (la figurazione \ /) e dell’altra (l’accentazione ritmica). Anche da questo dipende il fatto che l’attacco tra le b. 12-13 risulti così convincente - come qualcosa di nuovo, che è allo stesso tempo necessario, motivato da ciò che lo precede.

Come si vede, se si coglie appieno il senso di un processo di variazione evolutiva, bastano pochi simboli per descriverlo.

Il secondo esempio da tenere presente come modello di rappresentazione grafica (benché traduca aspetti che sarebbero ben difficilmente ritenuti rilevanti dall’esclusivo punto di vista di un ascoltatore) mostra parte dell’analisi di Rudolph Réti dell’inizio del Quartetto op. 135 di Beethoven (riassunta nella pp. 124-127 del saggio di Cook). Qui si trovano una permutazione e una serie di interpolazioni (cfr. la tabella precedente).

 

Conformemente alla distinzione che Réti fa dell’importanza dei motivi per il processo di variazione evolutiva in questo brano, li ho contrassegnati con a e b (quest’ultimo precede a) a b. 1. Nell’esempio si può notare il modo in cui è possibile evidenziare graficamente la permutazione a’ ("a’ perm.") - cioè la mutazione dell’ordine delle note di a’ che avviene a b. 4. A rigore, questa permutazione va intesa come congiunta ad un’interpolazione (la nota do, non presente in a’). Sempre con lo stesso procedimento grafico - cioè aggiungendo gambi alle note e legandoli tra loro- è rappresentabile direttamente in partitura l’interpolazione di b tra le miss. 4-5. In sostanza, qui il motivo si espande nel tempo, viene proiettato in una dimensione sintattica più estesa, diventa lo scheletro della frase (in questo caso, a voler essere zelanti, si dovrebbe ricorrere al simbolo b’, poiché questa interpolazione motivica è anche una trasformazione della matrice b. Tuttavia, non è il caso di formalizzarsi troppo su queste cose, se i simboli che si usano rendono comunque intelligibile l’interpretazione analitica). Lo stesso procedimento grafico rende infine conto dei tre casi di interpolazione di a rilevati da Réti (il primo contiene "a’ perm."; naturalmente sarebbero possibili altre soluzioni).

Ulteriori suggerimenti pratici per svolgere la prova scritta

1. Comprendere il tema nella sua integrità.

Non sempre i motivi di un tema da cui si origina il processo di variazione evolutiva si presentino all’inizio di questo; potrebbero trovarsi all’interno del tema (nel suo corpo) o nella sua parte conclusiva.

2. Cercare affinità di sostanza motivica semplici, e che difficilmente non avrebbero una rilevanza per l’ascoltatore.

Si eviti di cercare relazioni complesse, latenti (come inversioni, o inversioni retrograde) tra i motivi di un tema e le loro presunte derivazioni. Beninteso, se una relazione di inversione è tanto limitata da risultare evidente, allora va messa in rilievo come tale. Ad esempio, se ammettiamo che un motivo come do-re-do sia una derivazione della matrice do-si-do, siamo effettivamente di fronte ad un’inversione, in cui la brevità del motivo permette la sua facile memorizzazione e il riconoscimento della sua trasformazione.

3. Tenere conto, prima di tutto, di intervalli diretti, non dei loro complementari (rivolti).

È un’indicazione dello stesso tenore della precedente (come si sarà notato, Réti si comporta diversamente nell’esempio precedente, per quanto riguarda il si di b. 5). In altre parole, la similitudine tra una matrice e una sua presunta derivazione va cercata non tenendo conto (almeno non subito) di una possibile trasformazione come il rivolto di un intervallo (ad esempio, non ipotizzando subito che una terza in un motivo a, sia divenuta una sesta, nel motivo a’). Il rivolto di un intervallo è già, rispetto a questo, una relazione di affinità in qualche modo indiretta. Questo non toglie che a volte un’affinità basata su rivolti sia percepibile (se i temi messi a confronto sono semplici e memorizzabili) o facilmente rilevabile all’analisi come struttura verosimile del processo compositivo (si veda l’analisi di Schönberg della Sinfonia n. 4 di Brahms, in Brahms il progressivo, da: Stile e idea, 67-68).

4. Badare non solo al tema, ma anche alle parti di accompagnamento.

Può capitare che non sia la melodia principale recata dal tema a contenere in sé le cellule motiviche che danno luogo alla successiva elaborazione motivico-tematica, ma le parti secondarie (l’accompagnamento del tema, il controsoggetto, …).


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