- I modulo ·
16 ottobre - 15 novembre 2002
- II modulo ·
11 dicembre 2002 - 31 gennaio 2003
I settimana:
mercoledì 8 gennaio
Sintesi dei temi
principali del II ciclo
- argomento
largomento della seconda parte del corso
credo possa essere definito la teoria
dellarte (e delle arti) questo in
buona sintesi è ciò su cui Lorenzo Giacomini
Tebalducci Malespini (Ancona 1552-Firenze 1599)
riflette, invitandoci a imitarlo, nel suo
discorso De la purgatione de la tragedia
(1586), recitato presso lAccademia degli
Alterati di Firenze. Sullo stesso tema ruota un
secondo discorso di Giacomini, Del furor
poetico (1587), di cui avremo occasione di
leggere e commentare a lezione alcuni testi.
- continuità
la teoria dellarte è stata anche, per
certi versi, un tema centrale della riflessione
di Ficino nel De vita; dovremo perciò
definire e consolidare una continuità di
temi e riflessioni sul tema dellarte che al
tempo stesso spieghi le differenze
sostanziali tra i due autori, argomentandole nel
mutato quadro storico-culturale fiorentino.
- generalità
cosè una teoria dellarte? a quali
domande risponde? su quali oggetti porta? a chi
parla? quali abissi indaga?
intanto, cosè arte?
Ficino e Giacomini condividono lidea rinascimentale
che larte è unattività produttiva, fabrile,
artigianale, ordinata ad un fine stabilito
dalluomo, che richiede esercizio, studio, pratica
quotidiana, cultura (apprendimento di regole); è un
lavoro che imbratta le membra e sfibra la fantasia, ed è
illuminato da unidea che è desiderio di
comunicazione e dono di uomini ad altri uomini, veste
sensibile dun pensiero sulle questioni ultime della
vita e delluomo.
da dove ha origine
larte? la risposta a questa domanda configura la
teoria dellarte di Ficino e Giacomini come una
psicologia (nel senso della pneumatologia
rinascimentale, che unifica soma e psiche, medicina e
psicologia speculativa) dellarte: è uno scandaglio
delle potenze psichiche e emozionali che,
nellartista-artigiano, originano, accompagnano e
portano a compimento lattività artistica, e che,
nel fruitore, rifanno internamente gli oggetti artistici
e ne accompagnano emotivamente lesperienza la
fruizione. Furore divino o talento naturale?
quali sono gli oggetti
dellarte? casi, caratteri, azioni, esperienze, dice
laristetelico Giacomini; un platonico direbbe la
vita dellanima del mondo. In ogni caso, gli oggetti
artistici (creati dalla poesia lirica, epica,
commedia, tragedia, danza, pittura, scultura, musica, e
così via: arti mimetiche) sono rappresentazioni
o imitazioni che recano in dono agli uomini dei
beni: piaceri disinterassati, ammaestramenti, bellezze,
concetti sublimi, affetti smisurati, e così via), di qui
il problema:
qual è il fine
dellarte? nel caso della tragedia, il fine è
la catarsi, nel lessico di Giacomini purgatione.
È quanto leggeremo insieme allorazione di Giulio
del Bene sul termine alteratione.
Lo spirito, luogo della
sensibilità, dellemotività, dellaffetto,
vincolo dellanima e del corpo, desiderio e amore,
legame, quindi immaginazione, fantasia, furore e
creatività, ma anche controllo, disciplina,
temperamento: "quando dunque voi accordate le corde
sulla lira e i toni della voce, dovete pensare che
assieme a voi accordate, dentro di voi, il vostro
spirito." (L. II, p. 161)
Il diventare
celesti. Il desiderio di cambiare, di
alterarsi ("per chi è tormentato dalle
sofferenze dellodio, non cè più spazio
alcuno per terapie di vita.") Il sole, Febo, Apollo
e la musica.
Canto lirico di Ficino,
monodia, inno o preghiera rivolta verso lalto, lo
straordinario potere mimetico del canto: materia vocale
calda, vivente, voce come corpo della musica, e poi
intenzione, desiderio, affetto, forma armonica (numero),
proporzione delle parti, mente: "un animale aereo e
razionale." (p. 371)
Infine il demone
interiore, la scelta della propria vocazione, del proprio
destino, conoscenza di se stessi; per concludere con un
elogio degli spazi ampi, della vita "con ampio
respiro", non angusta e mediocre, e con un elogio
della sprezzatura.
Non è semplice separarsi
da tutto questo e dar inizio a un nuovo discorso. Quale
affetto lo intona? qual è l
aria, il modo, la tonalità del
nuovo discorso? quali corde sensibili farà tremare? e se
non trovasse nessuna eco in noi, alcuna risonanza
interna?
- Dopo questa discesa
agli Inferi e questa risalita ai cieli eterei e
adamantini dopo la modulazione canora
delle estreme regioni del cosmo il nostro
spirito ha bisogno di realtà, di stare coi piedi
per terra, di muoversi in un terreno limitato e
circoscritto anziché scorrere su e giù lungo i
vasti spazi delluniverso.
Giovedì 9 gennaio
LAccademia
deglAlterati (appunti dal saggio di Palisca sugli
Alterati)
- la fondazione:
17 febbraio 1568
- la fonte: Diario
dellAccademia deglAlterati, ms.
conservato nella Biblioteca Medicea-Laurenziana
(contiene i verbali delle sedute dalla sua
istituzione al 23 gennaio 1606)
- i soci fondatori:
Tommaso Del Nero, Giulio Del Bene, Renato
de Pazzi, Vincenzo Acciaioli, Lorenzo
Corbinelli, Alessandro Cangiani, Antonio degli
Albizzi.
- la sede: casa
di Tommaso Del Nero (fino alla morte di costui
nel 1572); itinerante; palazzo Giovan Battista
Strozzi iuniore, detto il cieco.
- le sedute:
settimanali o bisettimanali; elezione del reggente
ogni sei mesi, circostanza nella quale veniva
aperta unurna dove gli Accademici Alterati
depositavano i loro scritti: poemi, tragedie,
commedie, saggi, traduzioni, commenatri, e così
via. Al termine del semestre, con la nuova
reggenza, gli scritti erano assegnati ai censori
(due) e al difensore che li recensivano e
giudicavano se le opere avessero dignità di
essere lette pubblicamente: il dibattito
diventava collegiale, e lautore poteva
così migliorare il proprio lavoro in base alle
critiche e ai commenti ricevuti. Palisca, p. 180,
ricorda che le presenze in Accademia erano in
media otto, "ma potevano anche scendere a
due."
- lemblema
tino per la spremitura del mosto, colmo di
grappoli duva, col motto di Orazio Quid
non designat [ebrietas] (cosa non fa il
vino?): cè quindi un chiaro riferimento a
Bacco, come in Ficino, allebrezza
dionisiaca (la musica?) Palisca, p. 176, ricorda
che Giovanni Bardi conte di Vernio, famoso per la
sua Camerata Fiorentina, scelse come
proprio pseudonimo "il Puro" e come
impresa un alambicco per la distillazione
dellacquavite col motto "Alterato
raffino".
- il nome: vedi
il discorso conviviale di Giulio Del Bene, Del
convivio degli Alterati, recitato il 16
febbraio 1568 (ms. in Biblioteca
Mediceo-Laurenziana, Magl. IX. 137, cc. 18v
sg., trascritto nella dispensa, che commenteremo.
- gli associati:
Giovan Battista Strozzi (autore del quarto degli Intermedi
fiorentini dell89 per le nozze di
Ferdinando I con Caterina di Lorena, supervisione
di Emilio de Cavalieri e direzione di
Giovanni Bardi); Giovanni de Medici, Cosimo
Rucellai (lesse un discorso sulla musica);
Antonio degli Albizzi (autore di una Mascherata
del piacere e del sentimento, allestita nel
carnevale del 1574 da Giovanni Bardi); Giovanni
Bardi; Piero del Nero (pubblicò e dedicò a un
altro Alerato, Baccio Valori, il Discorso
sopra la musica antica e moderna, 1602, di
Girolamo Mei; Nero del Nero (nella sua casa
romana Giulio Caccini cantò nei primi anni
90 arie e madrigali eseguiti nella Camerata
dei Bardi, poi editi come Le nuove musiche);
Alessandro e Ottavio Rinuccini (v. Palisca, p.
177); Jacopo Corsi; Girolamo Mei (Palisca, p.
178), Lorenzo Giacomini (nella Riccardiana è
conservato un suo ms, la prima traduzione
italiana della sezione musicale dei Problemi
di Aristotele: Palisca, p. 178).
I nuovi associati al convivio erano introdotti da
un accademico, che ne tesseva lelogio (vedi
in Palisca quello di Bardi alla p. 176)
- gli argomenti:
allinizio del mandato semestrale il reggente
stabiliva il tema o gli argomenti su cui
concertare le sedute e le discussioni.
Cerano poi lezioni e discorsi sia preparati
che estemporanei. Erano previste punizioni per
assenze o manchevolezze. Tra i temi dibattuti
lamore, concetto centrale delle
discussioni artistiche cinquecentesche (v.
Palisca, 174-75, con riferimento al nostro
Giacomini), la teoria della poesia
attraverso il commento della Poetica di
Aristotele, la tragedia, gli affetti
(a Firenze nel carnevale del 1574 un carro
mascherato titolava "Gli affetti"), la retorica
e leloquenza, infine il problema
della catarsi tragica come catalizzatore
della teoria dellarte con lestetica
della musica (Palisca, p. 183).
Circa la visione enciclopedica degli Alterati, v.
il discorso di Del Bene e il commento di Palisca,
p. 175.
- lattenzione
alla musica: oltre alle attività musicali
degli Associati viste sopra, gli interessi
musicali degli Alterati sono perlopiù presenti
nelle relazioni su argomenti letterari e
filosofici, ad es. sullo statuto della poesia
(che per un sodalizio culturale umanista implica
la musica), la creazione artistica, la teoria
dellimitazione (su cui v. Palisca, p. 181
sg.)
- saggio di Palisca
(risalente al 1968): il titolo fa riferimento
agli albori del melodramma, in quanto, attraverso
gli Alterati, si vuole ricostruire il milieu
culturale fiorentino come laboratorio artistico e
culturale delle prima favole pastorali composte
tra il 1598 e il 1600 da Ottavio Rinuccini
(Firenze 1562-1621) e Iacopo Peri (Roma
1561-Firenze 1633). In altri termini, le idee
musicali della Camerata dei Bardi, da cui
tradizionalmente si fa partire lopera in
musica, circolavano nelle Accademie fiorentine
della seconda metà del 500 (ad es.,
lAccademia Fiorentina e lAccademia
della Crusca), in particolare nelle discussioni
condotte per un trentennio dagli Alterati, che
annoverava molti musicofili e che discuteva
questioni artistiche e letterarie più ampie dei
programmi esibite dalle Accademie Fiorentina e
della Crusca, dedite ai problemi della lingua
toscana. Questo è lassunto generale del
saggio, vediamone la:
* * *
Giulio Del Bene, Del
convivio degli Alterati, discorso accademico recitato
il 16 febbraio 1568.
- fonte:
Aristotele, Della generazione e della
corruzione (in Opere, 4, Bari,
Laterza, 1991, pp. 3-95.)
Quando Del Bene esamina il
concetto di alterazione (pp. 3-6), commenta le
pagine iniziali del trattato aristotelico (pp. 3-25
delledizione cit.), in cui Aristotele definisce
lalterazione come una delle forme del mutamento, e
precisamente come mutamento secondo la qualità,
distinguendola dalle altre forme del mutamento, ossia
dalla generazione e corruzione, dallaccrescimento e
dalla diminuzione, dal moto locale. Dice Aristotele:
"
il sostrato di ogni cangiamento è
costituito da qualcosa di formale e da qualcosa di
materiale: quando proprio in queste due componenti si
attua il cangiamento, si avranno generazione o
corruzione; quando, invece, il cangiamento si verifica
nelle qualità affettive vale a dire in via
accidentale allora si avrà alterazione."
(pp. 15-16).
E più oltre:
"Dobbiamo ora dire in
che cosa generazione e alterazione differiscono [
]
Dal momento che una cosa è il sostrato e unaltra
cosa è la qualità affettiva, la quale è naturalmente
disposta a essere predicata del sostrato, e dal momento
che cè cangiamento di ciascuna di queste due cose,
si ha lalterazione quando il sostrato che è
sensibile, pur permanendo identico nella sua essenza,
cangia nelle sue stesse qualità affettive, tanto se
queste siano contrarie tra loro quanto se siano
intermedie (così, ad esempio, un corpo è una volta sano
e unaltra volta malato, pur conservando la sua
identità di corpo, e il bronzo è una volta curvo e
unaltra volta angoloso, quantunque sia lo stesso
bronzo); quando, invece, una cosa cangia come intero
senza che permanga identico nulla di sensibile come
sostrato, ma, ad esempio, dal seme come intero si produce
sangue, o dallacqua si produce aria, o
dallaria come intero vien prodotta acqua, allora un
cangiamento siffatto è senzaltro generazione
duna sostanza e corruzione dunaltra,
soprattutto se il cangiamento procede da ciò che è
impercettibile a ciò che può esser percepito per mezzo
del tatto e di ogni altro senso, come, ad esempio,
lacqua vien generata dallaria o viene
distrutta in essa; laria, infatti, è pressa
poco impercettibile. Ma se in questi casi una dterminata
qualità affettiva appartenente a una coppia di contrari
rimanga identica tanto in ciò che è stato generato
quanto in ciò che è stato distrutto se, ad esempio,
quando da aria si genera acqua, tanto laria quanto
lacqua sono trasparenti e fredde), non si deve
ritenere che uno dei contrari quello, cioè, che
costituisce il termine finale del cangiamento sia
una qualità affettiva dellaltro contrario,
altrimenti si tratterebbe di alterazione. Supponiamo, ad
esempio, che luomo musico sia andato distrutto e
che si sia generato, invece, un uomo a-musico e che
luomo permanga come qualcosa di identico. Se,
pertanto, la musicalità o la mancanza di musicalità non
fossero state una qualità essenziale delluomo, si
sarebbero verificate generazione di una qualità e
distruzione dellaltra: perciò, per quanto concerne
il termine uomo, si tratta di modificazione
di qualità affettive; ma, per quanto concerne i termini
uomo-musico e uomo-amusico, si
tratta di generazione e corruzione. In realtà, però,
musicalità e mancanza di musicalità sono affezioni di
un sostrato che permane; epperò siffatti cangiamenti
sono alterazione.
Quando il cangiamento di
un contrario nellaltro si attua in rapporto alla
quantità, si hanno accrescimento e diminuzione; quando
si attua in rapporto al luogo, si ha traslazione; quando
si attua in rapporto allaffezione e alla qualità,
si ha alterazione; quando, invece, non permane nulla di
un sostrato il quale abbia uno dei due conttrari come
affezione o, in genere, come una qualsivoglia proprietà
accidentale, allora si avrà generazione o, al contrario,
corruzione.
Da parte sua la materia
è, più dogni altra cosa, e in modo precipuo, il
sostrato che fa da ricettacolo alla generazione e alla
corruzione; ma, in un certo senso, essa fa da sostrato
anche agli altri tipi di cangiamento, giacché tutti i
sostrati possono essere ricettacoli di certe
contrarietà." (pp. 24-25)
Venerdì 10 gennaio
argomenti del discorso
di Del Bene sullalterazione
- lintenzione
originaria: il nutrimento (convivio)
della mente ( p. 1).
- argomento
alternativo: storia della convivialità
antica, occidentale e orientale (pp. 1-2)
- lispirazione:
il Convito di Platone e Ficino, lamore
come alterazione (pp. 2-3).
- loggetto:
il concetto di alterazione (p. 3).
- il metodo:
origine, parti, natura dellalterazione
eletta dagli Alterati (pp. 3-4).
- I definizione:
lalterazione come moto locale
(traslazione) delle parti indivisibili (atomi)
di un corpo in rapporto al loro ordine e alla
loro disposizione spaziale (p. 4).
- la definizione
aristotelica: lalterazione come mutamento
qualitativo (p. 5).
- la natura della
generazione: non è moto (p. 5).
- ri-definizione:
il tema degli opposti nelle qualità naturali
(pp. 5-6).
- il principio
del movimento e dellalterazione (p. 6).
- le forme
molteplici dellalterazione: ossia
lalterazione come forza plastica
(cosmologia), p. 7.
- alterazione e
sensorialità: qualità oggettive
e qualità soggettive: i cinque sensi
(pp. 7-9)
- alterazione e
intelletto: lintelletto e le forme del
sapere (pp. 10-17): etica (pp. 10-12), costumi
(pp. 12-13), le arti: meccaniche (p. 13) e
liberali: grammatica musica retorica (p. 13-14),
filosofia naturale (pp. 14-16), metafisica (p.
16), le matematiche: aritmetica, geometria,
astrologia, musica (pp. 16-17).
- encomio
dellalterazione (p. 17)
- lalterazione
degli Alterati fiorentini: amore e bellezza
(pp. 18-19)
II settimana:
mercoledì 15 gennaio
I.
alcune riflessioni sullorazione accademica di
Del Bene
- la prima
considerazione riguarda lo statuto retorico del
discorso di Giulio del Bene: si tratta duna
orazione che interpreta gli ideali accademici
umanistici offrendoli in cibo (convito) agli
accademici Alterati, che con le loro attività
poetiche e letterarie arricchiranno questo
aristocratico consesso di nuovi, sontuosi
banchetti intellettuali.
- emblema vivente di
questi ideali è il Parnaso e lenciclopedia
delle arti e delle scienze di cui sono simboli
Apollo Musagete (ricordare Ficino) e
lelegante corteo delle Muse che alitano
sullartista-demiurgo lispirata
bellezza (un po troppo neoplatonico!).
Allinterno dellenciclopedia
scientifica degli Alterati (v. lezione
precedente) la musica siede in entrambi i
tradizionali dipartimenti del sapere:
tra le arti sermocinali, per il suo rapporto con
la poesia e con la retorica, e tra le discipline
matematiche, come scienza del numero
sonoro subalternata
allaritmetica. Inoltre musica e poesia sono
discipline sorelle per la cultura umanistica di
cui gli Alterati sono insieme interpreti e
teorici.
- il discorso di Del
Bene veicola questo pensiero: titolo di
nobiltà degli Alterati è il sapere,
unico e vero perfezionamento delluomo e del
cittadino. Fine delluomo è perfezionare la
mente (filosofia teoretica) e i costumi
(filosofia pratica) per essere allaltezza
della sua città e delle sue straordinarie
tradizioni intellettuali. Dovremo chiederci, ciò
che Del Bene non fa, quali siano le peculiari alterazioni
prodotte da poesia e musica, oltre al
perfezionamento della mente (filosofia teoretica)
e del senso morale (etica). In genrale,
perfezionarsi significa alterarsi
praticando la civiltà della
conversazione, il dialogo, il confronto
pubblico, la scuola del giudizio critico. Il
concetto di alterazione come movimento
qualitativo, che altera le
qualità del soggetto (la sostanza)
dalliniziale non-sapere al processo
dacquisizione del sapere, è quindi nella
tipologia aristotelica del
cangiamento il genere di
trasformazione che definisce meglio dogni
altro il perfezionamento che gli Alterati debbono
perseguire (propriamente è lalterazione
accademica).
- loriginalità
del discorso di Del Bene e del consesso degli
Alterati nel panorama delle accademie italiane
della seconda metà del Cinquecento è
precisamente il concetto dalterazione,
movimento insonne della mente verso la
perfezione: movimento eterno, perché fra i
cangiamenti che ritmano la vita delle
corruttibili cose terrene è il solo che
riproduca il moto circolare dei cieli incorrotti
e eterei, è quindi la parte divina in noi.
Termine assoluto di questo moto perfetto è la
perfezione del Bene che non mosso muove ogni
cosa, termine damore cui lamante
ininterrottamente tende perfezionandosi, perché
lamore è lalterazione nella
perfezione (ricordare che il discorso di Del Bene
prende spunto dal Convito di Platone, il
dialogo dellamore, che è figlio di penìa
e pòros, di povertà e acquisto.)
- vorrei cercare di
enucleare il credo metafisico che sottonde
lidea di alterazione in Del Bene. È una
conseguenza del concetto aristotelico di
movimento come "lentelechia (atto
finale, perfezione) di ciò che è in
potenza", in breve, la realizzazione di una
potenzialità: la costruzione, la crescita,
lapprendimento sono realizzazione di
potenzialità, e il fine di questo moto è di
nuovo ciò che non mosso muove (motore
immobile). Ora, questo movimento
teleologico è metafisicamente
necessitato, e il suo autoritario
ottimismo metafisico non tollera deroghe e
eccezioni: queste sono gli accidenti
che non compromettono lattuarsi dei fini
interni a una mente divina (astemia: vedi il tono
tiepido dellAlterato allindirizzo di
Bacco) che con un sol colpo
docchio coglie lagitazione
ordinata delluniverso in movimento verso di
Sé: in questo processo cosmico molti sono
macinati e triturati dalle possenti ruote
a-musiche del cosmo (nel De coelo
Aristotele prende le distanze dalla pitagorica e
timaica musica delle sfere), senza
pervenire alla perfezione come
attuazione delle loro potenzialità: sono i
perdenti nella corsa affannosa verso la
perfezione, i perduti per strada,
accidentalità che non alterano
leconomia metafisica dei fini ultimi
delluniverso. La concezione aristotelica
del movimento è poi legata al suo concetto di
sostanza, imprigionato dalla stessa metafisica
necessità: la sostanza è esattamente ciò
che lessere era, lessere
necessario.
- prima breve
parentesi, antropologica: i soggetti
immutabili, e quelli
alterati. Sostanza e moto in
prospettiva filosofica.
- seconda parentesi,
poeticissima:
Contre les bûcherons
de la forêt de Gastine (1584), elegia di Pierre de
Ronsard (1524-1585), il suo lamento per la fuga degli dei
e delle dee che abitano i boschi:
- "Écoute,
bûcheron, arrête un peu le bras;
- Ce ne sont pas de
bois que tu jettes à bas:
- Ne voit-tu pas le
sang, lequel degoute à force
- Des Nymphes qui
vivoyent dessous la dure escorce?"
-
- "Adieu, vieille
forêst, le jouet de Zéphire,
- Où premier
jaccorday les langues de ma lyre,
- Où premier
jentendi les fleches resonner
- DApollon, qui
me vint tout le coeur estonner."
-
- [
]
- "Ny Satyres, ny
Pans ne viendront plus chez toi."
- [
]
- "Tout deviendra
muet, Echo sera sans voix."
La separazione di Ronsard
da "nos déesses" e da "nos pères
nourriciers" della foresta di Gastine è così
irreparabile, che negli ultimi versi egli ripete gli
enunciati di una filosofia materialista disperata:
- "O dieux, que
véritable est la philosophie,
- Qui dit que toute
chose à la fin périra,
- Et quen
changeant de forme une autre vêtira!
- De Tempé la vallée
un jour sera montagne,
- Et la cime
dAthos une large campagne;
- Neptune quelquefois
de blé sera couvert:
- La matière demeure
et la forme se perd."
Questi versi sono la
ripetizione degli esametri che Pitagora intona nel II
Libro delle Metamorfosi di Ovidio: "Nihil est
toto, quod perstet, in orbe. / cuncta fluunt, omnisque
vagans formatur imago," "niente si conserva al
mondo. Tutto passa, le forme fluttuano." Il mondo ha
fine, e la filosofia che nelle Metamorfosi aveva
popolato i boschi dellAttica delle belle forme
degli dei, è ora evocata da Ronsard per piangerne la
perdita..
Questultima,
"la matière demeure et la forme se perd," è
una alterazione meno scontata, più drammatica, il
suo affetto introduce più empaticamente allalterazione
della tragedia. Alloposto, a me sembra che
lalterazione di Del Bene sia innocente e astemia,
con tutto il rispetto per chi non ama le sostanze
alcoliche, porta verso approdi certi e sicuri,
ortodossa e ossequiosa dei fini
della città e del suo motore (i Medici) in
cui lAlterato si muove. Non è una poetica che
altera equilibri ideologici ponendosi come
alterazione del potere costituito e della ideologia
dominante.
II.
dal Convivio degli Alterati di Giulio Del Bene
alla Purgatione della tragedia di Lorenzo
Giacomini; e, in primis, alcune note sulla tragedia,
per intenderne meglio la purgatione
Lucrezio, De Rerum
natura, I, 80-101:
- Illud in his rebus
vereor, ne forte rearis
- impia te rationis
inire elementa viamque
- indugredi sceleris.
Quod contra saepius illa
- religio peperit
scelerosa atque impia facta.
- Aulide quo pacto
Triviai virginis aram
- Iphianassai turparunt
sanguine foede
- ductores Danaum
delecti, prima virorum.
- Cum simul infula
virgineos circum data comptus
- ex utraque pari
malarum parte profusast,
- et maestum simul ante
aras adstare parentem
- sensit et hunc
propter ferrum celare ministros
- aspectuque suo
lacrimas effundere civis,
- muta metu terra
genibus summissa petebat.
- Nec misarae prodesse
in tali tempore quibat,
- quod patrio princeps
donarat nomine regem;
- nam sublata virum
manibus tremibundaque ad aras
- deductas, non ut
sollemni more sacrorum
- perfecto posset claro
comitari Hymenaeo,
- sed casta inceste
nubendi tempore in ipso
- hostia concideret
mactatu maesta parentis,
- exitus ut classi
felix fastusque daretur.
- Tantum religio potuit
suadere malorum.
[traduzione]
Qui un timore mi prende, che forse tu creda d'essere
iniziato ai principi di un'empia dottrina e di metterti
sulla via della colpa. Invece proprio essa, la religione,
generò più volte atti scellerati ed empi, come in
Aulide l'ara della vergine Trivia macchiarono turpemente
col sangue d'Ifigenia gli eletti duci dei Danai, il fiore
degli eroi. Non appena la benda avvolta alle nitide
chiome virginee in liste uguali le ricadde su entrambe le
guance, e come s'accorse che mesto stava innanzi
all'altare suo padre e accanto a lui i sacerdoti celavano
il ferro e al vederla apparire la sua gente non teneva il
pianto, muta per il terrore s'abbatteva a terra
piegandosi sulle ginocchia. Né alla misera poteva
giovare in un tale momento l'aver dato per prima al re il
nome di padre. Sollevata da mani d'uomini e tutta
tremante fu condotta all'altare, non perché, una volta
compiuto il sacro rito solenne, potesse essere scortata
per via dal luminoso Imeneo, ma affinché pura
impuramente, nel giorno promesso alle nozze, cadesse
vittima dolente colpita dal padre, e così fosse data
alla flotta felice e fausta partenza. Tanto grandi
delitti ha potuto ispirare la religione.
Euripide, Ifigenia in
Aulide (-->Racine-->Gluck-->)
Campo dei guerrieri greci
in attesa del vento favorevole per la partenza in mare
alla volta di Troia. In cambio del vento Artemide chiede
ad Agamennone il sacrificio della giovane figlia,
Ifigenia. Le manda a dire che raggiunga il luogo,
lAulide, dove sposare Achille. Allarrivo di
Ifigenia e della madre Clitemnestra, la vergine impara
che non per il matrimonio, ma per essere sacrificata
sullaltare della dea è stata convocata in Aulide.
Allultimo la dea sostituisce la fanciulla con una
cerva, o la dea sottrae Ifigenia e la conduce nella
Tauride come sacerdotessa. Ed ecco dunque laltra
tragedia, Ifigenia in Tauride, dove la
sacerdotessa Ifigenia incontra dopo i tremendi lutti
della famiglia il fratello matricida Oreste (ricorda le Coefore
e le Eumenidi dello scultoreo Eschilo).
giovedì 16 gennaio
visione dellEdipo
Re di Sofocle per la regia di V. Gassman, con musiche
di Berio.
Questa visione rientra nel
tentativo di prendere contatto coi contenuti della
tragedia classica, per poter poi meglio intendere il fine
della purgatione che, riprendendo il concetto
aristotelico di catarsi, Giacomini teorizza nel
proprio discorso accademico. Se ne consiglia la lettura.
Intanto una breve sintesi:
fatti
Edipo è il re di Tebe su cui infuria la peste che
sta spopolando la città, e la città si rivolge a Edipo
perché la liberi dal flagello. Edipo ha già inviato il
cognato Creonte a Delfi per consultare loracolo. Il
responso dice che lepidemia è dovuta alla presenza
tra i tebani dellassassino del precedente re di
Tebe, Laio. Edipo ordina unindagine vòlta ad
accertare la verità, e intanto emette un verdetto contro
il colpevole: lesilio. È convocato Tiresia, il
non-vedente che vede. Il dialogo tra Tiresia e Edipo è
drammatico: Tiresia dichiara che nientaltri che
Edipo è luccisore di Laio, e che Laio è il padre
di Edipo, il quale ne ha poi sposato la moglie che dunque
è anche madre di Edipo, sicché i quattro figli nati dal
matrimonio sono suoi fratelli.
ricordi
ha inizio la drammatica anmnesi di Edipo che
lentamente e inesorabilmente lo porterà di fronte
allorribile verità dettata da Tiresia. La moglie
Giocasta, che vorrebbe veder smentiti gli oracoli,
racconta a Edipo che a Laio era stato predetto che
sarebbe morto per mano del figlio; per evitare la
profezia, il figlioletto era stato esposto sul monte
Citerone coi piedi strettamente legati. In realtà,
continua Giocasta, Laio era stato ucciso da alcuni
predoni alla convergenza di tre strade. Il ricordo di
Giocasta diventa ricordo di Edipo: a un trivio ha ucciso
un uomo durante la fuga dalla casa natale in Corinto.
Edipo racconta di essere stato cresciuto in Corinto da
Polibo suo padre, ma allorchè un coetaneo lha
chiamato bastardo, ferito dalloffesa ha consultato
loracolo di Apollo, che gli ha predetto che sarebbe
diventato luccisore del proprio padre nonché
marito della madre. Fuggendo lontano da Corinto per
fuggire la profezia, Edipo incontra in un trivio
luomo che ha ucciso.
testimoni
Edipo pretende che sia convocato il testimone
dellassassinio di Laio, evocato da Giocasta.
Intanto giunge da Corinto un messo: il re Polibo è
morto, la città vuole proclamare Edipo come re. Giocasta
esulta: dunque Edipo non è luccisore del padre. Il
messo lo vuole rassicurare: Edipo non è figlio della
moglie di Polibo, è un trovatello che egli stesso ha
avuto dalluomo incaricato di esporlo sul Citerone.
Giocasta comprende e scompare nel palazzo. Arriva il
testimone dellassassinio di Laio che, guarda caso,
è lo stesso servo cui era stato ordinato di far sparire
il piccolo Edipo. Il vecchio servo conferma di aver
consegnato il piccolo alluomo giunto da Corinto,
per salvarlo dalla morte.
riconoscimento
Edipo vede e sa, e vede e sa per ultimo quanto tutti
già vedevano e sapevano: patricida, marito incestuoso,
fratello dei propri figli. Limpurità e
lorrore della sua esistenza infettano la città.
Cieco alla verità e a se stesso, egli sacceca e
con le orbite grondanti di sangue sallontana
barcollante da Tebe.
- Questione
sollevata in aula: tragedia classica vs
tragedia moderna, ovvero il
delitto di Cogne. Per impostare la
discussione correttamente, comincerei dalla
definizione aristotelica di tragedia.
Giacomini traduce così:
[la tragedia] "è
imitazione di azione de migliori, perfetta ed
avente grandezza, con parlare fatto dilettevole
separatamente ne le parti rappresentando ciascuna de le
spezie de rappresentanti, senza narrazione, per
mezzo de la compassione e del timore conducente a fine la
purgazione di tali appassionamenti." (vedi fotocopie,
p. 354). Alla p. 351 Giacomini parafrasa:
"E poema ne la più propria significazione definiamo
imitazione con parlare favoloso ridotto in versi di
azione umana (sotto nome di azione comprendiamo anco gli
affetti e le operazioni interne), fatta secondo
larte poetica, atta a purgare, ad ammaestrare, a
dar riposo o nobile diporto."
Nel testo della Poetica
nel vol. 10 delle Opere di Aristotele, Bari,
Laterza 1991, p. 203, la definizione aristotelica è
così leggibile: "Tragedia dunque è una mimèsi di
unazione seria e compiuta in se stessa, con una
certa estensione; in un linguaggio abbellito di varie
specie di abbellimenti, ma ciascuno a suo luogo nelle
parti diverse; in forma drammatica e non narrativa; la
quale, mediante una serie di casi che suscitano pietà e
terrore, ha per effetto di sollevare e purificare
lanimo da siffatte passioni."
Proporrei anche la definizione del termine imitazione,
mimèsi:
Giacomini: "[
] per imitazione intendiamo
formazione di cosa non vera o non in quanto vera, a
simiglianza di quella che può esser vera o almeno esser
creduta." (fotocopie, p. 352-53)
In Aristotele limitazione
è un istinto connaturato alluomo, il
carattere specificamente umano che lo differenzia dagli
altri esseri viventi; è unattività razionale che
genera apprendimento, quindi perfezionamento; (in
quanto attività artistica, è legata al piacere, in
quanto apprendere e perfezionarsi è un piacere
grandissimo (Poetica cit., p. 198)
venerdì 17 gennaio
qual è dunque la purgazione
della tragedia nellorazione di Giacomini? Per
rispondere, cominciamo col richiamare alcune premesse:
- il discorso di
Giacomini non è un commento alla tragedia di
Eschilo, Sofocle o Euripide.
I tragici greci circolavano per i tipi di Aldo
Manuzio (Venezia), rispettivamente del 1502, 1503
e 1518, con leccezione di Elettra
(Euripide) e Coefore (Eschilo). Tuttavia,
"la possibilità di disporre della
produzione greca pressoché completa con testi
sicuri rstituisce il senso del teatro antico in
tutta la sua grandezza proprio negli anni in cui
cominciano a circolare [
] la Poetica
di Aristotele e il De architectura di
Vitruvio." (M. Pieri, La nascita del
teatro moderno in Italai tra XV e XVI secolo,
Torino, 1989, p. 136)
- non interpretazione
dei tragici greci, il discorso di Giacomini è un
commento umanistico, erudito, al concetto di catarsi
tragica teorizzato da Aristotele nella sua Poetica;
in altri termini, lorazione di Giacomini si
colloca allinterno della tradizione delle
traduzioni e dei commeti al testo aristotelico,
è dunque nel contesto di questa mediazione
umanistica che va inquadrato il suo discorso
sulla tragedia.
- i commenti alla Poetica:
il testo, che il Medio Evo conosceva attraverso
la parafrasi di Averroé, venne pubblicato solo
nel 1498 nella traduzione latina di Giorgio
Valla, e solo dopo un decennio loriginale
greco fu pubblicato a Venezia nei Rhetores
Graeci di Aldo. Una nuova traduzione della Poetica
è quella di Alessandro de Pazzi,
tragediografo ellenizzante sul modello della Sofonisba
di Trissino a primordi del secolo, pubblicata dal
figlio Guglielmo nel 1536 e importante
riferimento delle posteriori traduzioni e
commenti (ad es., da parte di Trissino nel
decennio tra 40 e50). Il terminus
a quo della serie dei nuovi commenti al testo
aristotelico è tuttavia la Poetica (1548)
di Francesco Robortello, pubblicata nella
traduzione del Pazzi e arricchita di accurate explanationes
(spiegazioni: Robortello conosceva molto bene la
letteratura greca, e aveva pubblicato Eschilo).
Robortello fu anche il primo a sentire
lesigenza di integrare lincompiuta
opera di Aristotele sullarte poetica,
integrandola con la trattazione dei generi
poetici non discussi da Aristotele, ma tutti
riconducendoli al concetto di imitazione
(vedi sopra). La definizione del piacere e
della catarsi in Robortello è discussa da
Giacomini:
"Per gli uomini nessun piacere [
] è
più grande di quello che viene percepito dalla
mente e dal pensiero; anzi spesso avviene che
quelle cose che infondono agli uomini orrore
e terrore, quando si verificano dentro la
loro natura, poste fuori dalla loro natura, se
posseggono qualche verosimiglianza, dilettano
nellatto in cui vengono
rappresentate." (F. Robortello, In librum
Aristotelis de Arte poetica explanationes,
Firenze 1548, p. 2: la sottolineatura è mia)
"Mentre gli spettatori assistono alle recite
e odono e vedono i personaggi parlare e compiere
azioni che molto si avvicinano alla verità, sono
portati ad addolorarsi, a temere, aprovare
compassione; quindi avviene che se tocca loro
qualche cosa di quello per cui gli uomini
soffrono, meno saddolorano e temono; mentre
i poeti nella rappresentazione delle loro
tragedie presentano personaggi e cose degnissime
di pietà, e tali che chiunque, in particolare il
saggio, ne ha paura, gli uomini apprendono quali
siano le cose che a buon diritoo suscitano la
pietà e il dolore, e quali infondono paura.
Infine uditori e spettatori delle tragedie
ricevono questo vantaggio, che senza dubbio è
grandissimo: essendo infatti comune a tutti i
mortali il variare della fortuna, e non essendoci
nessuno che non sia soggetto alle scaigure, gli
uomini, se capita loro qualche rovescio, lo
sopportano più facilmente, e si fanno coraggio
con questa confortante consolazione, che si
ricordano come anche ad altri ciò sia
accaduto." (ivi, p. 146)
- Altro importante
commentatore della Poetica è Vincenzo
Maggi ferrarese, molto critico di Robortello, e
ben noto a Giacomini. Questa la sua catarsi:
"Dunque è molto meglio con
lintervento della compassione e del terrore
purgare lanima dallira, per la quale
avvengono tante morti; dallavarizia, che è
cagione di mali infiniti; dalla lussuria per la
quale si commettono i più nefandi delitti. Per
queste ragioni sono certo che Aristotele non ha
voluto che sia scopo della tragedia purgare
lanima dal terrore e dalla compassione; ma
che ssa si serva di quei sentimenti per
allonatanare dallanima altre passioni
perturbatrici, per lallontanamento delle
quali lanimo si adorna di virtù." (In
Aristotelis librum De Poetica communes
explanationes, Venezia, 1550, p. 98: redatto
da Maggi col Lombardi)
- Ultimo autore:
Lodovico Castelvetro, fondamentale per
comprendere certe posizione
antiplatoniche di Giacomini sia
nellorazione sulla tragedia, sia nel
discorso sul furore poetico. Nella sua Poetica
dAristotele volgarizzata e sposta,
Basilea 1576, discutendo di catarsi,
Robortello sostiene che, essendo il fine della
poesia il diletto, "la privazione dallo
spavento e dalla compasione" è un fine
accidentale e secondario della tragedia, che
Aristotele avrebbe introdotto "per
contradire a Platone suo maestro, tanto gli
premeva questa purgazione delle passioni."
Qui Robortello ignora quel passo della Politica
(VIII, 7), ben noto a Giacomini, in cui
Aristotele rinvia a quanto sul concetto di
catarsi avrebbe discusso nella Poetica, e
parla di persone in preda ad esaltazione che
alludire canti sacri si calmano quasi
avessero subito una cura medica o una catarsi (di
questo problema discuteremo commentando il testo
di Giacomini).
III settimana:
mercoledì 22 gennaio
I parte. Riflessioni
sullEdipo di Sofocle:
- Edipo, leroe
tragico: è luomo che vuole sapere, ed
è vinto da una Sfinge onnipotente, "il
brutto Poter che, ascoso, a comun danno
impera
".
- il dolore
dellesistenza: Edipo diventa il paradigma
dellumana sofferenza, prende su di sé il
male e il dolore del mondo, la dissonanza.
Cristo. Canta il Poeta: "Arcano è tutto, /
Fuor che il nostro dolor. Negletta prole /
Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo /
De celesti si posa."
- la colpa, il fato:
colpa è la disobbedienza alla legge
divina, la fuga dalla necessità, e questa fuga
diventa catena orribile di necessità: Laio
abbandona Edipo, Edipo è il figlio rifiutato,
diventa patricida e marito incestuoso, fratello
dei propri figli, che si uccideranno lun
laltro, e delle proprie figlie, tra cui la
splendida Antigone
Lultimo gesto di
Edipo primo di allontanarsi da Tebe è il lungo,
straziante abbraccio alle figliolette, contatto
intimo, familiare, che nel disfacimento è la
sola potenza salvifica, e illumina di umanità la
terrificante maschera tragica dEdipo.
Il Poeta: "Qual fallo mai, qual sì nefando
eccesso / Macchiommi anzi il nantale, onde sì
torvo / Il ciel mi fosse e di fortuna il volto? /
In che peccai bambina, allor che ignara / Di
misfatto è la vita, onde poi scemo / Di
giovinezza, e disfiorato, al fuso /
Dellindomita Parca si volvesse / Il
ferrigno mio stame?"
"Guerra mortale, eterna, o fato indegno, /
Teco il prode gareggia, / Di cedere inesperto; e
la tiranna / Tua destra, allor che vincitrice il
grava, / Indomito scrollando si
pompeggia
"
- gli dei:
"
A voi, marmorei numi, / (Se numi
avete in Flegetonte albergo / O su le nubi) a voi
ludibrio e scherno / È la prole infelice / A cui
templi chiedeste, e frodolenta / Legge al mortale
insulta. / Dunque tanto i celesti odii commove /
La terrena pietà?
"
La vita, lesistenza umana è il gioco degli
dei, il loro teatro, lo spettacolo
dellumanità sofferente: questo è
locchio divino sul mondo umano.
- la comunità:
"Nobil natura è quella / Che a sollevar
sardisce / Gli occhi mortali incontra / Al
comun fato, e che con franca lingua, / Nulla al
ver detraendo, / Confessa il mal che ci fu dato
in sorte, / E il basso stato e frale; / Quella
che grande e forte / Mostra se nel soffrir, né
gli odii e lire / Fraterne, ancor più
gravi / Dogni altro danno, accresce / Alle
miserie sue, luomo incolpando / Del suo
dolor, ma dà colpa a quella / Che veramente è
rea, che de mortali / Madre è di parto e
di voler matrigna. / Costei chiama inimica; e
incontro a questa / Congiunta esser pensando, /
Siccome è il vero, ed ordinata in pria /
Lumana compagnia, / Tutti fra se
confederati estima / Gli uomini, e tutti
abbraccia / Con vero amor, porgendo / Valida e
pronta ed aspettando aita / Negli alterni perigli
e nelle angosce / Della guerra comune." La
comunità di Edipo è il contenitore della sua
pena, e la città sammala, muore e si
purifica col suo eroe.
- la catarsi: ma
qui ci dirà Giacomini;
- la rappresentazione:
Sofocle, la poesia tragica e la bellezza. Perché
lorrore e il dolore della vita diventano
piacevoli?
II parte. L. Giacomini, De
la purgatione della tragedia
struttura
dellorazione di Giacomini
- le fonti e il problema:
p. 347.
- opinioni diverse sul
concetto di purgatione: la posizione omeopatica
(p. 348); la posizione allopatica (p.
349); la posizione mediana (p. 349).
- confutazioni
delle opinioni esposte: pp. 349-351.
- premesse:
definizione, mezzi e fini dellarte poetica
e delle arti mimetiche (pp. 351-352)
- il piacere e
lutile: poetica e politica (pp. 352-
354).
- definizione della
tragedia e concetto di purgatione (pp.
354-355).
- la tragedia e
la Politica dAristotele (pp.
355-356).
- gli affetti:
pp. 356-359.
- le armonie e
la Repubblica di Aristotele: pp. 359-360.
- i quattro giovamenti
della musica e della poesia: pp. 360-361.
- ancora sugli affetti:
pp. 361-363.
- perché cè piacere
nella sofferenza: pp. 363- 367.
- omeopatia o allopatia?
pp. 367-368.
- retorica e
affetti: la festa, pp. 368-369.
- il politico:
pp. 369-371.
giovedì 23 gennaio
pareri sulla purgazione
esposti e confutati da Giacomini
- tesi omeopatica:
la tragedia libera la mente dalla compassione e
dalla paura attraverso lassuefazione agli
eventi pietosi e paurosi dellazione tragica
(il simile modera il simile): questa è la tesi omeopatica
difesa ad es. dal Robortello (vedi passo
nellestratto del 17 gennaio).
confutazione:
- se Aristotele avesse inteso dire che la
tragedia libera la mente dalla compassione e
dalla paura, nel definire la tragedia non avrebbe
detto che essa libera da tali affetti, ma
dagli stessi affetti;
- perché la tragedia dovrebbe liberare la mente
dalla pietà, dal momento che la pietà ci
consente di condividere le sofferenze dei nostri
simili?
- temendo e compatendo non disimpariamo a temere
e compatire: e se questo succede al soldato di
fronte agli orrori della guerra o al cittadino di
fronte alle disgrazie della comunità (una
peste), questo accade perché così la realtà
lo dispone, non gli spettacoli tragici che
riguardano eventi possibili non reali;
- se la tragedia liberasse la mente dalla pietà
e dalla paura, assuefacendola e rendendola
insensibile ai tristi casi, non potrebbe più
ulteriormente indurre queste passioni: in
sostanza, il problema della purgazione neppure
esisterebbe;
- i testi poetici di Petrarca e Lucrezio non
hanno forza dimostrativa, perché sono
riflessioni a posteriori dettate dalla ragione,
non dallesperienza visiva e uditiva della
rappresentazione tragica.
- tesi allopatica:
attraverso la pietà e la paura la tragedia
libera la mente non da queste passioni, ma dalle
contrarie che sono allorigine degli eventi
tragici, ossia invidia, odio, ira, e così via:
questa è la tesi allopatica difesa contro
Robortello da V. Maggi (vedi passo degli estratti
delle lezioni).
Gli argomenti a favore sono:
- poiché i contrari non possono coesistere in
uno stesso soggetto, essendo pietà e paura opposte
a odio, ira, ecc., bisogna che la mente occupata
da paura e pietà rimuova da sé quelle opposte
emozioni;
- se compassione e paura eliminassero compassione
e paura, si annullerebbero reciprocamente, e
lazione tragica produrrebbe nella mente una
disposizione opposta;
- se la tragedia liberasse dalla pietà, rendendo
luomo spietato, non sarebbe utile agli
uomini.
confutazione:
- Aristotele dice che la tragedia libera la mente
da tali affetti, non da affetti contrari;
- la purgazione non avviene attraverso la lotta
dei contrari ma, come Giacomini spiega a p. 354,
attraverso lazione di sostanze simili a
quelle che devono essere espulse;
- in sé le passioni non sono cattive, perché
dunque il fine della tragedia dovrebbe essere
quello di liberare la mente dallodio,
dallira, dallallegria, che non sono
biasimevoli e comunque sono migliori della paura?
E se durante la visione degli eventi tragici
diventiamo paurosi e pietosi, questo non fa sì
che cessiamo di essere invidiosi, irati e
maldisposti se già prima lo eravamo;
- se la tragedia imita azioni spaventose e
pietose, e se il suo fine è recare piacere dalla
rappresentazione di queste passioni, se lo
spettatore o uditore è intimamente disposto con
affetti opposti a quelli, che piacere potrà
trarne, visto che a ciascuno è fastidioso ciò
che è contrario al proprio stato danimo
attuale?
- tesi moderata:
la tragedia dimostra lincertezza (fortuna)
della vita umana, la fragilità e mutevolezza
delle cose mondane, e attraverso questa
rappresentazione ha una funzione moderatrice:
modera le passioni, mitiga la compassione, spegne
il timore per le proprie sfortune, toglie
linvidia che gode delle altrui disgrazie, e
elimina lira attraverso la pietà.
confutazione:
- valgono per questa tesi le obiezioni sollevate
per ciascuna delle prime due tesi elencate;
- una cosa sola non può causare effetti
contrari: così la misericordia e il timore non
liberano la mente da affetti contrari, come
linvidia o lira, se non casualmente,
ossia senza una vera necessità, la quale è il
fondamento delle scienze e delle arti che sono
fondate su ragionamenti necessari, ossia
dimostrativi, non su opinioni malferme;
- il vocabolo purgazione non può avere
contemporaneamente significati opposti, qui allopatico
e omeopatico, rimozione dei contrari e
attenuazione dei simili, perché in tal caso
Aristotele non avrebbe trasferito a un campo
dindagine diverso un termine medico dal
significato univoco.
- nuova impostazione
del problema:
sbarazzato il campo dalle opinioni errate,
Giacomini imposta daccapo la discussione partendo
dalla definizione del fine dellarte,
in altri termini, collocando la questione della purgazione
della tragedia nel quadro della teoria
estetica o della teoria generale delle arti.
Stabilito con Aristotele che larte è
unattività produttiva il cui fine è
loggetto artistico, Giacomini afferma che
il fine del poeta è il poema, come fine del
musico è la melodia, del pittore la pittura e
del medico la salute. Quindi dice cosè il
poema (p. 351), per poi esaminare e discutere
nella pagina successiva ogni membro della
definizione:
- limitazione dellazione
(su cui vedi Poetica, pp. 197-199) è,
nella produzione artistica, la forma,
ossia la creazione di un evento possibile sul
modello di un evento vero o creduto tale;
- il parlare è la materia del
lavoro del poeta, come i colori sono la materia
del pittore o il marmo dello scultore;
- la causa efficiente, lo strumento che
consente la realizzazione dellopera, è la
tecnica, larte poetica, ossia quel
complesso di competenze grammaticali,
linguistiche, retoriche, estetiche e culturali in
senso lato che guidano il delicato lavoro del
demiurgo;
- il fine del prodotto artistico è poi
non soltanto la purgazione, ma anche
leducazione (la formazione
delluomo e del cittadino), lozio
onesto e il giudizio critico.
- commento:
- una nuova koiné artistica:
con la propria impostazione del concetto di catarsi,
Giacomini giustifica teoricamente, attraverso la
discussione dei testi aristotelici e della
tradizione rinascimentale dei loro commentari,
quella che Palisca ha definito "una nuova
alleanza delle arti". La nuova koiné
artistica, fondata sulla mimèsi (per cui si
parlerà di arti imitative), raccoglie attorno
alla poesia in tutti i suoi molteplici generi
(lirico, epico, tragico, comico, e così via) un
nobile corteo di arti che nella sistemazione
medievale del sapere erano relegate al livello di
arti meccaniche, arti fattive, prive dello
statuto scientifico e intellettuale delle arti
liberali (trivio e quadrivio) che
costituivano il curriculum delluomo di
cultura. Le nuove arti che G.
raccoglie e unifica attorno alla poesia sono
precisamente le arti che avevano fatto la
grandezza del Rinascimento italiano e
segnatamente fiorentino: la pittura, il disegno,
la scultura, larchitettura, oltre
ovviamente alla musica che per un umanista è
inseparabile dalla poesia;
- - verso
lunità delle arti mimetiche nell
arte totale:
ricordiamo che il principio formale unificatore
della koiné artistica è la mimèsi
aristotelica, precisamente mimèsi non di cose
ma di azioni: e per Giacomini le azioni
sono sì gli eventi rappresentati nei miti e
nelle favole, tra peripezie, riconoscimenti
e esiti dei personaggi narrati, ma azioni
sono anche gli eventi interni di cui gli
eventi rappresentati sono la veste sensibile:
eventi interni chiamati da Giacomini passioni
dellanima, affetti, a cui la
musica è più dogni altra arte vicina.
Larchetipodel teatro esterno è il teatro
interno degli affetti e delle emozioni, che
danno il tono appropriato agli accadimenti del
mondo. Questa idea del teatro mentale
come fondamento del teatro visibile
è lesito culturale della nuova koiné
artistica e estetica che unifica le arti
imitative e le traghetta verso una sintesi
totale, in cui poesia, musica, pittura, danza,
scultura, architettura, meccanica, e
quantaltro, celebrano il proprio
riconoscimento: la favola musicale, il
melodramma;
-
- - la
giustificazione estetica del mondo:
cosa significa questa espressione? Significa che
larte, la bellezza, rende possibile la
vita, ci aiuta a sopportare il dolore del vivere
che la tragedia rappresenta così potentemente ai
nostri occhi. Questa, in definitiva, è la purgazione:
mostrandoci il "brutto poter che, ascoso, a
comun danno impera", la tragedia ce lo rende
sopportabile.
- Come? Innanzitutto
attraverso la bellezza delle opere
darte, attraverso larmonia che alle
arti dona lo sguardo sereno di Apollo (lestetico):
ma anche attraverso le passioni e gli affetti che
sono la materia prima delle arti (il patetico),
declinazioni rinascimentali di quel sentimento o
pulsione arcaica della vita, di quella coincidentia
oppositorum che Nietzsche chiamerà
"sentimento dionisiaco", il piacere
estetico del dolore della vita.
venerdì 24 gennaio
lettura e commento del
testo di Giacomini alla luce degli argomenti enunciati
nelle due lezioni precedenti
|