martedì
3 marzo 2009 Aula absidale di S. Lucia (via de' Chiari 25a) ingresso libero - posti limitati Wolfgang Amadé Mozart (1756-1791) Sonata per violino e pianoforte in Do maggiore K 296 Allegro vivace Andante sostenuto Rondeau: Allegro Ludwig van Beethoven (1770-1827) Sonata per violino e pianoforte in Sol maggiore op. 30 n. 3 Allegro assai Tempo di minuetto, ma molto moderato e grazioso Allegro vivace Johannes Brahms (1833-1897) Sonata n. 3 per violino e pianoforte in Re minore op. 108 Allegro Adagio Un poco presto e con sentimento Presto agitato
Gabriele Ceci, nato
a Bari nel 1990, ha studiato violino al Conservatorio “Piccinni” di
Bari, nella classe di Carmine Scarpati, diplomandosi a soli 17 anni col
massimo dei voti, la lode e la menzione speciale. Si è affermato in
numerosi concorsi, aggiudicandosi il premio “Vitale” di
Fasano e il premio “Sarro” di Trani. Nel 2004 ha vinto, per
la sua categoria, il concorso “Città di Vittorio Veneto” e nel 2007 si
è aggiudicato il premio nazionale di violino “Bruno Zanella”. Ha
suonato per importanti stagioni concertistiche: “Vallisa Giovani” e la
rassegna “Giannini” di Bari, il festival “Duni” di Matera, il “Parnaso
delle Muse” di Martina Franca e l’Accademia Federiciana di Andria. Ha
collaborato con l’Università di Bari per le “Settimane di musica e
filosofia”. Si è esibito al Teatro Piccinni nel 2004, in occasione
della commemorazione del sindaco Enrico Dalfino, e nel 2005 per la
Camerata Salentina. Ha partecipato alle masterclasses di
Alessandro Perpich, di Mariana Sirbu e, in trio con Mirco Ceci e col
violoncellista Alessandro Mazzacane, ha seguito i corsi di
perfezionamento con l’Altenberg Trio di Vienna. Nel novembre 2007 ha
suonato in duo col fratello Mirco all’ottava edizione di Mantova Musica
Contemporanea. Nell’aprile 2008, alla Hochschule di Lipsia, ha
partecipato al progetto Schubert (esecuzione integrale delle Sonate per
violino e pianoforte) e nel dicembre dello stesso anno ha eseguito il
Concerto K 219 di Mozart con l’Orchestra Sinfonica di Bari, direttore
Giuseppe Lanzetta. Mirco Ceci, nato a Bari nel 1988, ha studiato pianoforte al Conservatorio “Piccinni” di Bari, nella classe di Emanuele Arciuli, diplomandosi nel 2006 col massimo dei voti, la lode e la menzione speciale. Frequenta ora il corso superiore di composizione con Gianluca Baldi. Vincitore del concorso “Vitale” di Fasano e del premio “Sarro” di Trani, tredicenne ha eseguito il primo Concerto di Beethoven con l’orchestra del Conservatorio “Piccinni”. Si è esibito in importanti stagioni concertistiche: “Vallisa Giovani” e la rassegna “Giannini” di Bari, il festival “Duni” di Matera, il “Parnaso delle Muse” di Martina Franca e l’Accademia Federiciana di Andria. Ha collaborato con l’Università di Bari per le “Settimane di musica e filosofia”. Si è esibito al Teatro Piccinni nel 2004, in occasione della commemorazione del sindaco Enrico Dalfino, e nel 2005 per la Camerata Salentina. Si è poi perfezionato con Elisso Virsaladze e, in trio con Gabriele Ceci e col violoncellista Alessandro Mazzacane, con l’Altenberg Trio di Vienna. Prosegue gli studi all’Accademia “Incontri col Maestro” di Imola, sotto la guida di Leonid Margarius, Louis Lortie, Michel Dalberto e Riccardo Risaliti. È stato selezionato per i Concerti dell’Accademia, nell’àmbito delle Settimane musicali di Crans (Svizzera). Ha vinto numerosi concorsi, fra cui il “Pietro Argento” di Gioia del Colle e il “Premio Venezia”. Nel 2007 ha suonato per i concerti del Museo Pigorini di Roma e per Mantova Musica Contemporanea, da solista e in duo col fratello Gabriele. |
Come
i destrieri dell’Aurora Gabriele Ceci violino Mirco Ceci pianoforte Con
passo scalpitante ed incalzante, simile a quello dei cavalli nell’Aurora affrescata
da Guido Reni nel Casino Pallavicini – il paragone pittorico è di
Elisabeth von Herzogenberg, riferito all’Op. 108 di Brahms –, le Sonate
in programma questa sera ci conducono nel mondo dello stile concertato
e del dialogo tra i due strumenti principi dell’età classico-romantica:
il violino e il pianoforte.
Nell’autunno del 1777, il ventunenne Wolfgang Amadé Mozart – in viaggio verso Parigi – si stabilisce con la madre per qualche mese a Mannheim: spera di trovar lavoro alla corte del principe elettore palatino Carlo Teodoro. La florida vita musicale della città, sede d’una delle massime orchestre d’Europa, lo affascina e lo stimola. Scrive vari lavori, perlopiù cameristici, fra cui le Sonate per pianoforte e violino K 296, 301-303 e 305, note anche come Clavierduette (duetti col pianoforte); di fatto, la parte pianistica prepondera. Nel puntare ad uno stile concertante libero ed espressivo, questi lavori si collocano sulla scia dei “duetti” di Johann Schobert e Joseph Schuster, che Mozart aveva conosciuto e apprezzato nelle sue tournées da ragazzo prodigio. Composta l’11 marzo 1778, la K 296 è dedicata a Thérèse Pierron Serrarius, figlia del consigliere di corte di Mannheim. Nell’Allegro vivace, il violino lumeggia con alcuni “tocchi di colore” le frasi melodiche principali affidate al pianoforte, prim’attore indiscusso. La parte pianistica spicca anche nell’Andante sostenuto: solo nella sezione centrale il violino si erge in un canto appassionato. Segue il brillante Allegro conclusivo, un rondò, basato su un tema regolare di otto battute, sostenuto da un accompagnamento in crome impreziosito da trilli: qui i due strumenti, infine, instaurano un dialogo alla pari. Dedicate allo zar Alessandro I, le tre Sonate op. 30 per violino e pianoforte di Beethoven risalgono al maggio 1802. Ricche di sfoggi virtuosistici, in particolar modo al pianoforte, mettono in risalto l’alto grado di perfezionamento tecnico cui erano giunti i due strumenti ai primi del secolo. Il 1802 è anche l’anno del Testamento di Heiligenstadt – indirizzato (ma mai spedito) ai fratelli – in cui il compositore sfoga il proprio tormento per l’incurabile sordità. Se il dramma personale di Beethoven pare riflettersi nel forte pathos di alcuni lavori coevi, la Sonata op. 30 n. 3, in programma questa sera, sublima l’impetuosa vis drammatica sotto lo smalto di un’impeccabile eleganza classica, che nel primo movimento si abbandona anche a qualche delicato episodio contrappuntistico. Un trasognato incanto pervade il tema principale del tempo lento, un minuetto «moderato e grazioso». Nell’Allegro vivace, in forma di rondò, il carattere energico e rapsodico prorompe in una spensierata vitalità. Johannes Brahms scrisse la Sonata op. 108 tra il 1886 e il 1888, durante i soggiorni estivi a Hofstetten, sul lago di Brienz, nella Svizzera centrale. Le villeggiature lacustri di Brahms furono tra le più prolifiche: nella tranquillità del paesaggio elvetico, attorniato dall’amabile compagnia di cari amici, il compositore concepì sommi capolavori cameristici. Dedicata a Hans von Bülow, la Sonata si distacca dalle due precedenti per la straripante invenzione melodica, che fa aggio sugli estesi, rigorosi sviluppi contrappuntistici. L’Allegro iniziale è costruito in una forma-sonata di ampie dimensioni, basata su un materiale musicale perlopiù ricavato dal primo tema; lo slancio in avanti che pervade l’esposizione appare come “bloccato” nello sviluppo, un lungo ghirigoro imbastito interamente su un “pedale” di La. Nell’Adagio, in forma bipartita, il violino enuncia una melopea dolce e appassionata, dapprima nel registro medio-grave, poi, nella seconda sezione, in quello acuto, quasi a dischiudere un radioso cono di luce. Un intermezzo capriccioso è il terzo movimento, Un poco presto e con sentimento, simile ad uno Scherzo nel carattere ma differente nella forma, animato da un motivo saltellante. Il Finale, Presto agitato, di nuovo in forma-sonata, si fregia di un’ampia coda finale, basata sul primo tema. Andrea Giorgetti coordinamento e redazione ingresso gratuito - posti limitati info: tel. 051 2092413; soffitta.muspe@unibo.it |