martedì 17 febbraio, ore 21 Aula absidale di S. Lucia (via de' Chiari 25a) ingresso libero - posti limitati Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847) Lied ohne Worte op. 109 Sonata n. 1 op. 45 in Si bemolle maggiore Allegro vivace Andante Allegro assai Variations concertantes op. 17 Albumblatt op. 117 Sonata n. 2 op. 58 in Re maggiore Allegro assai vivace Allegretto scherzando Adagio Molto allegro e vivace Maurizio Baglini,
premiato giovanissimo nei più importanti concorsi internazionali
(“Busoni” di Bolzano, “Chopin” di Varsavia, “Kapell” del Maryland), a
24 anni vince il “World Music Piano Master” di Montecarlo. Come solista
e in formazioni cameristiche è ospite dei massimi Festival di tutto il
mondo (La Roque d’Anthéron, Loeckenhaus, Yokohama Piano Festival,
Australian Chamber Music Festival, “Rossini Opera Festival” di Pesaro,
Unione Musicale di Torino). Solista con orchestre quali la
Philarmonique di Montecarlo, la Sinfonica di Barcellona, il Zürcher
Kammerorchester, la Baltimore Symphony, ha collaborato con direttori
quali Emmanuel Krivine, Armin Jordan, Maximiano Valdés. Ha al suo
attivo una rilevante discografia che include, fra l’altro, due
registrazioni degli Studi di
Chopin, eseguiti su strumenti originali del sec. XIX e sul pianoforte
moderno. Interprete versatile, nutre un profondo interesse per la
prassi esecutiva filologica sul clavicembalo e sul ‘fortepiano’. Nel
dicembre 2007 è stato invitato, unico pianista italiano, a festeggiare
i cent’anni della Salle Gaveau di Parigi. Nel 2008 ha eseguito al Musée
d’Orsay di Parigi la Nona di Beethoven nella trascrizione pianistica di
Liszt, accompagnato dal Coro di Radio France. Di recente ha inciso
l’opera integrale per pianoforte di Rolf Urs Ringger, con cinque prime
assolute. Silvia Chiesa ha studiato con Rocco Filippini, Mario Brunello e Antonio Janigro. Il debutto solistico al Barbican Hall di Londra col Triplo Concerto di Beethoven le apre una collaborazione con la Royal Philarmonic Orchestra e un brillante tour americano. Ha eseguito in prima assoluta composizioni di Nicola Campogrande, Aldo Clementi, Maxwell Davies, Giovanni Sollima. Matteo d’Amico le ha dedicato Il filo di Teseo per violoncello e orchestra, eseguito nei “Pomeriggi musicali” di Milano. Ha collaborato con Mario Brunello, Bruno Canino, Rocco Filippini, Rajna Kabaivanska, Alicia de Larrocha. Da solista ha suonato con Luciano Acocella, Paolo Arrivabeni, Daniele Gatti. Dal 2005 collabora stabilmente col pianista Maurizio Baglini, col quale ha inciso le sonate di Chopin, Debussy e Saint-Saëns. Violoncellista del Trio Italiano dal 1997 al 2002, ha suonato per importanti istituzioni musicali (Settimane musicali di Stresa, Istituzione universitaria dei Concerti di Roma, Orchestra Sinfonica “Verdi” di Milano, Société Philarmonique di Bruxelles). Per l’Unione Musicale di Torino ha eseguito l’integrale dei trii di Schumann; per gli Amici della Musica di Padova l’integrale dei trii di Brahms, al Teatro Bibiena di Mantova l’integrale dei trii di Beethoven registrati live dal canale televisivo RAI Sat Show. |
Questo continuo turbinare Silvia Chiesa, violoncello Maurizio Baglini, pianoforte Nel novembre 1821 Mendelssohn incontra il vecchio Goethe per la prima volta a Weimar: il dodicenne enfant prodige gli suona al pianoforte fughe di Bach, l’ouverture delle Nozze di Figaro
di Mozart e alcune composizioni proprie. Quattro anni più tardi propone
a Goethe il Quartetto per archi e pianoforte in Si minore, pubblicato
poi come Op. 3 e dedicato al poeta: il quale ne trasse l’impressione di
un «continuo turbinare e roteare» di note. Questo stile fervido e
florido, rapido e rigoglioso, costituì poi una cifra duratura dello
stile di Mendelssohn.
Tra l’estate e l’autunno del 1838 Mendelssohn, ventinovenne, si concede un periodo di vacanza in famiglia, nella residenza berlinese dei genitori, lontano dagli imminenti impegni pubblici e dagli incarichi di direttore che l’avevano di recente impegnato a Colonia. In questa tranquilla cornice domestica compone la prima Sonata per violoncello e pianoforte, Op. 45 in Si bemolle maggiore, nelle parole di Schumann «un sorriso che si libra attorno alla sua bocca, quello della gioia nella sua arte, di un quieto autocompiacimento in un’intima cerchia famigliare». L’opera, scritta per il fratello minore Paul, violoncellista, è pervasa da una classica serenità, che rinuncia a drammatici contrasti entro i movimenti e fra di essi, preferendo l’equilibrio e la stabilità strutturale. Il movimento iniziale si apre con un primo tema sinuoso e cromatico enunciato dal pianoforte e dal violoncello all’unisono. Lo sviluppo utilizza sia elementi del tema d’apertura, sia, nell’ultima parte, cellule del secondo tema, veemente e appassionato. Alla ripresa tiene dietro una coda finale con fuoco. L’Andante è una pagina suggestiva, che sfrutta abilmente le capacità ritmico-articolatorie del violoncello: il tema principale, in Sol minore, viene esposto dapprima dal solo pianoforte, poi dal violoncello sostenuto dagli accordi del pianoforte. Il contrasto col secondo tema, in Sol maggiore, è evidente anche nell’accompagnamento pianistico, che riprende la struttura ritmica, e in certi casi anche melodica, del primo tema. Nell’ultimo movimento, in forma di rondò-sonata, il violoncello enuncia un tema elegante e cantabile, che plana sopra un cullante accompagnamento del pianoforte; esso si alterna a episodi più irruenti, agitati e virtuosistici, basati su un secondo tema ricorrente. La composizione si spegne dolcemente con delicati arpeggi pianistici. La seconda Sonata, Op. 58 in Re maggiore, fu presentata nel novembre del 1843 al Gewandhaus di Lipsia, l’insigne società concertistica di cui Mendelssohn era da anni direttore artistico. Ultimata nell’estate precedente, fu scritta ancora una volta per il fratello Paul e dedicata al conte russo Mathieu Wielhorski. Rispetto alla prima Sonata, questa è meno classicamente equilibrata, già a partire dalla suddivisione in quattro tempi, caso unico tra le Sonate di Mendelssohn. In apertura svetta il violoncello; il pianoforte dapprima lo accompagna, poi s’impadronisce del tema, che il violoncello sostiene dapprincipio con ampie arcate, indi con veloci note ribattute. Lo sviluppo conduce gli strumenti ad un intenso dialogo, sfruttando parimenti elementi del primo e del secondo tema, per poi accennare una “falsa ripresa” del primo, soppiantata di lì a poco dalla ripresa vera e propria. Il secondo movimento presenta un tema iniziale scherzoso e leggiadro, in perfetta sintonia con l’andamento indicato in partitura (Allegretto scherzando). Il secondo tema è lirico e trascinante; nel corso del movimento, tale evidente contrasto tra i due temi diventa a tratti drammatico, per poi concludersi sommessamente con una cadenza che riprende la saltellante figura d’apertura del primo tema. Il terzo movimento, quasi un preludio al successivo, apre solennemente con una sorta di corale scandito per ampi arpeggi del pianoforte; su di esso il violoncello intona un lirico recitativo; sul finire riprende spazio il pianoforte, che si impossessa della scena con un motivo dolcemente sospeso sopra un ‘pedale’ tenuto del violoncello. L’ultimo movimento è sfrenato, virtuosistico: aggressivi arpeggi al pianoforte e turbinosi passaggi imitativi fra i due strumenti introducono il primo tema, esuberante e cristallino, esposto a vicenda dal pianoforte e dal violoncello. Stessa sorte per il secondo tema, anch’esso di carattere gioioso. Dopo un breve sviluppo che combina elementi tratti da entrambi i temi con “volate” virtuosistiche, si ritorna ai due temi principali con una ripresa seguita da una lunga fase cadenzale: il finale è travolgente. Ancora a Lipsia, nell’ottobre del 1845, Mendelssohn aprì il primo concerto di musica da camera del Gewandhaus con un Lied ohne Worte per violoncello e pianoforte, pubblicato postumo come Op. 109. In quell’occasione si esibì in duo con l’affascinante violoncellista francese Lisa Cristiani, cui è dedicata questa ‘Romanza senza parole’. La breve composizione, tripartita (ABA), concepisce il violoncello come prim’attore assoluto. Ad esso è affidato un primo tema tenero e vagamente malinconico; nella sezione centrale l’incedere si fa più agitato, con un tema in modo minore che, dopo qualche attimo di abbandono lirico del solista, lascia spazio alla ripresa del primo tema, seguito da una breve coda. Scritte nel 1829 e pubblicate l’anno seguente, le Variations concertantes op. 17 rappresentano una raffinatissima prova di scrittura da parte di un Mendelssohn appena ventenne. Costruita su un delicato tema in Re maggiore, l’opera comprende otto variazioni, di cui le prime sei fortemente aderenti al tema. Nella settima, turbolenta, in Re minore, il pianoforte interviene con martellanti ottave che per un momento rompono l’equilibrio e la simmetria del tema. Nella variazione conclusiva il tema ritorna al pianoforte, sostenuto dal violoncello: con un lungo e disteso ‘pedale’ esso anticipa un crescendo e un graduale accelerando che conducono ad una breve e drammatica fase centrale, prima che le battute conclusive riconducano la ritrovata serenità. Nel 1836 Mendelssohn conobbe Friedrich Wilhelm Benecke, zio della moglie Cécile, per il quale l’anno dopo scrisse un Allegro in Mi minore per pianoforte, intitolato Albumblatt. Pubblicato postumo nel 1859 come Op. 117, il brano, tripartito (ABA), è animato da fluenti arpeggi che sostengono un tema virile e dissonante. La parte centrale, in Mi maggiore, è invece più cantabile: mentre la mano destra esegue una delicata melodia nella cui trama si scorgono mormoranti arpeggi, la sinistra accompagna con fermi accordi. La conclusione è affidata ad una fedele ripresa della prima parte. Lorenzo Rubboli coordinamento e redazione ingresso gratuito - posti limitati info: tel. 051 2092413; soffitta.muspe@unibo.it |