Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna La Soffitta 2003 - TEATRO
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LA SOFFITTA 2003

ministero per i beni e le attività culturali ·
direzione generale per lo spettacolo dal vivo
regione emilia romagna · assessorato alla cultura
provincia di bologna · assessorato alla cultura
facoltà di lettere e filosofia
16 gennaio - 13 aprile
27 febbraio/27 marzo 2003
IL FIORE DEL TEATRO NO
Le radici della scena giapponese
a cura di Giovanni Azzaroni e Matteo Casari

LO SPECCHIO DEL FIORE
proiezioni dal teatro NO
Palazzo Marescotti, 27 febbraio, 6-13-20 marzo - ore 17
video introdotti da Giovanni Azzaroni e Matteo Casari

27 febbraio 2003, ore 17 · Palazzo Marescotti, via Barberia 4

Rashomon
di Kurosawa Akira

video introdotto da Giovanni Azzaroni

Kurosawa Akira: film a misura di uomo*

Il cinema di Kurosawa (1910-1998) si è spesso più o meno fedelmente ispirato a classici della letteratura occidentale, da Shakespeare, restituito in tutta la sua "aura barbarica", a Gorkij e a Dostoevskij. La sua formazione culturale è stata influenzata dal romanzo europeo, dalla pittura impressionista, da Fritz Lang e da John Ford; contestualmente la suggestione del mondo picaresco e fiabesco dei samurai, gli scrittori giapponesi tra Ottocento e Novecento e i registi Mizoguchi e Ozu hanno indelebilmente segnato il suo lavoro. Kurosawa è la tangibile e intelligente dimostrazione di "migrazione culturale" nella accezione che "si è cosmopoliti e universali solamente se si è ben radicati in una tradizione precisa". La sua formazione cinematografica, in particolare, ha risentito in modo forte dell’esempio americano, dal quale ha appreso soprattutto la perfezione tecnica, che sarà una delle caratteristiche dominanti del suo cinema, e la spettacolarità, considerata uno degli elementi che permettono di raggiungere più facilmente il grande pubblico. Dagli ideali dei samurai è derivato invece il desiderio di mostrare sullo schermo la verità e la dirittura morale in contrasto con la corruzione e la malvagità, la preferenza per protagonisti duri e puri, la critica verso tutti coloro che agevolano e approvano il diffondersi dell’ingiustizia.

Sin dai suoi primi film, Kurosawa ha cercato la contaminazione della tradizione millenaria dell’umanesimo giapponese con l’influenza occidentale che da più di un secolo è giunta nel Paese del Sol Levante, mettendola a confronto sia con problemi universali che con temi del nostro tempo. Cineasta versatile, capace, al pari dei grandi scrittori russi, ai quali spesso si è ispirato, di scendere nel torbido come di elevarsi verso il sublime, ha posto l’Uomo al centro delle sue storie per una intrinseca necessità poetica.

Il cinema di Kurosawa è stato spesso definito realista non perché copi dalla realtà ma al contrario per la dote culturale di rendere il reale dall’interno come risultato del suo lavoro, dalla scelta dei soggetti al sofisticato uso dei mezzi tecnici, dalla cura maniacale del particolare nei costumi e nelle scenografie all’illuminazione, dalla direzione degli attori alla rappresentazione delle forze della natura. Realizzare un cinema vero non significa riproporre in immagini ciò che si vede ma bensì coglierne l’intima essenza e, con un proprio singolare sguardo, ricrearla sullo schermo. Solo i registi più grandi vi sono riusciti, e certamente Kurosawa è tra questi. Il suo talento nel combinare realismo e trasfigurazione del reale in pura poesia fa la grandezza del suo cinema epico, poiché nessuna epopea può essere tale senza una trasposizione in senso lirico di puri fatti.

Dal 1948 all’anno della sua morte, Kurosawa ha diretto ventiquattro film utilizzando alternativamente ambienti moderni o classici e offrendo una visione dell’uomo - mai retorica né alterata da stereotipi di alcun genere - a tratti immediatamente riconoscibile per la sua originalità e al contempo intimamente legata al mondo occidentale. Quando, nel 1998, ne è stata annunciata la scomparsa, il mondo intero ha avvertito con chiarezza di trovarsi di fronte alla fine di un’epoca e di un modo magistrale di concepire il cinema. La complessità artistica della sua filmografia e l’estrema ricchezza stilistica permettono di classificarlo come uno dei registi più importanti della storia del cinema.

* Materiali tratti da Bruscolini Elisabetta, a cura di, Tenno, lImperatore - Il cinema di Akira Kurosawa, Edizioni Socrates, Roma, 1995; Novielli Maria Roberta, Storia del cinema giapponese, Marsilio, Venezia, 2001.

Rashomon**

Regia: Kurosawa Akira, sceneggiatura: Hashimoto Shinobu e Kurosawa Akira, fotografia: Miyagawa Kazuo, scenografia: Matsuyama So, musica: Hayasaka Fumio, interpreti: Mifune Toshiro (Tajomaru, il bandito), Mori Masayuki (Takehiro, il samurai), Kyo Machiko (Masago, sua moglie), Shimura Takashi (il boscaiolo), Chiaki Minoru (il bonzo), Ueda Kichijiro (il passante), Kato Daisuke (l’informatore della polizia), Homma Fumiko (la miko), produzione: Minoru Jingo per la Daiei, distribuzione: Daiei, durata: 88’
Vincitore del Leone d’Oro alla Mostra del cinema di Venezia nel 1951 e dell’Oscar come Miglior Film Straniero negli USA sempre nel 1951.

Rashomon: le quattro verità**

Nel 1950, a quarant’anni, Kurosawa porta sullo schermo due racconti brevi di Akutagawa Ryunosuke, un lucido e caustico scrittore del primo Novecento: Rashomon e Nel bosco. Dal secondo muta la vicenda e la struttura, dal primo un’ampia serie di spunti e, ovviamente, il titolo. Il film è ambientato nel X secolo, periodo Heian, a Yamashina, una zona vicino Kyoto.

Un sacerdote buddhista e un boscaiolo si riparano dalla pioggia sotto la Porta di Rasho, stanno parlando delle dicerie a proposito di un samurai trovato pugnalato a morte nel bosco; un passante si unisce a loro. A tale quadro si alternano quindi le deposizioni dei protagonisti della vicenda.

Davanti a un tribunale in cui la giuria è lo spettatore stesso Tajomaru, il rapinatore sospetto, dichiara: "Fui attratto dalla bellezza della moglie del samurai, con l’inganno lo legai per violentare la moglie, ma lei mi implorò di combattere un duello con il marito e io vinsi in un combattimento leale. La moglie scappò via durante il duello". Ma la moglie Masago afferma: "Fui violentata e desideravo morire. Chiesi a mio marito di uccidermi, ma lui riusciva solo a ridere di me. Ero così fuori di me che usai il pugnale per ucciderlo, poi tentai di uccidermi, ma fallii. Il rapinatore gli rubò la spada e fuggì". L’anima del samurai deceduto, Kanazawa Takehiro, evocata da una miko (medium) dichiara: "Il rapinatore invitò mia moglie con lui e lei acconsentì, ma prima lo spinse a pugnalarmi. Mentre discutevo con lui, mia moglie fuggì via. Il ladro tagliò le corde che mi legavano e se ne andò così mi uccisi col pugnale di mia moglie". Il taglialegna, infine, ammette davanti al monaco e al passante di essere stato testimone degli accadimenti, ma nessuno può credere più nemmeno alla sua versione.

Tutte queste affermazioni sono fatte per difendere l’onore e la dignità delle persone che testimoniano e nessuno può giudicare quale sia la verità. Quanto accaduto viene visto da quattro angolazioni completamente separate, ma al punto più importante di ciascuna testimonianza giungono le contraddizioni. Gli uomini tendono a costruire i loro racconti perché si adattino alla propria convenienza e la verità non può essere determinata. Il finale, però, è inaspettatamente positivo.

Ai produttori della Daiei che trovavano la sceneggiatura incomprensibile, Kurosawa rispondeva: "Ma è il cuore umano che è incomprensibile!".

** Materiali tratti da Bruscolini Elisabetta, a cura di, Tenno, lImperatore - Il cinema di Akira Kurosawa, Edizioni Socrates, Roma, 1995; Tossone Aldo, Akira Kurosawa, Editrice Il Castoro, Milano, 1994.

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