Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna La Soffitta 2003 - TEATRO
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LA SOFFITTA 2003

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facoltà di lettere e filosofia
16 gennaio - 13 aprile
27 febbraio/27 marzo 2003
IL FIORE DEL TEATRO NO
Le radici della scena giapponese
a cura di Giovanni Azzaroni e Matteo Casari

LO SPECCHIO DEL FIORE
proiezioni dal teatro NO
Palazzo Marescotti, 27 febbraio, 6-13-20 marzo - ore 17
video introdotti da Giovanni Azzaroni e Matteo Casari

20 marzo 2003, ore 17 · Palazzo Marescotti, via Barberia 4

Hagoromo
con il Maestro Manzaburo Umewaka

video introdotto da Matteo Casari

Riflessioni sul principio di progressione drammatica jo ha kyu

L’intera drammaturgia no è suddivisa in cinque gruppi che si possono a grandi linee definire tematici. I drammi del primo gruppo, detti drammi di divinità (kami no no) o di waki (waki no no) hanno in genere come protagonisti divinità o spiriti positivi e il loro messaggio vuole essere beneaugurante e propiziatorio. Il secondo gruppo, quello dei no di battaglie (shuramono) o di guerrieri (ashuramono), inscena nella maggior parte dei casi la vicenda drammatica e commovente di un guerriero sconfitto. I no della parrucca (katsuramono), afferenti al terzo gruppo, sono invece incentrati sulla vicenda di bellissime donne, dame di corte, principesse o addirittura angeli come nel caso di Hagoromo. Il quarto gruppo si presenta come il più eterogeneo, vari sono i temi che vi confluiscono. È in genere suddiviso in drammi di avvenimenti terreni (genzaimono), drammi di spiriti vendicativi (onryomono) e drammi di follia (kuruimono). Il quinto gruppo raccoglie i no di demoni (kichikumono), detti anche no finali (kiri no mono), in cui un demone o uno spirito minaccioso e malvagio viene ricondotto alla calma e alla benevolenza.

Tale suddivisione acquista la sua giusta proporzione e ragione d’essere solo se associata al principio ritmico-formale del jo ha kyu (preludio sviluppo finale), principio strutturale rinvenibile ad ogni livello del no inteso come testo spettacolare.

La giornata no classica, ad esempio, costituita da cinque no intervallati da quattro kyogen (farsa comica), è informata su tale modello: il primo no, scelto tra i drammi del primo gruppo, costituisce la sezione jo della giornata; il secondo, terzo e quarto, scelti rispettivamente tra quelli dei gruppi omonimi, costituiscono la sezione ha - a sua volta suddivisa in jo (secondo dramma), ha (terzo dramma) e kyu (quarto dramma); la quinta opera, ovviamente afferente al quinto gruppo, corrisponde alla sezione conclusiva kyu.

Allo stesso modo ogni no, tradizionalmente costituito di due parti, è suddiviso in jo (dal preludio dell’orchestra all’esposizione del waki), ha (dall’ingresso dello shite alla sua uscita la termine della prima parte) e kyu (tutta la seconda metà dell’opera), come pure ogni più piccola unità di movimento o canto proposte in scena dall’attore. Si delinea così una sorprendente corrispondenza biunivoca tra il grande e il piccolo, corrispondenza che grazie anche al principio del soo (concordanza) enunciato da Zeami, fa di questo coacervo di frazioni tra loro apparentemente slegate e autonome un insieme altamente coeso: il grande ricalca il piccolo e il piccolo il grande in un flusso circolare perpetuo che rende inservibile ogni ordine di grandezza e comparazione.

In virtù della coincidenza tra macrostruttura e microstruttura appena individuata, del loro essere parti integranti di un tutto organico, propongo per traslato l’analogia con il grande Uno, con l’Indistinto da cui tutto origina e tutto torna, con l’idea che l’Oriente - il grado di generalizzazione qui proposto è altissimo - ha del creato. Non a caso le categorie rappresentate dai cinque gruppi drammaturgici e la schiera di personaggi rinvenibili nell’intero repertorio forniscono una completa mappatura dello scibile mondano e ultramondano nel quale la società giapponese non solo rappresenta se stessa ma interpreta anche le proprie esperienze. Un simile presupposto fa del no, e questo è il mio convincimento, uno specchio privo di imperfezioni capace di riflettere fedelmente l’immagine dell’universo, di incarnarne il bios mantenendone il ritmo: sulla sua scena, oltre alle specifiche narrazioni e biografie, è così possibile assistere all’eterna danza per l’armonia degli opposti. Essendo per supero e umano - mantenendo con l’artificio ancora disgiunti i due estremi - medesimo il cuore e il pneuma che li sostanzia, Zeami afferma l’assoluto nel suo principio: "In ogni cosa, infatti, si trova [la progressione] preludio, sviluppo, finale."¹

Note sul dramma Hagoromo

L’inserimento di un dramma in uno dei cinque gruppi non avviene solo in base a meccanici criteri tematici, ma determinanti possono risultare anche le qualità fisiche o biografiche del personaggio e specifici elementi qualitativi e tecnici. Hagoromo, ad esempio, può essere in tal senso definito un dramma "fluttuante": nato come no del quarto gruppo, si riscontra tra quelli del quinto nella scuola Hosho e, almeno dal periodo Edo (1603-1868), è solitamente apparentato al terzo.

La natura femminile e angelica del personaggio principale ne fanno un dramma, tra i più amati in Giappone, fondamentalmente basato sullo yugen, l’incanto sottile, l’ineffabile bellezza che sostanzia lo stile oltre ogni stile proprio del fiore meraviglioso: nella giornata no classica costituirebbe il dramma ha della sezione ha.

Diversamente dalla maggior parte dei drammi no Hagoromo è un atto unico in cui lo shite, fin dal suo ingresso, si presenta secondo la sua vera natura e identità.

Il video proposto oggi si riferisce alla rappresentazione tenuta dal Maestro Umewaka Manzaburo al Kokuritsu Nogakudo (Teatro Nazionale per il no) di Tokyo, il 5 maggio 1996.

Hagoromo (terzo gruppo, autore Zeami)²

I personaggi:
Waki, un pescatore
Wakitsure, due pescatori
Shite, un angelo

La trama:
A Matsubara, sulla baia di Mio, alcuni pescatori stanno camminando quando uno di loro trova un meraviglioso vestito adagiato sul ramo di un pino. Mentre il pescatore sta per prenderlo con l’intenzione di portarlo a casa con sé, un angelo giunge e spiegando che si tratta di un vestito di piume proveniente dal paradiso lo reclama come proprio. Il pescatore si fa ancor più determinato a impadronirsene per farne un tesoro nazionale ma, quando l’angelo pieno d’angoscia gli dice che senza di esso non potrà più ascendere al paradiso, questi si commuove tanto da accettare, a patto che l’angelo danzi per lui, la restituzione della veste. In principio il pescatore si rifiuta di restituire il vestito prima che la danza sia eseguita preoccupato che l’angelo, appena riavutolo, se ne sarebbe andato non mantenendo la promessa. Quando l’angelo, però, gli fa notare che un simile comportamento è solo degli uomini e non appartiene invece agli esseri celesti, il pescatore restituisce con imbarazzo la veste. Pieno di gioia l’angelo la indossa e danza e proferendo innumerevoli benedizioni scompare in cielo tra le nubi e la foschia.

¹ Zeami Motokiyo, La tradition secrète du no, a cura di René Sieffert, Gallimard, Paris, 1960, trad. it., Il segreto del teatro no, Adelphi, Milano, 1987³, p. 96

² Per l’attribuzione di Hagoromo a un autore e a un gruppo, e per la sua trama mi sono riferito a P.G. O’Neill, A Guide to No, Hinoki Shoten, Tokyo-Kyoto, 1954

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