martedì 9 febbraio 2010, ore 21 Aula absidale di S. Lucia (via de' Chiari 25a) ingresso libero - posti limitati Ludwig van Beethoven (1770-1827) Sinfonia n. 9 in Re minore op. 125 nella trascrizione per pianoforte di Franz Liszt (1811-1886) Allegro ma non troppo, un poco maestoso Molto vivace Adagio molto e cantabile Presto. Allegro assai Maurizio Baglini,
Premiato giovanissimo nei più importanti concorsi internazionali –
“Busoni” (Bolzano), “Chopin” (Varsavia), “William Kapell” (College
Park, Maryland) –, a soli 24 anni vince con consenso unanime della
giuria il “World Music Piano Master” di Montecarlo. Ospite di numerosi
Festival in tutto il mondo (La Roque d’Anthéron, Kammermusikfestspiele
Lockenhaus, Yokohama Piano Festival, Australian Chamber Music Festival,
Festival pianistico “Benedetti Michelangeli” di Bergamo e Brescia),
viene regolarmente invitato da istituzioni concertistiche
internazionali di spicco come solista e in formazioni cameristiche
(Salle Gaveau di Parigi, Kennedy Center di Washington, Auditorium del
Louvre, Gasteig di Monaco di Baviera). Si è esibito con orchestre quali
la Philharmonique di Montecarlo, la Simfònica di Barcellona, il Zürcher
Kammerorchester, ha collaborato con direttori quali Emmanuel Krivine,
Armin Jordan, Howard Griffiths. Le sue esecuzioni sono state apprezzate
e recensite dalla critica internazionale. Ha al suo attivo una
rilevante discografia che include, fra l’altro, due versioni dei 27
Studi di Fryderyk Chopin, eseguiti sia su strumenti originali, sia su
pianoforte moderno (Phoenix Classics). Nel 2009 ha ultimato la
registrazione dell’opera integrale per pianoforte di Bach-Busoni, edita
da Tudor. Ha pubblicato per Kojima Productions un DVD col Primo
Concerto di Chopin accompagnato dalla New Japan Philharmonic Orchestra.
Interprete versatile, ha un vasto repertorio che spazia da William Byrd
alla musica contemporanea, con riferimenti importanti a Chopin, oltre
ad un profondo interesse per la prassi esecutiva d’epoca su
clavicembalo e fortepiano. Dedicatario insieme alla violoncellista
Silvia Chiesa del pezzo D’après cinq chansons d’élite
di Azio Corghi, ha inciso questa prima assoluta per la casa
discografica Concerto. Nel 2008 ha eseguito al Musée d’Orsay di Parigi
la Nona Sinfonia di Beethoven nella trascrizione per pianoforte solo di
Franz Liszt, accompagnato dal Coro di Radio France diretto da Matthias
Brauer, in diretta radiofonica su France Musique. Nel giugno dello
stesso anno ha pubblicato con Silvia Chiesa le opere di Camille
Saint-Saëns per violoncello e pianoforte per la rivista musicale
«Amadeus». È direttore artistico del Festival Dionysus, che si tiene
ogni estate nel castello di Colle Massari, a Cinigiano presso Grosseto. |
La Nona e il suo doppio Maurizio Baglini, pianoforte Il
7 maggio 1824 il pubblico viennese tributò un clamoroso successo alla
Nona Sinfonia di Beethoven, grandioso approdo di una produzione
cominciata proprio all’inizio del secolo. E quasi un trentennio dura il
lavoro di trascrizione per pianoforte delle nove sinfonie da parte di
Franz Liszt che vi si dedica, a fasi alterne, dal 1836: nel 1865
l’editore Breitkopf & Härtel ne pubblica l’edizione completa,
dedicata al direttore e pianista Hans von Bülow. Fin dal 1804,
riduzioni pianistiche delle opere sinfoniche beethoveniane erano
circolate in gran numero sul mercato, a scopi didattici e divulgativi:
prima di Liszt, Hummel e Kalkbrenner – tra gli altri – avevano dato
alle stampe i loro arrangiamenti. Da tutte le precedenti versioni Liszt
prese le distanze, liquidandole come volgarizzazioni rozze e mediocri.
Il suo approccio persegue due scopi ambiziosi. Anzitutto quello di
erigere un personale monumento all’ineguagliabile genio compositivo di
Beethoven, «nome sacro all’arte» – così scrive in apertura della
prefazione alle sue trascrizioni – nonché figura di riferimento e
mito da lui idealizzato fin dalla fanciullezza. In secondo luogo, e non
senza consapevole orgoglio, Liszt intendeva le proprie trascrizioni
come partitions de piano: non
mere riduzioni, bensì vere e proprie partiture nel segno del suo
pianismo trascendentale. E quasi a celebrare i progressi tecnici
compiuti nella costruzione del pianoforte, ne esplora tutte le risorse
sonore, espressive e timbriche, carpendo della tessitura orchestrale
non solo i contorni e il disegno generale, ma la pienezza dell’ordito e
della trama fin nei minimi dettagli. Certo, è consapevole che
all’orchestra resta comunque il vantaggio delle risorse timbriche
differenziate, e che nel suo lavoro en blanc et noir se ne può talora sentire la mancanza: nel caso della Nona
pensiamo tra l’altro alle fasce sonore dei legni che, spesso per
sortite in successione, contribuiscono all’amalgama orchestrale; o al
sussulto dei timpani nel mezzo del secondo movimento; o alla voce del
fagotto che, nel quarto, contrappunta il «tema della gioia». La resa
timbrica è comunque evocata dalle puntuali indicazioni disseminate in
tutta la partition circa gli
strumenti che intervengono di volta in volta in orchestra. Quale
«incisore intelligente e traduttore coscienzioso», Liszt segue battuta
per battuta il modello e, se non proprio al dettato, resta fedelissimo
al suo spirito: nel Molto vivace, ad esempio, sopprime la linea
ascendente dei violini secondi per rendere meglio percepibile
l’apparire del tema nei violini primi; ma non esita a restituire tutto
lo scoppio terrificante del Finale – la «fanfara del terrore», per
dirla con Wagner – ripristinando l’accordo dissonante che Kalkbrenner
aveva ritenuto opportuno temperare un po’. Riprende ogni indicazione di
Beethoven, da quelle di metronomo a quelle espressive, con qualche
aggiunta necessaria alla tecnica strumentale specifica. In mancanza del
colore, lavora “a sbalzo” sui piani dinamici, persino differenziandoli
fra le due mani in modo da consentire alle voci principali di emergere
con chiarezza. All’interprete tocca spingere il volume sonoro fino alle
estreme possibilità, facendo a gara con la massa orchestrale e
pareggiando con altrettanta fatica quella del trascrittore per
restituire, all’ormai avvezzo ascoltatore, i tratti salienti dell’opera
sinfonica: dall’aurorale e progressivo emergere del possente tema
d’apertura con tutte le sue imperiose riaffermazioni, alle più
espansive effusioni melodiche della seconda idea e ai travagli dello
sviluppo nel primo movimento; dalla macchina contrappuntistica – già
prima messa in opera col fugato – sottesa anche all’irrefrenabile
impulso ritmico del Molto vivace, ai mirabili temi con variazioni del
superbo Adagio. Il quarto movimento, punto nevralgico dell’intera
costruzione, paga lo scotto della trascrizione con la perdita più
eclatante, quella delle voci: un anno prima della pubblicazione Liszt
dichiarava l’impossibilità di terminare il lavoro e la sua intenzione
di concluderlo col terzo movimento. Il rifiuto dell’editore lo
costrinse poi a tentare l’impossibile: la soluzione fu di rinunciare a
inserire nella tessitura strumentale le parti corali, stampate però su
pentagrammi sovrapposti alla parte pianistica. Se non il testo dell’Ode
schilleriana – scaturigine stessa dell’atto compositivo musicale –
l’ascoltatore rintraccerà comunque l’emergere dell’Inno alla gioia
nelle sue diverse occorrenze, attraverso l’enigmatica mescolanza degli
stili che qui si combinano in maniera drammatica, dalla maestosa
affermazione innodica all’inflessione teatrale, dalla profanità di
smaccate turcherie al rapimento lirico e all’ispirazione religiosa. Un
contributo di più, quello lisztiano, all’affermazione della complessità
della Nona, assurta, in quasi centottant’anni, a simbolo dell’identità artistica e culturale europea.
Irene Sala coordinamento e redazione ingresso gratuito - posti limitati info: tel. 051 2092411 |