È un’iniziativa dell’Alma Mater Studiorum
Si ringrazia "Gemme del Piave" di ZANARDO s.r.l.
Si ringrazia "Gemme del Piave" di ZANARDO s.r.l.
15 marzo, ore 18.15 - 20.15 Laboratori DMS, via Azzo Gardino 65a Giuseppina La Face Lettura della Winterreise di Schubert al pianoforte Stefano Malferrari 16 marzo, ore 21.00 Aula absidale, via de’ Chiari 25a Esecuzione della Winterreise di Schubert Marcello Nardis tenore Michele Campanella pianoforte Franz Schubert (1797-1828) Winterreise versi di Wilhelm Müller Gute Nacht
Die Wetterfahne Gefrorne Tränen Erstarrung Der Lindenbaum Wasserflut Auf dem Flusse Rückblick Irrlicht Rast Frühlingstraum Einsamkeit Die Post Der greise Kopf Die Krähe Letzte Hoffnung Im Dorfe Der stürmische Morgen Täuschung Der Wegweiser Das Wirtshaus Mut! Die Nebensonnen Der Leiermann ingresso libero - posti limitati
Michele
Campanella. Artista di primo piano nel panorama
internazionale, è tra i maggiori interpreti lisztiani. Premiato dalla
Società Liszt di Budapest e dall’American Liszt Society nel 2002, ha
all’attivo incisioni per EMI, Philips, Foné, Fonit Cetra, Nuova Era. Ha
collaborato con direttori quali Claudio Abbado, Gianluigi Gelmetti,
Eliahu Inbal, Charles Mackerras, Zubin Mehta, Riccardo Muti, Georges
Prêtre. È titolare della cattedra di pianoforte all’Accademia Chigiana
di Siena. Giuseppina La Face. Violinista e musicologa, nell’Università di Bologna insegna Storia della musica e Pedagogia musicale, dirige il Dipartimento di Musica e Spettacolo, è membro del Senato. Dirige «Il Saggiatore musicale», periodico in cinque lingue. Ha svolto ricerche sulla pedagogia musicale, la poesia per musica di fine ’400, Bussotti, Händel. Per le monografie sulla Schöne Müllerin (2003) e su Winterreise (in preparazione) ha lavorato a Tübingen nella Arbeitsstelle della Neue Schubert-Ausgabe e nel Musikwissenschaftliches Institut. Stefano Malferrari. Vincitore di concorsi internazionali (Enna, Senigallia), ha tenuto concerti sia in recital sia come solista con orchestra (Sinfonica della RadioTV di Varsavia, Sinfonica di Recife, Filarmonica Marchigiana, Accademia Bizantina), in formazioni da camera e in ensembles di musica contemporanea, in importanti sale da concerto italiane ed estere (Sala Verdi di Milano, Accademia Filarmonica di Roma, Comunale di Firenze, Comunale di Bologna). Marcello Nardis. Interprete acclamato in Italia e all’estero, si è perfezionato alla Franz Liszt Hochschule di Weimar con Peter Schreier e al Mozarteum di Salisburgo con Kurt Widmer. Ha collaborato con Riccardo Muti, Daniele Gatti, Pascal Rambaud, Pinchas Steinberg, Eliahu Inbal, Lior Shambadal. È ospite dei maggiori teatri italiani e stranieri (La Scala, Santa Cecilia, La Fenice, San Carlo, Liceu di Barcellona, New National Theatre di Tōkyō). |
15 - 16 marzo 2010 La casa perduta Composto in due
mandate tra febbraio e ottobre 1827, Winterreise (Il
viaggio d’inverno) è il secondo grande ciclo liederistico di Franz
Schubert su liriche di Wilhelm Müller (1794-1827), quattro anni dopo Die schöne Müllerin.
Il tema del viaggio, comune ai due capolavori, assume nella Winterreise
risvolti sinistri: l’insistente affiorare della reminiscenza, guida
inconscia dello sviluppo narrativo, alimenta un cupo senso di
disorientamento. Frammenti di un doloroso passato emergono dal racconto
del Wanderer, il sofferente viandante, e si congelano nelle immagini di
un paesaggio invernale oscuro, immoto, in cui però a tratti sgorga,
bruciante, il dolore per l’amore perduto. I ricordi della fanciulla
amata, della florida natura primaverile, della speme d’amore
lampeggiano nel canto come simulacri di una felicità mancata. Il gelo,
la natura ostile sono metafore della condizione esistenziale del
protagonista: un viaggio simbolico nell’inverno dell’anima.
I primi dodici Lieder di Müller erano usciti a Lipsia nel 1823, in un almanacco letterario; nel 1824 altre dodici liriche si aggiunsero al ciclo, dato infine alle stampe nei Gedichte aus den hinterlassenen Papieren eines reisenden Waldhornisten. (Anche il ciclo schubertiano vedrà la luce in due tornate: la prima parte uscì nel gennaio 1828, la seconda, postuma, nel dicembre dello stesso anno.) Müller, conscio del valore della propria opera e al contempo dell’indispensabile apporto della melodia per una completa espressione poetica, auspicava da tempo l’incontro con uno spirito affine, che sapesse cogliere e tradurre in suoni la complessità del sentimento. Dal canto suo Schubert era un lettore di poesia assai esigente: e nel ciclo di Müller, nella mistura di purezza e amarezza, dovette trovare una profonda rispondenza. I due artisti, morti giovani entrambi, non si conobbero mai: ma di raro si è realizzata una così compiuta aderenza tra musica e poesia. Secondo una testimonianza di Joseph von Spaun (1858), il musicista aveva invitato gli amici all’anteprima del ciclo con queste parole: «Vi voglio cantare un ciclo di Lieder pieni d’orrore. Sono curioso di sentire che ne direte. Ne sono stato impressionato più che da ogni altro Lied prima d’ora. Mi piacciono più di tutti, e piaceranno anche a voi». In realtà, gli amici restarono a tutta prima interdetti dall’inaudita, lacerante violenza del sentimento. L’opera, ben presto riconosciuta come una pietra miliare nel genere del Lied, sarà il paragone per tutti i grandi nomi della liederistica romantica, da Schumann a Brahms, da Mahler a Wolf. Ciascun Lied fa pezzo a sé, ma questa autonomia non intacca il carattere profondamente unitario del ciclo: il trait d’union sta nella scelta del modello formale preva-lente, il Lied strofico variato, che Schubert piega ad assecondare con miracolosa esattezza il contenuto specifico dei versi. Laddove cresce la tensione drammatica, il dialogo tra voce e pianoforte si fa serrato, lo strumento si emancipa dal ruolo dell’accompagnamento e, fattosi complice del canto, svela il valore simbolico dei versi poetici. Anche il frequente contrasto fra tonalità maggiori e minori – un tratto distintivo di Schubert – acquista rilievo strutturale e funzione esegetica: se il ricorso al modo minore grava sulla desolazione del tempo presente, barlumi della felicità smarrita riaffiorano nelle transitorie apparizioni del modo maggiore, effimere come la serenità, sempre vagheggiata, e sempre soccombente sotto il passo greve del Viandante in cammino. Il furtivo commiato dalla donna amata, fulcro tematico generativo del ciclo, è al contempo causa e metafora del definitivo distacco dal consorzio degli uomini; già i versi d’apertura sbandierano il vessillo di un’irredimibile estraneità: «Fremd bin ich eingezogen, | fremd zieh ich wieder aus» (Come un estraneo sono comparso, come un estraneo me ne vado). Al Viandante null’altro è concesso che smarrimento, svanita l’utopia d’ogni quiete, d’ogni speranza, con le illusioni dei sogni tramontati; sordo agli oltraggi della Natura, egli si trascina con fatica in un viaggio senza ritorno e, agognando un impossibile trapasso, si spinge fino alle soglie dell’assideramento, del silenzio, attonito al cospetto d’un solitario, indifferente suonatore d’organetto. Linda Antonetti coordinamento e redazione ingresso gratuito - posti limitati info: tel. 051 2092411 |