Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Suoni dal Mondo 2002 JALIKUNDA

ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
DIPARTIMENTO DI MUSICA E SPETTACOLO
CIMES
Centro di musica e spettacolo

SUONI DAL MONDO 2002

LA MUSICA DEL NORDAMERICA E LE SUE RADICI

Sabato 23 novembre
JALIKUNDA
I griot del Senegal

Il panorama musicale dell’Africa contemporanea è caratterizzato da una commistione di aspetti tradizionali localmente radicati e di elementi tratti dalla moderna cultura internazionale. Tuttavia, piuttosto che scaturire da una mera acquisizione di stili d’importazione, la musica africana contemporanea consiste in una sorta di musica di transizione, costituita da una viva musica tradizionale continuamente ampliata e potenziata dalle tecniche e dalla strumentazione propri del mondo occidentale.

I risultati sonori generati da questo ininterrotto processo di travaso ed ibridazione tra culture musicali indigene e tradizione musicale pop occidentale costituiscono un panorama vastissimo e vario, irriducibile ad un modello unico. Nessuna musica africana contemporanea, infatti, esiste in una dimensione a sé stante, ma è piuttosto collegata al retroterra culturale degli esecutori e ai diversi contesti politici, economici ed interculturali in cui è stata elaborata e in cui si esprime. Questa realtà risulta dal fatto che il continente africano include un crogiolo di culture tutt’altro che omogenee, ognuna dotata di un suo specifico armamentario espressivo musicale ed artistico, ed ognuna legata ad una particolare vicenda storica. Nei paesi compresi nell’area dell’Africa occidentale, la musica locale fiorì liberamente solo a partire dal 1960, anno in cui le colonie africane francesi ottennero l’indipendenza. Già in precedenza, comunque, mentre sia nei villaggi che nelle città continuavano a prosperare gli stili e le forme della musica tradizionale, attraverso le stazioni radio nazionali cominciava a diffondersi la nuova musica di origine europea ed americana, caratterizzata dall’uso di strumenti come il sassofono e dall’amplificazione elettrica di chitarre, bassi, tastiere e voci.

Uno degli elementi alla radice dell’elaborazione e dello sviluppo della musica prodotta nella regione del Sahel – che si è affacciata sulla scena pop occidentale intorno agli anni ‘80 attraverso il successo internazionale di alcuni musicisti africani, tra i quali Salif Keita e Youssou N’Dour – è rinvenibile nell’antica tradizione musicale e narrativa dei griot, la cui presenza ed importanza in quest’area sono più forti che in qualsiasi altra zona dell’Africa. Durante l’era precoloniale, la funzione socioculturale svolta da questa classe di musicisti e ‘cantastorie’ ereditari, era assolutamente fondamentale, in quanto ad essi – o meglio, ai loro racconti musicati e cantati con l’accompagnamento della korà – era affidata la conservazione e la trasmissione della memoria storica collettiva e delle norme morali e sociali interne al sistema socio-culturale. Tradizionalmente, il loro ruolo prevedeva l’intrattenimento musicale della famiglia reale ed includeva anche il compito di mediatori e consiglieri di corte.

Le famiglie di griot – che sono tuttora identificabili e riconoscibili dai loro cognomi – per secoli hanno continuato ininterrottamente la loro attività di cantanti di lodi, di racconti epici e di preghiere, nonostante la presenza dei poteri coloniali e il loro controllo politico e culturale sulle comunità africane. Sebbene il ruolo originario dei griot come musicisti e consiglieri reali sia ormai superato, essi sono tuttora sostenuti da personaggi ricchi e potenti e il loro prestigio è sempre assai forte, soprattutto presso le popolazioni rurali. I griot sono ancora chiamati a partecipare a tutti gli avvenimenti e alle celebrazioni socialmente salienti: la loro presenza è infatti un elemento indispensabile in molte circostanze pubbliche – come nel caso dell’insediamento di funzionari e governanti – o familiari e comunitarie, quali matrimoni, nascite e morti: secondo la tradizione indigena i griot sono infatti i primi a poter prendere tra le braccia un neonato, come gli ultimi a poter toccare un cadavere prima della sepoltura.

La korà a 12 o a 21 corde è lo strumento musicale tradizionale inscindibilmente legato all’attività dei griot. Esso consiste in un’arpa-liuto costituita da una cassa armonica ricavata da una grande zucca (il diametro può raggiungere i 60-70 cm) e da un manico ligneo della lunghezza di circa un metro. Secondo una leggenda indigena, lo strumento fece la sua comparsa circa 400 anni fa, quale proprietà di uno spirito che, in cambio di frutta e dolci, lo cedette ad un mortale, che divenne così il capostipite della casta dei griot, di cui la korà fu per lungo tempo appannaggio esclusivo. Nelle zone di cultura mandingo – cultura che si è propagata, nel corso dei secoli, in tutta la regione del Sahel – la korà rappresenta, dunque, un importante simbolo di continuità culturale, così come uno strumento coinvolto nel passaggio e nel mescolamento tra la tradizione musicale antica e quella moderna. Il caratteristico suono della korà rappresenta infatti l’elemento distintivo di gran parte della musica contemporanea della regione, ed esso viene incorporato in diversi impasti sonori e sfruttato secondo una logica creativa ed espansiva delle possibilità tecniche e musicali dello strumento. Attraverso la loro ininterrotta attività di musicisti e poeti, le famiglie di griot hanno così garantito, di generazione in generazione, la conservazione e l’attualizzazione dinamica e contestuale di una secolare eredità storico-culturale direttamente discendente da un lontano passato. Per i griot, che in questo modo rimangono sempre fedeli alle proprie radici culturali e stilistiche, la musica non rappresenta una semplice attività professionale, quanto piuttosto un autentico destino cui sono legati per tutta la vita, dalla nascita alla morte.

I repertori musicali dei moderni griot attingono sia alla vasta gamma di antiche composizioni poetico-musicali – molte delle quali riferite all’ascesa e caduta delle diverse dinastie che si sono succedute al governo degli antichi imperi Mandingo e Songhai – sia alle circostanze ed ai contesti in cui si esprimono. Il successo di un griot all’interno della propria comunità dipende dunque sia dallo stile di esecuzione musicale che dal contenuto dei testi cantati, poiché, sebbene il nucleo storico-culturale della tradizione venga sempre rispettato, ogni esecutore caratterizza il dipanarsi della musica e della narrazione secondo un suo stile personale e secondo la sua specifica visione.

È proprio da un’antica famiglia di griot, la famiglia dei Chissoko, che discende in linea diretta il musicista e virtuoso di korà Seckou Keita, come del resto anche gran parte degli altri componenti del gruppo Jalikunda, che in linguaggio mandingo significa appunto "La casa dei griots" e che comprende Solo Chissoko, patriarca della famiglia, suo fratello Aliou, e il nipote Seckou Keita. Inoltre, gli Jalikunda collaborano volentieri con numerosi musicisti internazionali interessati a condividere rispettosamente la tradizione e la visione musicale della famiglia. Lo strumentario musicale del gruppo include, oltre che l’irrinunciabile korà, il balafon (una sorta di xilofono ligneo i cui suoni sono amplificati da zucche poste al di sotto delle lamelle), diversi tipi di percussioni, tra cui il jembè, e strumenti di accompagnamento di origine occidentale.

L’idea ed il progetto alla base del gruppo Jalikunda vennero concepiti pochi anni fa da Solo Chissoko, nel desiderio di riunire i membri dispersi della propria famiglia (a causa della diaspora generata dalle conseguenze del dominio e dello sfruttamento coloniali) per confrontare e condividere attraverso la musica le differenti esperienze esistenziali e musicali che essi avevano sviluppato in luoghi diversi del mondo. Questa prima fase di vita del gruppo, che si è concretizzata negli inverni del 2000 e del 2001 in alcuni tour in Svezia, Norvegia e Senegal, si è poi sviluppata ulteriormente, su iniziativa di Seckou, in Inghilterra, dove nel 2002 il gruppo ha svolto un tour che li ha visti esibirsi al Glatonsbury Festival, al Womad Festival ed al Window of the World Festival.

L’aspirazione alla base del progetto musicale degli Jalikunda non è però limitata al desiderio di riunire e condividere le diverse esperienze dei vari membri del gruppo, ma risiede anche nella volontà di diffondere il proprio messaggio di pace attraverso una musica la cui efficacia trova origine non soltanto nel linguaggio tradizionale, ma anche nel suo ampliamento dinamico attraverso nuovi elementi tratti dalla complessa realtà musicale contemporanea.

Da questa interessante e profonda esperienza multiculturale di condivisione umana ed artistica è scaturita un’affascinante miscela musicale, composta da una grande varietà di suoni e voci diverse: una fusione di musica tradizionale mandingo con spunti tratti dal jazz e dalle danze, i canti e i ritmi della Casamance, in Senegal. I brani che costituiscono il repertorio di Jalikunda sono composti in gran parte da Seckou Keita, che nella sua carriera di musicista internazionale non ha mai dimenticato l’importanza del suo ruolo di depositario della tradizione e della storia del suo popolo, che egli continua a narrare e commentare attraverso i suoi suoni e i suoi canti.


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