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UN ULTIMO PECCATO DI VECCHIAIA

Vito d’Ancona, Ritratto di Gioachino Rossini, (1851, part.)

martedì 27 e giovedì 29 marzo, ore 21
Laboratori delle Arti/Auditorium

UN ULTIMO PECCATO DI VECCHIAIA
Solisti, coro e strumentisti del Conservatorio «G. B. Martini» di Bologna
musiche di Gioachino Rossini

INGRESSO GRATUITO CON RITIRO DI COUPON DALLE ORE 20

In collaborazione con «Il Saggiatore musicale»
e con il Conservatorio «G.B. Martini» di Bologna


Capolavoro della musica sacra ottocentesca, la Petite Messe solennelle fu l’ultimo dei péchés de vieillesse di Rossini, come egli amava definire i lavori della sua fervidissima senilità. Composta cinque anni prima della morte, la piccola messa – destinata a un organico di dodici cantanti, di cui quattro solisti, due pianoforti e un armonium – non fu concepita per l’uso ecclesiastico bensì per un contesto domestico d’élite: fu infatti eseguita davanti ad un pubblico d’invitati il 13 marzo 1864 in un salone del palazzo parigino della Louise Pillet Will, dedicataria della composizione. Rossini orchestrò poi la partitura nel 1867: in questa veste la Petite Messe fu eseguita al Théâtre-Italien un anno dopo la morte del compositore. Nel concerto verrà eseguita nell’originaria versione cameristica.
Il concerto rientra nelle celebrazioni del 2018 per il 150° della morte del compositore e costituisce un importante momento di collaborazione tra l’Università, con il Dipartimento delle Arti, e il Conservatorio di Bologna, città ove Rossini visse a lungo e che amò molto.
Il Centro La Soffitta dedica a Rossini, oltre questo concerto, anche una tavola rotonda nell’ambito del XXII Colloquio di Musicologia del «Saggiatore musicale», che si terrà a Bologna nel novembre del 2018.

 

GIOACHINO ROSSINI  (1792-1868)
Petite Messe solennelle

a quattro parti
con accompagnamento di due pianoforti e armonium

Kyrie


Gloria
Gloria
Gratias terzettino
Domine Deus solo
Qui tollis duetto
Quoniam solo
Cum sancto Spiritu

Credo

Credo
Crucifixus solo
Et resurrexit

Prélude religieux
pendant l’Offertoire

Sanctus
sans accompagnement

O salutaris
solo

Agnus Dei



_________________________

Francesca Pedaci
soprano
Tiziana Tramonti mezzosoprano
Gregory Bonfatti tenore
Luca Gallo basso
Pina Coni e Ilaria Tramannoni pianoforti
Andrea Macinanti armonium

Coro del Conservatorio “G.B. Martini” di Bologna
Maestro del coro  Leonardo Lollini
Direttore  Vincenzo De Felice

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Composta nel 1863, la Petite Messe solennelle è l’ultimo di quelli che Rossini definì «peccati di vecchiaia». Sotto questa denominazione il Pesarese riunì le composizioni, per la maggior parte cameristiche, alle quali si dedicò dopo aver interrotto nel 1829, appena trentasettenne, una folgorante carriera operistica coronata dal successo del Guillaume Tell. Presentata il 14 marzo 1864 a un pubblico selezionato, nel palazzo parigino del banchiere Pillet-Will, la prima versione della Petite Messe è destinata a un contesto domestico, lungi da un impiego propriamente liturgico. L’impianto della composizione è cameristico, il tono riservato e confidenziale. L’aggettivo Petite richiama l’essenzialità dell’organico: due pianoforti (il secondo in funzione di “ripieno”) e un armonium sorreggono la sobrietà di un coro di otto elementi e di quattro solisti. Rossini sembra tendere a un’atavica semplicità nel trattare le voci: prescrisse ai solisti di intervenire insieme al coro, in un canto mai soverchiante, teso a sfumare i contorni di una religiosità individuale in un più ampio sentimento collettivo. Malgrado la misurata sobrietà, la Petite Messe andò incontro alla stessa accusa di “teatralità” che da vent’anni veniva mossa allo Stabat Mater.

Rossini mantenne un duplice atteggiamento verso questo suo ultimo lavoro: se da un lato tentò di preservarne il carattere privato di intimo dialogo con se stesso e con Dio, dall’altro si prodigò per ottenere da Pio IX (valendosi dell’intercessione del neo-accolito Liszt) la dispensa per poter eseguire la messa in chiesa con cantanti donne. Fu probabilmente questa recondita esigenza a spingerlo a produrre della Petite Messe una versione orchestrale «per eseguirla poscia in qualche grande Basilica Parigina». La versione orchestrale, che col suo sontuoso organico smentisce il dimesso contegno sonoro dell’organico originale, fu eseguita e stampata post mortem.

La Petite Messe è costruita secondo un ideale architettonico ben preciso. Ciò traspare dalle impalcature tonali, dall’alternanza degli affetti rappresentati, dall’aggiunta di due pezzi (Prélude religieux e O salutaris hostia) preesistenti alla composizione della Petite Messe, che, sapientemente intercalati, trovano in essa la propria destinazione definitiva. La scrittura non è univoca ed elabora una contaminazione tra antico e moderno: se da un lato infatti rivela un rigoroso ricorso alla tradizione (il carattere bachiano è evidente in numerosi passi), dall’altro manifesta l’articolazione di un vocabolario compositivo all’avanguardia, tangibile negli elaborati cromatismi e nelle armonie spesso ardite.

Articolata in sette parti, si compone di quattordici numeri musicali, suddivisi in due ampie sezioni simmetriche. La prima, dal carattere severo e solenne, è aperta dal Kyrie, in forma tripartita, al centro del quale è collocato un dotto Christe in doppio canone affidato al coro a cappella. Il Gloria, con sei sottosezioni, è aperto da un Allegro maestoso del coro (Gloria in excelsis Deo), cui seguono momenti propriamente solistici e perfettamente bilanciati nel loro avvicendarsi: Gratias agimus tibi (terzetto per contralto, tenore e basso), Domine Deus (aria per tenore, di carattere eroico), Qui tollis (duetto per soprano e contralto), Quoniam tu solus (aria per basso, ritmica e decisa, vicina al formulario dell’opera buffa). La prima sezione si conclude col Cum sancto Spiritu, ultimo pezzo del Gloria, che con la sua celebre fuga torna all’impostazione polifonica d’apertura. La seconda sezione si apre con il Credo, tripartito: al centro sta il Crucifixus per soprano solo, dal tono semplice e dolente. A metà di questa seconda parte, l’asciuttezza pianistica del Prélude religieux stempera la complessiva monumentalità del Credo: e curiosamente il Sanctus, col timbro morbido delle sole voci a cappella, contraddice il carattere trionfante tradizionalmente attribuitogli dai compositori. Un momento di grande espansione lirica è raggiunto nel successivo O salutaris hostia, aria luminosa e lieta intonata dal soprano. L’Agnus Dei, affidato al contralto con interventi del coro, chiude la composizione con un intenso effetto drammatico.

A suggello del manoscritto, la celebre dedica: «Buon Dio, ecco terminata questa povera piccola Messa. Ma ciò che ho appena prodotto è “musica sacra” o “benedetta musica”? Io ero nato per l’Opera Buffa, tu lo sai bene! Poca scienza, un po’ di cuore, ecco tutto. Sii dunque Benevolo e concedimi Il Paradiso». La costante rossiniana dell’ironia, l’estrema varietà stilistica, la commistione di sacro e profano sublimano ancora una volta, in un magistrale chiaroscuro, la fede profonda che Rossini nutrì per l’arte e per la vita.

Rossella Iorio
Laurea magistrale in Discipline della Musica e del Teatro

coordinamento e redazione
Davide Mingozzi / YiLiqi

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a cura di Paolo Cecchi e Carla Cuomo con la consulenza di Maurizio Giani

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