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ITINERARI VIOLONCELLISTICI II

in collaborazione con
l’Accademia Pianistica Internazionale “Incontri col Maestro” di Imola

Elia Moffa, violoncello; Nicola Tisiot, pianoforte

G. Fauré, Elegia op. 24
L. Boccherini, Sonata n. 17 in Do maggiore G 17
M. Bruch, Kol Nidrei op. 47
J. S. Bach, Suite n. 1 in Sol maggiore BWV 1007
B. Martinů, Variazioni su un tema popolare slovacco H 378

 

dove: Laboratori delle Arti/auditorium
quando:
martedì 9 aprile, h 21



Gabriel Fauré scrive L’Élégie in Do minore op. 24 tra il 1880 e il 1881, in seguito all’aggravarsi del suo stato psichico dovuto tra l’altro alla rottura del fidanzamento con Marianne Viardot. L’esordio evoca l’andamento della marcia funebre: gli ossessivi accordi ribattuti del pianoforte sostengono una tetra melodia affidata al violoncello. I due strumenti si contendono un secondo motivo, lieve e cantabile, per cimentarsi poi in acrobatici virtuosismi. La riesposizione di entrambi i motivi apre la sezione conclusiva ove il dialogo tra gli strumenti si stringe: lo struggente lirismo del violoncello esige dal pianoforte un corposo sostegno, destinato infine a sfumare in un luttuoso “dolcissimo”.

La Sonata n. 17 in Do maggiore per violoncello e basso di Luigi Boccherini è tra le opere composte intorno al 1772, nei primi anni di permanenza in Spagna. In quest’opera il violoncello si emancipa dalla mera funzione di raddoppio del basso – che svolge perlopiù nelle orchestre sei-settecentesche – per assurgere al ruolo di solista. Boccherini non specifica lo strumento cui è assegnato il basso; a seconda della disponibilità poteva trattarsi di un secondo violoncello oppure di un clavicembalo, un sostegno che consentisse lo sfoggio delle peculiarità virtuosistiche del solista. Nell’Allegro, in forma-sonata, il primo tema che svetta tra rapide scale è nondimeno cantabile, e contrasta con un secondo tema dal piglio più vigoroso. Anche il Largo assai presenta due idee tematiche, la prima in tonalità minore. Chiude la sonata un vivace Rondò allegro a tempo unico e senza ritornelli.

Kol Nidrei op. 47 di Max Bruch risale al 1880 e nasce come Adagio con variazioni per violoncello e orchestra, in seguito trascritto dallo stesso compositore per organici alternativi. Bruch s’ispira a due brani della tradizione ebraica: il primo, che intitola l’opera, è una melodia dal carattere rapsodico eseguita nelle sinagoghe alla vigilia dello Yom Kippur, rito associato al tema dell’espiazione e della riconciliazione con l’Altissimo. Secondo il culto, il pentimento si raggiungerebbe attraverso tre stati: rimorso, ravvedimento e trionfo sul peccato. Per questo Bruch frammenta la melodia ebraica – in origine estesa, di ampio respiro – in gruppi di tre note separati da una pausa che evoca l’idea di un sospiro. Il secondo motivo proviene da una composizione del 1815 di Isaac Nathan, sui versi di Byron «O weep for those that wept on Babel’s Stream», tratti dalle sue Hebrew Melodies. Bruch aveva conosciuto le melodie a Berlino, ed era certo che Kol Nidrei sarebbe stato apprezzato in virtù della loro popolarità.

Intorno al 1720, a  Cöthen, Johann Sebastian Bach dedica al violoncello un ciclo di sei composizioni, tra cui la Suite in Sol maggiore che, secondo la consueta forma della suite barocca, presenta una caratteristica successione di danze in forma bipartita abbellite nei ritornelli. Nonostante la natura profana della suite – destinata alla corte del principe Leopoldo – la composizione mostra, come le consorelle, una profonda complessità non soltanto strutturale, ed è destinata a strumentisti di consumata perizia: a detta di Johann Forkel, autore nel 1802 di una pionieristica biografia di Bach, il ciclo delle sei Suites per violoncello, sia per le difficoltà tecniche sia per lo splendore della musica, deve considerarsi un passaggio obbligato nella formazione di ogni virtuoso dello strumento.

Il boemo Bohuslav Martinů scrisse le Variazioni su tema popolare slovacco H 378 nell’ultimo anno di vita, il 1959, lontano dalla patria. Il brano si basa su una una cellula melodica derivata dal tema di un canto popolare, Ked’ bych já vedéla (Se avessi saputo), elaborata secondo lo stile maturato durante i viaggi del compositore tra Europa e Stati Uniti. Il motivo, conteso tra violoncello e pianoforte, guizza tra ritmi sincopati e gruppi irregolari. Nella terza variazione, più lirica, affiora la nostalgia per la patria lontana, mentre il carattere “slavo” emerge nella variazione conclusiva, traboccante di contrattempi, bruschi cambi di registro ed effetti percussivi al pianoforte.

Valentina Anzani
Laurea magistrale in Discipline della Musica

coordinamento e redazione
Sara Elisa Stangalino

 

Elia Moffa, nato a Pianoro nel 1998, ha iniziato lo studio del violoncello a quattro anni. Ha già vinto numerosi concorsi nazionali ed internazionali ed ha avuto modo di esibirsi in concerti da solista e con orchestra; frequenta attualmente il Conservatorio “Francesco Vanezze” di Rovigo e segue i corsi di violoncello dell’Accademia Pianistica Internazionale di Imola.

Nicola Tisiot è nato a Pordenone nel 1995. Suona il pianoforte dall’età di sette anni; dal 2007 studia alla Fondazione Musicale “S. Cecilia” di Portogruaro. È risultato vincitore in varie rassegne e concorsi nazionali ed internazionali; si è già esibito come solista in numerose occasioni.