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I COLORI DEL SUONO

ROBERTO FABBRICIANI, FLAUTO

dove: Laboratori delle Arti/Auditorium
quando:
martedì 18 marzo, ore 21

con la collaborazione del «Saggiatore musicale»

Un programma variopinto di opere per flauto dal Settecento ai nostri giorni, che allinea ben tre prime assolute (Colombo Taccani, Garuti, Sammarchi), contornate da classici del repertorio novecentesco (Debussy, Varèse, Piazzolla) e da brani celeberrimi in versioni decisamente inconsuete, prima fra tutte la Primavera di Vivaldi arrangiata da un trascrittore d’eccezione come Jean-Jacques Rousseau.

 

Programma

A. Vivaldi, La Primavera (trascr. di J. J. Rousseau, 1775)
G. Colombo Taccani, Eyeless Dark (2013) per flauto basso (prima esecuzione assoluta)
J. S. Bach, Toccata e Fuga in Re minore BWV 565 (trascr. di R. Fabbriciani, 1985)
M. Garuti, Incauto incanto (2013) (prima esecuzione assoluta)
S. Mercadante, Variazioni su “Là ci darem la mano” di W. A. Mozart (1830)
N. Sani, Un souffle le soulève, les dunes du temps (2011) per flauto in Sol e nastro magnetico
C. Debussy,Syrinx (1912)
E. Varèse, Density 21,5 (1936)
L. Sammarchi, Exaiphnes per flauto contrabbasso e nastro magnetico (prima esecuzione assoluta)
A. Piazzolla,Etudes tanguistiques nn. 3 e 4 (1987)

 

Docente nel Conservatorio di Bologna, il flautista ROBERTO FABBRICIANI ha iniziato giovanissimo la carriera concertistica. Presente nelle più rinomate istituzioni musicali internazionali, è ritenuto uno tra i maggiori interpreti della musica contemporanea. Di grande rilievo è stato il suo sodalizio artistico con Luigi Nono, che ha prodotto Live electronics (1980-83) e Das Atmende Klarsein (1989). Fabbriciani ha inoltre collaborato con molti altri protagonisti della scena musicale del secondo Novecento, come John Cage, Goffredo Petrassi, Sylvano Bussotti, Karlheinz Stockhausen, Ennio Morricone e Salvatore Sciarrino.

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Quasi un diario di bordo, il variopinto programma di questa sera è un viaggio alla ricerca dei limiti estremi delle possibilità esecutive. Protagonista assoluto ne è il flauto e le sue policrome forme, i colori del suono. Più che il décor e il rivestimento della musica, si tratta dell’essenza stessa del fenomeno musicale: la grana del suono, la variegata alchimia d’ogni suo parametro costitutivo.

Il viaggio inizia con una sfida titanica, fertile pungolo all’invenzione: è possibile trascrivere per strumento monodico un brano di musica polifonica? Sì, e ne offre un primo esempio Le Printemps de Vivaldi di Jean Jacques Rousseau, trascrizione del 1775 per flauto solo del notissimo Allegro vivaldiano; quasi un manifesto del philosophe, fervido difensore della musica italiana all’epoca della famosa Querelle des bouffons. La soluzione di Rousseau sta nella verosimiglianza rispetto allo stile vivaldiano, laddove, secondo il carattere programmatico di diversi concerti, il flauto viene utilizzato per imitare il canto degli uccelli. Ancor più dirimente è il caso della bachiana Toccata e Fuga in Re minore BWV 565, magniloquente capolavoro organistico, trascritto nel 1985 da Roberto Fabbriciani per flauto solo. Il brano crea l’illusione d’un rinnovato tessuto polifonico mediante arpeggi velocissimi, repentini salti di registro e imprevedibili giochi di articolazione. Come spiega Fabbriciani, rivive qui l’«antica consuetudine rinascimentale del “passeggiare alla bastarda” sulle varie voci come veduta d’insieme del materiale polifonico».

Alcune composizioni del grande repertorio flautistico vengono ora poste in risonanza, ad accendere sotterranee e inattese corrispondenze: ecco allora le quattro variazioni sulla melodia mozartiana di «Là ci darem la mano», dalle Dieci Arie Variate di Saverio Mercadante (1818), prova d’agilità e virtuosismo d’un flauto ad otto chiavi, ancora lontano da quello perfezionato da Theobald Boehm; Syrinx di Claude Debussy (1913), evocativa e sensuale, salda in una tipica articolazione in tre parti e costruita intorno a diverse scale a cinque e sei suoni; Density 21.5 di Edgar Varèse (1936), saltellante fantasia basata su un motivo di sole tre note, preludio alle sonorità del secondo dopoguerra grazie all’impiego di nuove tecniche esecutive e al dosaggio rigoroso delle dinamiche e dei modi d’attacco.

Approdo centrale di questa traversata sono cinque composizioni – tra cui tre prime assolute – in cui balenano i colori della contemporaneità. Polimorfie di Paolo Cavallone (2010), per flauto solo, è composto da nove variazioni d’intensa concentrazione espressiva, quasi dei microludi, dove una variegata profusione di tecniche esecutive accende il movimento ricorsivo delle figure e la rifrazione dei colori. Un souffle le soulève, les dunes du temps di Nicola Sani (2012), per flauto contralto e nastro, ostenta dei distesi glissandi scalari come fossero una lunghissima melodia d’espressione arcaizzante, quasi gregoriana, straniata però da improvvisi scatti al registro sovracuto e da taglienti ribattuti che ne interrompono il flusso. La dinamica esplora tutte le gradazioni del forte, e cede al piano soltanto all’ultimo, come in un’esalazione estrema. Di carattere opposto è Eyeless Dark di Giorgio Colombo Taccani, per flauto basso, estrosa rapsodia di carattere improvvisativo, basata su una variazione continua intorno ad alcune note perno, ad altezza fissa, e a singole figure cromatiche e microtonali. “Brama il mio desire...” Echi – Frammenti di Gesualdo di Luigi Sammarchi, per flauto contrabbasso e nastro, descrive un percorso simmetrico tra due poli, l’uno posto all’inizio e l’altro alla fine del brano, intorno ai quali il tempo pare piegarsi e la sua pulsazione si rarefà fino a sfaldarsi. Nel movimento emergono, come residui della memoria, radi frammenti e reminiscenze dal Quinto Libro dei Madrigali di Gesualdo (materiale, questo, disposto come un’intelaiatura alla base della parte del flauto e dell’elettronica). Risplendono da ultimo i bagliori di Incauto incanto di Mario Garuti, «fantasia per flauto» sui versi d’una poesia di Jean Cocteau, Foudroyer (1954), ‘folgorare’. Il testo di Cocteau, ridotto a singoli fonemi pronunciati nel flauto al momento dell’emissione, «si intreccia al discorso musicale come elemento aggiunto», arricchendo lo spettro del suono; nelle parole dello stesso Garuti, esso «deve sembrare in-formato dai suoni, così come formante dei suoni».

Concludono questo viaggio due celebri Etudes tanguistiques di Astor Piazzolla per flauto solo (1987). Lo studio n. 3, Molto marcato e energico, è basato sul ritmo incalzante tipico del tango e presenta un’ornamentazione riccamente elaborata; il n. 4, Lento meditativo, languidamente cantabile, scorre lungo ampie arcate melodiche e fraseggi in legato.

 

Guido Ferrante – Marta Valentinetti
Laurea magistrale in Discipline della Musica

coordinamento e redazione
Michele Chiappini

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