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FANTASIE IN BIANCO E NERO

martedì 13 febbraio, ore 21
Aula absidale di S. Lucia

FANTASIE IN BIANCO E NERO
Cosmin Boeru, pianoforte | musiche di Wolfgang Amadeus Mozart, Maurice Ravel e Fryderyk Chopin

INGRESSO GRATUITO CON RITIRO DI COUPON DALLE ORE 20

Le composizioni che figurano nel concerto inaugurale della stagione concertistica della Soffitta non sono accomunate solo dal fatto di essere capolavori fondamentali nella storia della musica per pianoforte dal classicismo alla modernità, ma anche da una singolare affinità espressiva. In apertura la Fantasia in Do minore K 475 di Mozart, composta nel 1785, articolata in cinque sezioni dagli sviluppi imprevedibili, il cui tono a tratti cupo e serioso pare costituire un preludio consentaneo alle atmosfere noir di Gaspard de la nuit, il ciclo di tre “Fantasie alla maniera di Rembrandt e Callot” ispirate ai poemi di Aloysius Bertrand che Ravel scrisse nel 1908 con il dichiarato intento di realizzare una nuova forma di virtuosismo trascendentale. Il concerto si conclude nel nome di Chopin, con due Notturni (op. 48, n.1 e op. 9, n.1), tra i più amati del compositore polacco, a fare da preambolo alla Sonata in Si bemolle minore op. 35.

Programma:

Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)

Fantasia per pianoforte in Do minore,
KV 475
Adagio. Allegro. Andantino. Più Allegro. Primo Tempo.

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Maurice Ravel (1875 - 1937)

Gaspard de la Nuit:
Trois poèmes pour piano d'après Aloysius Bertrand
Ondine. Lent
Le gibet. Très lent
Scarbo. Modéré

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Fryderyk Chopin
(1810-1849)

Notturno in Do minore op. 48, n. 1
Lento

Notturno in Si bemolle minore op. 9, n. 1
Larghetto

Sonata n. 2 in Si bemolle minore per pianoforte, op. 35
Grave. Doppio movimento
Scherzo
Marche funèbre
Finale: Presto


Cosmin Boeru è nato in Romania nel 1979 da famiglia di musicisti, e ha tenuto il suo primo recital all’età di 10 anni. Nel 1991 si è trasferito in Italia e sino al 1999 ha studiato con Christa Bützberger, allieva di Sergiu Celibidache. Dopo il diploma al Conservatorio “Benedetto Marcello” di Venezia con il massimo dei voti e la lode si è perfezionato con grandi maestri quali Franco Rossi, Alexis Weissenberg e Leon Fleisher. Ha tenuto più di 500 concerti in gran parte dell’Europa ed in Australia, suonando in importanti sedi come il Palau de Barcelona, il Mozarteum di Salisburgo, la Komische Oper di Berlino, il Teatro Comunale di Bologna, l’Auditorio Nacional de Música di Madrid. Dal 2007 è docente di pianoforte nella Musikhochschule di Colonia.

 

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Pur appartenendo a tre epoche stilistiche profondamente diverse le opere in programma sono idealmente accomunate da una concezione libera e rapsodica della forma. Soprattutto la mozartiana Fantasia in Do minore, scritta nel maggio 1785, pur nell’articolazione in cinque sezioni chiaramente riconoscibili presenta irregolarità e contrasti espressivi di sconcertante modernità, a cominciare dall’inquietante Adagio iniziale, reso tonalmente instabile dai numerosi cromatismi, che cedono poi il posto ad una breve parentesi cantabile, bruscamente interrotta dal moto convulso dell’Allegro. Segue, nell’Andantino, un nuovo momento di serenità: introdotto da una graziosa idea tematica, l’episodio si nutre di continui rimandi a motivi precedenti,  che vengono poi spazzati via dalle ondate sonore del Più Allegro. Alla fine ritorna, chiudendo il cerchio, l’enigmatico tema iniziale, se possibile ancor più cupo e drammatico.

Nell’inquietudine che lo pervade, il brano di Mozart costituisce un ideale preludio al trittico Gaspard de la nuit, composto da Maurice Ravel nell’estate del 1908. Si tratta, come recita il sottotitolo, di tre “poemi per pianoforte” ispirati a prose poetiche tratte dall’omonima raccolta dello scrittore primottocentesco Aloysius Bertrand, da lui stesso definita Fantaisies à la manière de Rembrandt et de Callot. E vere e proprie fantasie sono in effetti i tre movimenti del Gaspard raveliano, caratterizzati, specie l’ultimo, da un virtuosismo innovativo e sperimentale che ne fa uno dei brani più ardui che un pianista possa affrontare. Alla liquida sinuosità di Ondine, evocazione della seducente creatura acquatica cantata, tra gli altri, da Goethe nella ballata Der Fischer, si contrappone l’allucinata fissità del lugubre Le gibet (‘La forca’). “All'orizzonte – si legge nel testo di Bertrand –, presso le mura di una città, si ode il rintocco di una campana, mentre il sole calante arrossa il corpo di un impiccato”. I rintocchi sono materializzati dall’ossessiva ripetizione, per ben 258 volte, di un si bemolle in ottava. Scarbo, infine, riproduce l’apparire e lo scomparire e i movimenti frenetici di un disgustoso nano, con figurazioni velocissime che passano costantemente da un registro all’altro tra grappoli di note ribattute, che come ebbe a scrivere Alfred Cortot, “si intersecano, si contraddicono e si confondono in un disordine apparente, mentre il loro insieme si ordina, in definitiva, in uno Scherzo di forma irreprensibile”.

Dei due notturni chopiniani che aprono la seconda parte si potrebbe dire che rappresentino una meditativa parentesi tra le inquietudini della prima parte e l’enigmatica progressione della Sonata op. 35 che chiude il programma. Scritti a distanza di oltre dieci anni, l’op. 9 n. 1 e l’op. 48 n. 1 (1830 e 1841) sono entrambi costruiti nella tradizionale Liedform tripartita, ma si collocano agli antipodi sul piano espressivo: con passo cadenzato, come di marcia, il Notturno in Do minore snoda nella prima sezione linee melodiche frastagliate dal tono quasi risentito, appena rischiarato dal passaggio a Do maggiore nella sezione centrale, non priva peraltro di energiche impennate; per contro morbida e rotonda è la cantabilità dell’op. 9 n. 1, una pagina molto amata, raffinata e introspettiva, che immerge l’ascoltatore in un’atmosfera ricca di suggestioni e di malinconico lirismo.

La Sonata n.2 in Si bemolle minore op. 35, composta da Chopin negli anni 1838-1839, è impiantata nella stessa tonalità del Notturno op. 9, ma sin dalla prima battuta il contrasto non potrebbe essere maggiore. Il tono rapsodico e selvaggio del primo movimento, che sembra quasi comprimere con il suo affanno anche il lirico secondo tema, prosegue nello Scherzo, collocato sorprendentemente al secondo posto, con un trio centrale di indimenticabile bellezza. Trasferita in terza posizione, la celeberrima Marcia funebre costituisce il baricentro dell’opera e insieme il suo fulcro spirituale. Non è privo d’interesse il fatto che Chopin l’avesse composta già nel 1837: origine e mèta della Sonata, la marcia ne altera l’architettura complessiva, destrutturando persino l’idea stessa di un finale inteso come esito e adempimento: il Presto conclusivo sgrana per poco meno di due minuti una cascata ininterrotta di terzine, senza ombra apparente di linee melodiche. Già Robert Schumann giunse a chiedersi in una celebre recensione se quella fosse davvero musica; ma non poté fare a meno di riconoscere la forza strana e soggiogante che pervade l’intera composizione, definendola con felice metafora una “sfinge dall’ironico sorriso”,

Caterina Soricaro
Laurea magistrale in Discipline della Musica e del Teatro

coordinamento e redazione
Milena Basili

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a cura di Paolo Cecchi e Carla Cuomo con la consulenza di Maurizio Giani

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