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CLASSICISMO E TARDO UMANESIMO A TEATRO, VICENZA 1585

Ensemble vocale Color temporis
Edipo tiranno di Sofocle nella traduzione di Orsatto Giustiniani (1538-1603), con cori di Andrea Gabrieli

Regia: Vito Matera
Direzione del coro musicale: Alessandra Fiori
Direzione del coro attoriale: Chiara Guidi

dove: Laboratori delle Arti/Teatro
quando: ore 17.30 e ore 21 (replica)

 

 


Lo spettacolo prevede l’esecuzione dei quattro cori di Andrea Gabrieli, interpretati dall’ensemble Color temporis, a cui si alterneranno gli interventi di un coro attoriale. La recitazione corale, ritmica, ribadita, sezionata nella ricerca di un senso, oltre a porsi in modo complementare rispetto all’integrità della parola cantata, fonde in un’unica entità ciò che la tragedia separa: i personaggi. I due cori altro non sono che la rappresentazione di un’unica umanità smarrita e dolente. 

Programma:

Andrea Gabrieli
(1510 ca. - 1585)

Chori in musica sopra li chori
della tragedia di Edippo Tiranno


Choro primo
Choro secondo
Choro terzo
Choro quarto

 

L’Ensemble vocale Color temporis nasce a Bologna nel 2003 dall’iniziativa di cantanti che vantano una lunga esperienza nel campo della musica antica. Color temporis, grazie all’esperienza e alle caratteristiche vocali dei suoi componenti e alla particolare flessibilità della formazione, è in grado di affrontare repertori complessi e diversificati, in un ambito cronologico che va dal tardo medioevo al XVIII secolo.

 

Lo spettacolo sarà preceduto da un seminario, dedicato al suo allestimento, in data 23 marzo 2017, ore 15, nella sede del DAR, Via Barberia 4:

L’EDIPO TIRANNO DI SOFOCLE
Seminario a cura di Gerardo Guccini e Cesarino Ruini
con la partecipazione dell’attrice Chiara Guidi, della direttrice del coro Alessandra Fiori e del regista Vito Matera

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Emblematica delle sperimentazioni classicistiche del secondo Cinquecento, la rappresentazione dell’Edipo tiranno, con cui il 3 marzo 1585 venne inaugurato il Teatro Olimpico di Vicenza, fu un evento eccezionale per la storia del teatro moderno. All’interno dello splendido edificio realizzato dal Palladio, la tragedia, nella traduzione di Orsatto Giustiniani, si avvalse delle celebri scene di Vincenzo Scamozzi, della direzione scenica di Angelo Ingegneri e della musica di Andrea Gabrieli.

Ultima fatica del compositore veneziano – morì cinque mesi più tardi – i Chori possono considerarsi un vero e proprio unicum: sono infatti l’unico esempio superstite di musica scritta appositamente per una tragedia cinquecentesca. Trattandosi di una composizione destinata a uno spettacolo in cui parola, azione e musica dovevano integrarsi perfettamente, era sentita fortemente l’esigenza di far percepire chiaramente agli spettatori il testo cantato.

Nel comporre i quattro Chori, Gabrieli seguì diligentemente le idee di Ingegneri: i cori sarebbero dovuti «constare di voci humane solamente» e, soprattutto, le parole sarebbero dovute essere «così chiaramente esplicate, ch’il Theatro le intenda tutte, senza perderne una minima sillaba». Gabrieli pertanto si affida sistematicamente a una rigorosa scrittura vocale accordale, rigidamente omoritmica, sillabica e declamatoria, scevra da qualsiasi procedimento imitativo e contrappuntistico, realizzando così un discorso musicale ricalcato in maniera fedelissima sulla prosodia dei versi di Giustiniani, di modo che la durata delle note viene a coincidere con l’accentuazione del testo verbale. All’interno dei brani poi, non vi è alcuna reiterazione del testo poetico, fuorché gli ultimi due versi di ciascun coro, per sottolinearne il momento conclusivo; unica eccezione è la ripetizione del verso «O sfortunato Edippo», non a caso in un punto particolarmente patetico dell’ultimo coro.

Sebbene si trovi ad operare seguendo una rigida scrittura omoritmica quasi costrittiva, Gabrieli riesce a muoversi con maestria, riuscendo a conferire varietà al discorso musicale tramite diversi espedienti; innanzitutto, attraverso la continua, cangiante alternanza delle voci, evidente in particolare nel primo coro, dove sono esplorate tutte le possibili combinazioni: si passa da intonazioni a tre voci a quelle a quattro, dalla voce sola al «duo» e, nei momenti in cui si canta a sei voci, si trovano raggruppamenti diversi perfino all’interno della stessa sezione. Al variare dei piani sonori si aggiungono inattesi mutamenti armonici, spesso repentini, come quelli vertiginosi che nel coro primo accompagnano i lamentosi versi «Trema la mente in me stupida, et tutta / Per timor sbigottita» (6-7). Infine, Gabrieli fa uso di figurazioni “descrittive”, non dissimili da quelle dei madrigali coevi: nel primo coro l’andamento si fa più concitato in corrispondenza del verso «Che sì lontan le tue saette avventi» (27), per raffigurare sonoramente le saette di Febo; analogo espediente è utilizzato per i versi «Più che ’l foco leggiere / Fuggon l’alme di Stige» (55-56), seguito da un lento, malinconico cromatismo discendente sulle parole «ai tristi liti»; “madrigalismi” simili si ritrovano ai versi «Si raddoppiano gl’Inni» (68), in cui si passa da due voci a quattro, e «In lei sopite, et spente» (35), dove le voci repentinamente “si spengono” concretamente, tramite un andamento più mosso che conduce ad una pausa improvvisa.

Malgrado l’ubbidiente aderenza della musica alla parola, all’atto della rappresentazione il testo non fu sempre intelligibile, stando a quanto si evince dai commenti del tempo; tuttavia, come ricorda il nipote Giovanni, Andrea Gabrieli fu «singulare nell’imitazione in ritrovar suoni esprimenti l'Energia delle parole, e de’ concetti»: seppur limitata da rigide costrizioni formali, si rivela indubbia qui la capacità del compositore veneziano di assimilare la musica al testo, seguendone il percorso degli affetti, dagli slanci più fiduciosi ai lamenti più mesti.

Paolo De Matteis
Laurea magistrale in Discipline della Musica

coordinamento e redazione
Francisco Rocca